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Junior Wells - Hoodoo Man Blues
Delmark -1965

Ecco un pezzo di capitale importanza e di rara bellezza per il blues e per la musica nera in generale. E', a mio parere, uno dei dieci dischi blues da sentire assolutamente per farsi un'idea corretta.
Ma, andiamo con ordine.
Junior Wells era nato a Memphis, nel Tennessee, il 9 dicembre del 1934. Aveva imparato i segreti dell'armonica blues da un'altra leggenda vivente: Little Junior Parker. Poi aveva fatto il gran salto a Chicago, iniziando a suonare con un gruppo costituito insieme ai chitarristi David e Louis Myers nei clubs del Southside.
Si chiamarono The Deuces fino a quando venne a far parte del combo il batterista Fred Below (altra figura mitica del blues chicagoano). Allora cambiarono la loro "ragione sociale", diventando The Aces.
Non so dire se esistano o meno incisioni relative a questo periodo ma sarebbe un gran bel colpo di fortuna se prima o poi saltassero fuori.

La svolta nella vita artistica di Junior Wells, il cui vero nome era Amos Blackmore, si ebbe quando incontrò il chitarrista Buddy Guy. Nacque un'intesa duratura, destinata a fare epoca. Wells colloborò ai dischi incisi da Guy e Guy fu spesso presente nelle incisioni realizzate da Wells fino alla fine del secolo trascorso, quando Junior passò tristemente a miglior vita. Il sodalizio ebbe momenti di grande celebrità, specie quando fece da apripista ai Rolling Stones in una loro tournè. Il momento è documentato da un discreto disco live dei primi anni '80: Drinkin' TNT 'n Smokin' Dynamite, lavoro che, peraltro, solo pochi trovano realmente entusiasmante perchè troppo plateale e gigione. Io non ho la puzza sotto il naso e quindi lo ascolto spesso e volentieri.
L'esordio su vinile fu, per l'appunto, segnato dall'incisione del disco di cui stiamo parlando.

Fin dal primo brano, Shat On It Back And Hold It, si avverte l'intensità dell'atmosfera blue realizzata dalla sezione ritmica e dalla chitarra di Buddy Guy. Wells ha un canto particolarmente felice, scorrevole, più vicino alle intonazioni rock'n'roll che al tradizionale impasto blues del Delta, eppure la matrice apparirebbe indiscutibilmente nera anche a chi ignorasse le origini del nostro.
Non so se sia questione di DNA o di tonsille, tuttavia una voce nera ha quasi sempre un qualcosa di ruvido, rugoso, sciupato, che nemmeno i migliori epigoni bianchi del genere, da Steve Winwood a Jack Bruce, da Lowell George al recente talento canadese Remy Shand, riescono ad avere.
Anche la dizione, lo spelling particolarissimo, sembra avere un ruolo distintivo. Wells assume spesso un tono colloquiale, discorsivo, a tratti declamatorio, senza fare del rap antelitteram. Il canto rimane canto con un melos inconfondibile. Quanto alle parti suonate con l'armonica, devo dire che Wells sembra in grado di rapire, letteralmente, con chorus vicini ai migliori tenorsassofinisti del bop e del soul jazz, senza mai, peraltro esagerare in assoli sproloquianti. Wells fu maestro anche in questo: sentiva quando era ora di chiudere con perfetto tempismo.
Ma, a prescindere da queste sottolineature tecniche, Hoo Doo Man Blues è un grande disco anche perchè fresco e vario; la differenza con tanta recente produzione, specie quella targata Alligator, in quelle tracks che suonano tutti uniformi ed uguali, persino uggiose, si sente.
I quattro suonatori, oltre a Guy e Wells giostravano anche Jack Myers al basso e Billy Warren alla batteria, dimostrano grande abilità nel variare, persino cambiare repentinamente la spinta ritmica. Tra i quattro c'è interplay, non solo intesa ma affluenza ad un unico progetto creativo.
Piacevolissmo prodotto che nemmeno 37 anni dopo mostra i segni del tempo, Hoo Doo Man Blues vale certamente la cifra richiesta dai mercanti di suoni. Altrimenti fattelo prestare. So long!
Altri dischi di questo spessore:
Junior Wells - Blues Hit Big Town - Delmark - 1977
Junior Wells - Come On In This House - Telarc - 1997

gm - 15 settembre 2002