My Generation lives
beh...ragazzi, questa scheda è dedicata di
cuore a tutti quelli che credono che il mondo
sia diventato più bello con l'apparizione
sulla scena di James Chance e Lydia Lunch.
The Who furono il gruppo che più di
ogni
altro portarono una certa tensione
intellettuale
nel rock inglese degli anni '60.
Pete Townshend ha sempre nutrito l'ambizione
di inviarci qualche messaggio e dare qualche
"spiegazione" sulla struttura del
mondo ed i suoi effetti sulla psiche di adolescenti
sensibili.
Paradosso dei paradossi, perchè il sound
aveva ben poco di cervellotico. Energia allo
stato primordiale, sebbene incanalata in
una perizia strumentale di qualità più che
discreta. Basso di John Entwistle, mica da
ridere. Chitarrona di Pete Townshend, il
principe dell'accordo sparato, scioccante
e violento, ma non gratuito. Il drumming
folle di Keith Moon.
E poi la voce "eroica ed epica"
di Roger Daltrey, qualcosa che nemmeno
Robert
Plant dei Led Zeppelin, e so quel che
dico,
saprò superare, ma, in fondo, solo
uguagliare.
Uscito significativamente nel 1970, questo
album era sostanzialmente il manifesto dei
sixties che svanivano ed un promemoria per
il nuovo decennio.
Non si tratta di "credere", ma
solo di verificare.
Sentitevi sto disco, e poi ne riparliamo.
Per dire la verità fino in fondo, confesso
che attualmente non impazzisco per questa incisione, e nemmeno
per gli Who, anche se mi sono piaciuti
molto
in passato, quando avevo gusti più
barbari
ed esigenze di rigenerazione energetica
molto
più marcate.
Sto invecchiando, ragazzi!
Forse, nella discografia del gruppo,
le mie
preferenze vanno alla colonna sonora
di Tommy, con Tina Turner che fa Acid Queen e con Elton John che gioca a flipper.
In quel piccolo pasticcio che fu The Kids Are Alright, ci sono versioni dal vivo di alcuni di
questi stessi brani perfino superiori.
Who's Next sarà il loro capolavoro.
Epperò, tanto di cappello a chi ebbe l'idea
di stampare il vinile di Live At Leeds.
Il gruppo è ritratto at his best, in
forma
smagliante, come quando la Reggina
batte
la juve al Delle Alpi per tre a zero.
L'accostamento ai Pink Floyd non è forzato.
Pare a me che entrambi i gruppi coltivassero
l'ambizione di rappresentare con la musica
determinate istanze generazionali e le tensioni
che percorrevano la società inglese.
La differenza stava nel punto di partenza:
una visione totalizzante, estetizzante,
di
per sé piccolo-borghese, quella appunto
dei
Pink Floyd, portava ad una formula
psichedelizzante
e votata all'evasione visionaria.
Quella degli Who era schiettamente
proletaria,
molto più rude e quindi più diretta
e semplice,
ma non per questo meno profonda.
Il risultato, raggiunto in questo disco
meglio
che nei precedenti, ad eccezione di
Tommy, fu il tipico sound degli Who, qualcosa
di inimitabile ( in fondo solo i Jam
si avvicineranno
un poco), è da considerarsi a tutti
gli effetti
come la risposta britannica al rock
americano.
Non è un caso che io preferisca The Kids Are Alright perfino per la copertina. I nostri erano
ritratti, alla fine di una notte brava,
addormentati
in un vicolo ed avvolti in una bandiera
inglese.
Facevano perfino tenerezza, come fanno
ancor
oggi, tutto sommato.
Le parole di My Generation centravano come poche altre canzoni alcuni
dei motivi dell'incomprensione tra
giovani
e "matusa", cioè i vecchi
"benpensanti
( e malfacenti ipocriti).
Quando Pete Townshend scriveva "spero
di morire prima di invecchiare" non
intendeva dire solo che sperava di non diventare
un peso per i nuovi giovani, ma proprio di non diventare
mai un ferrovecchio, un ottuso moralista,
uno sciocco proibizionista, uno che
non capiva
la vita degli altri, essendosi scordato
della
propria.
Fantastico, no?
Il testo di My Generation tradotto dal Reverendo lo trovi cliccando qui.
gm 22 maggio 2003
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