Kansas City Blues: chapter 8
Suoni neri e suoni bianchi: confrontare per capire

Lasciando il Kansas per l'est, lo si è già detto, il sound di Basie aveva perso spontaneità e furore primordiale, dovendo adattarsi ad un mercato ed ad un pubblico più "raffinato"...come se gli elegantoni della vita di notturna di Chicago e New York fossero così costituzionalmente diversi dai bieticoli e dai bovari del sudovest, ovvero una specie di intellettuali...
Certo, qualche differenza c'era, ma non sempre in meglio.
La realtà era ben diversa. Il pubblico del jazz era per lo più occasionale e spesso incompetente a giudicare. La grande massa degli acquirenti di dischi non aveva forse mai visto un'orchestrina di neri suonare dal vivo e nemmeno sentita alla radio.
Per moltissimi il jazz era la musica trasmessa dalle stazioni, cantanti e orchestre bianche come quella di Glenn Miller, o la poco conosciuta da noi Casa Loma, ma famosissima a quel tempo.
«La massa - scrive Gunther Schuller - mette Guy Lombardo, Lawrence Welk e Liberace nella stessa categoria di Artie Shaw, Goodman e Basie...[...] In questa marea di personaggi di successo, dove il tasso di divertimento conta più di qualsiasi idea originale o genuino contenuto d'arte, e il successo si misura su incassi e classifiche di vendita, l'eterna sfilata di stelle [...] esiste anzitutto per alimentare il mercato di massa e la sua "industria", come a buon titolo viene chiamata. Al grande pubblico non dirozzato non sembra importi molto se un musicista o cantante improvvisa e un altro no, se l'uno è nero e l'altro bianco, se uno veste in modo bizzarro [...] se uno sa due accordi e l'altro è un genio: né gli importa di accertarne le autetiche doti e virtù. Scegliersi un idolo in materia di "immagine" e "stile di vita" è faccenda ben più sentita.» (1)
Il paradosso era che il jazz era stato inventato dai neri, ma a beneficiarne in termini economici e di successo erano personaggi bianchi dei quali oggi nessuno ricorda il nome: Kay Kyser, Otrin Tucker, Wayne King o Sammy Kaye. Spesso scopiazzatori che fiorivano grazie al lavoro altrui, pochi quelli dotati di un qualche talento.
Per avere di questa merce si possono cercare titoli come So You Want To Lead A Band di Kay Kyser, o The Umbrella Man e Three Little Fishies di Sammy Kaye del 1939, o ancora Praise the Lord and Pass the Amunition del 1942.
A Kyser è persino stato dedicato un sito: www.kaykyser.net
Questa era la vera musica pop americana dominante nel periodo e spesso veniva considerata jazz, o quantomeno swing.
A questo tipo di interpreti non va nemmeno il merito di aver reso popolari canzoni e ballads dovute a compositori come Vincent Youmans, Jerome Kern, Richard Rodgers, il grande George Gershwin, Irving Berlin e Cole Porter. Il loro repertorio era molto più insulso.

I grandi del jazz - denuncia ancora Schuller - apparivano molto di rado nei programmi radiofonici. Louis Armstrong non lo conoscevano che pochi iniziati. Divenne famoso solo quando incappò in un hit di successo: Hello, Dolly.
E questo, senza contare che il jazz non godeva certo di buona reputazione. Fin dall'inizio fu osteggiato come degenerato e peccaminoso, oltre che volgare.
Proprio a New Orleans, la patria del jazz, nel 1917 era apparso un articolo sul Times-Picayune che vale la pena di riportare in parte: «Perchè esiste il "Jass" e quindi la "Jass Band"? E' come chiedersi il perchè dei romanzetti da due soldi o delle ciambelle che colano grasso. Sono tutte manifestazioni deteriori di chi non ha ancora fatto un bagno nella civiltà. Anzi si potrebbe dire dire che la musica "Jass" è il risultato indecente di una musica sincopata. Come la barzelletta sconveniente, anche il "Jass", nella sua giovinezza, si ascoltava a porte chiuse e dietro a tendine tirate, ma come ogni vizio, si fece più audace sino ad infiltrarsi in ambienti rispettabili, dove fu tollerato per la sua originalità.» (2)

E così la pensavano i bigottoni di tutte le specie, sia tra i bianchi che tra tanta parte della borghesia creola, che persino tra i neri in qualche modo arrivati a farsi una patina di rispettabilità e persino una posizione sociale. Tuonavano contro il jazz i predicatori protestanti, ed in parte anche quei pochi parroci cattolici che avevano qualche influenza. E attorno ai locali dove si suonava jazz, nelle zone più malfamate, tra le luci rosse, era spesso steso una specie di cordone sanitario.

