Kansas City Blues: chapter 6

Il razzismo, quale bestialità!

di Guido Marenco

Il treno andava e Basie continuava a sprizzare un certo ottimismo, ma ad ogni stazione c'era da pagare un pedaggio pesante alla società americana, ai pregiudizi ed all'ignoranza dominanti. L'accesso agli alberghi riservati ai bianchi era rigorosamente proibito, anche nelle città del nord e dell'ovest. Nei locali i musicisti entravano dagli ingressi di servizio, suonavano e poi uscivano, sempre dalla porta posteriore.
L'autobiografia dettata da Billie Holiday a William Dufty contiene testimonianze agghiaccianti e fa comprendere perchè ella finisse col preferire il sud tradizionalmente razzista al resto d'America, che ufficialmente avrebbe dovuto non esserlo!
Laggiù, almeno, c'era meno ipocrisia.

Nel periodo precedente all'incontro con Basie, aveva lavorato ad Harlem soprattutto con il pianista nero Teddy Wilson, nei locali della Cinquantaduesima Strada, dove impazzava la moda dello swing.
" Non c'era da raccogliere cotone tra Leon & Eddie's e l'East River ma credimi, da qualunque punto di vista tu la guardassi, era vita da piantagione. E noi non si andava lì per i punti di vista. Noi si doveva starci dentro. Fraternizzare con i bianchi era proibito nel modo più assoluto: appena finito il nostro numero ci toccava scappar via dalla porticina di dietro e andare a rimpiattarci nella stradina di fuori." (1)
La violazione delle regole portò al licenziamento di Billie. Un miliardario senza pensieri insistette per sedersi a bere con lei ed altri musicisti. Dopo numerosi rifiuti, una sera Billie andò dritta al suo tavolo.
Perchè ne aveva le tasche piene di quella situazione.
"Si bevve insieme un paio di bibite e furono le ultime che presi in quel locale per un bel po': Quando mi alzai il padrone mi avvertì che potevo ritirare le mie carabattole e filare, perchè ero licenziata. E fu tanto carogna da licenziare anche Teddy che non aveva fatto niente." (idem)
La storia ebbe comunque un lieto fine, perchè il simpatico Paperone fece assumere Teddy Wilson in un'orchestra della radio, mentre Billie trovò ingaggio quella sera stessa in un altro locale ( era davvero troppo brava per rimanere disoccupata), ma resta l'umiliazione bruciante, e sempre ti accompagna la domanda: perchè sono nera? E perchè i neri sono trattati come cani?

Anche il successo, il calore del pubblico, gli applausi non servivano granchè. Semmai aggravavano la situazione. Era come sentirsi accettati a metà. Massì, sei nero e bastardo, però sai cantare e suonare, dunque, se non altro ci sai fare! Ma, senza ciò, saresti niente.
Sono convinto che questi fossero i tormentoni che assillavano non solo Billie, ma anche i meno fortunati di lei, le cantanti meno famose, i musicisti meno bravi. Tante storie di vite spezzate dalla depressione psichica che porta a bere ed a farsi di droga, riducendoti ad uno straccio, si spiegano così. Presentate sempre come un cedimento alla bella vita, nella comoda interpretazione dell'individuo viziato che non sa mettersi un freno, le cadute di tanti musicisti furono, specie in quegli anni, nient'altro che vie di fuga da una realtà insopportabile: belli di notte, osannati, applauditi, finchè in grado di esibirsi; brutti ed intollerabili di giorno, da tenere a rispettosa distanza, sempre e comunque.
Le cose non andavano diversamente sulla West Coast, nella mitica Hollywood e nei locali di Los Angeles, come racconta la stessa Billie, anche se tra gli attori, i registi e tutta la pseudo intellighentsia hollywoodiana spirava, ovviamente, un certo vento progressista e di apertura.


note:
(1) Billie Holiday - La signora canta i blues - Feltrinelli

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