Le cose cominciarono a cambiare con l'imporsi dello swing, cioè di un tipo di musica che sembrava fatto apposta per ballare. I giovani erano attratti in misura crescente da questa nuova moda e fu così che la composizione sociale dei frequentatori dei locali cominciò a mutare significativamente. Non più solo gangsters e perdigiorno annoiati ma anche una buona percentuale di borghesia e piccola borghesia, di giovani rampolli e ragazzine infularmate.
Questa parte della storia è ben raccontata da Arrigo Polillo: «In quasi tutte le sale da ballo, e in nessuna come al Savoy, imperversavano i jitterburgs, ovvero i patiti dello swing, gli specialisti del Lindy Bop. Molti bandleaders non li sopportavano perchè erano invadenti, disturbavano il resto del pubblico e distoglievano l'attenzione dall'orchestra per concentrarla su di sé. I veterani rimpiangevano i giovani che durante "l'età del jazz" ballavano il charleston o il black bottom, senza per questo mettere a ferro e fuoco il locale. Artie Shaw, in particolare, non li poteva vedere: diede la colpa a loro quando, nel 1939, piantò in asso la sua orchestra per fuggirsene tutto solo nel Messico, lasciando di stucco il mondo dello swing.» (3)

Al grande successo dello swing e della nuove mode contribuì certamente un cantante di talento (vero) come Bing Crosby che all'inizio stava nell'orchestra semijazz di Paul Whiteman, ma che poi cantò anche con Louis Armstrong e si fece accompagnare nientemeno che da Duke Ellington per l'incisione di St.Louis Blues.
Scomparso prematuramente, Crosby lasciò campo libero all'emergente Frank Sinatra, che cominciò a farsi conoscere cantando nell'orchestra swing di Harry James, proprio nel '39.
Poi passò in quella di Tommy Dorsey registrando hits di successo come I'll Be Seeing You, I'll Never Smile Again e Stardust.
Dunque, per avere idea della reale consistenza della musica leggera americana ai confini col jazz (od intrisa di jazz, a seconda dei punti di vista) è a Crosby ed a Sinatra che si deve guardare.
Nel confronto, tra queste sonorità e quelle tipiche delle orchestre nere, in particolare quella di Basie, si percepisce la palpabile differenza, anche se quella che troviamo nelle incisioni di fine anni trenta ed i primi anni quaranta è già una musica ammorbidita ed arrangiata secondo i canoni del momento.

Nessuno studioso, tuttavia, si era mai sognato di metterne in discussione la qualità. Più o meno tutti concordavano sul fatto che l'orchestra Basie si era rivelata come la migliore swingband dopo quelle classiche di Duke Ellington e Jimmy Lunceford, e che rispetto a queste suonava con maggior vigore un repertorio nero, cioè blues, più fedele alle fonti ed allo spirito originari. La tromba di Buck Clayton, la voce di Jimmy Rushing, il tipico ed inconfondibile tocco pianistico di Basie erano i suoi marchi di fabbrica. Il sax tenore di Lester Young apportava un tocco da fuoriclasse. Ed anche quando questi suonava il clarinetto, come in Texas Shuffle, graffiava come nessun altro prima.
Ma, da qualche tempo, è arrivato a sconvolgere le carte il buon Gunther Schuller, e così eccoci alla formulazione di una nuova prospettiva critica che bisogna conoscere per essere aggiornati.
La novità va salutata positivamente giacchè sembra essere entrati in una fase nella quale a scrivere e ragionare sulla storia del jazz non sono più solo appassionati con qualche infarinatura di metodo storico ed un occhio particolare alla sociologia, od intellettuali impallinati di Charlie Parker o John Coltrane, ma musicisti di professione, ultrapreparati nei conservatori e dotati del massimo di preparazione in teoria musicale.
Le analisi di Schuller costituiscono un prezioso arricchimento ed in molti casi una vera e propria guida all'ascolto.
Dei suoi giudizi ci occuperemo nel prossimo capitolo. Non solo per approvarli, ovviamente.

note:
(1) Gunther Schuller - Il Jazz /L'era dello swing - Le grandi orchestre nere - EDT
(2) citato in Omero Barletta - A qualcuno piace caldo - Fornasiero Editore Roma
(3) Arrigo Polillo - Jazz - Mondadori

Molte preziose informazioni su un libriccino da mille lire: La Musica americana dal song al rock di Walter Mauro - collana il Sapere della Newton Compton

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