Brevissima storia dell'estetica musicale

Capitolo3 - Dall'antichità al Medioevo: Boezio e Cassiodoro
di Guido Marenco


Boezio fu insieme l'ultimo dei pensatori antichi e il primo filosofo autenticamente medioevale e scolastico. Visse dal 475 d.C. al 525, un periodo drammatico caratterizzato dal predominio dei barbari e dal declino dell'antica civiltà, sempre che si possa considerare civile un mondo nel quale erano stati possibili spettacoli infami quali il combattimento dei gladiatori o quello dei cristiani divorati dalle belve del circo.
Noto sopratutto come studioso di logica, egli cercò di conciliare le antiche filosofie di Platone e di Aristotele.
La sua vita fu segnata dal dramma di una persecuzione avviata nei suoi confronti dal despota barbarico Teodorico, che lo fece imprigionare e poi condannare a morte.
In carcere Boezio compose il De Consolatione Philosophiae, un classico che ancor oggi merita la nostra attenzione per le considerazioni che egli fa svolgere alla Filosofia stessa attorno ad un quesito tanto elementare quanto profondo: perchè, se Dio esiste, i giusti ed i buoni sono condannati ad un infausto destino, mentre gli empi ed i malvagi sono baciati dalla sorte? Possiamo continuare a credere che la Divina Provvidenza governi il mondo?
Risposta che si troverebbe già nello stesso racconto evangelico, una storia a lieto fine, considerata la resurrezione dai morti, ma che Boezio, sebbene cristiano, preferì affrontare da filosofo. E l'ingegno del filosofo sta nel discernere acutamente, non già nel fare confusione. Orbene, la distinzione di Boezio sembra avere una sua profondità, giacchè un conto è parlare di Provvidenza (altro non è che l'ordine del creato, per il quale tutto è ordinato come dev'essere, e per questo il mondo della natura funziona), un conto è parlare di destino, cioè la legge di successione delle cose e degli eventi, legge per la quale ad una grave malattia segue la morte, ma alla quale potrebbe anche seguire una guarigione. Il destino, in altre parole, non si oppone alla Provvidenza, ma la serve. In ogni destino, tuttavia, vi è un margine di libertà che tanto è più ampia quanto più l'individuo è evoluto e consapevole. Nell'uomo questo margine è molto grande e tanto è più grande quanto l'uomo può fare a meno del mondo, delle passioni, delle ambizioni e del movimento. Completamente immobile, dice Boezio, l'individuo è anche completamente libero.
Come si vede, questa è una concezione fondata più sul ragionamento che sulla fede. Essa poggia sulla considerazione del grado di dipendenza dagli altri e quindi dal mondo. L'uomo che meno necessita (di schiavi, servitori, beni terreni, cibo, calore, passatempi, affetti, riconoscimenti mondani e così via) è più libero in quanto libero da bisogni. Il suo destino sarà dunque più fortunato perchè è questa libertà interiore la premessa del supremo appagamento che è la conoscenza.
Amore per questa conoscenza altro non è che la stessa filosofia.
In questa luce si vede la profondità logica e speculativa di Boezio, la quale viaggia al limite di una visione se non disumana, certamente sovraumana.
Anche il dolore e le frustrazioni non sono che il risultato di una privazione o di una mancata realizzazione dei desideri.
Sorprendente in questa chiave del tutto nichilistica verso i vantaggi del vivere sociale (pensiero che era già presente in Aristotele, peraltro, quando affermava che solo un semidio od un dio avrebbero potuto vivere al di fuori ed al di là di ogni rapporto di dipendenza sociale), Boezio un po' delude quando comincia a parlare di musica.
Le sue concezioni di estetica musicale poggiano ancora su una visione aristocratica per la quale tutto ciò che è manuale è da disprezzarsi ed anche l'arte del musicista non può essere paragonata alla sapienza del teorico che comprende l'intima essenza della musica stessa. Che ci siano ancor oggi dei critici musicali che sotto sotto la pensino così è fuori discussione. Basta leggere ciò che scrivono e come. Si credono superiori al praticone che suona senza comprendere, facendo finta di ignorare che essi dipendono in toto dall'esistenza di gente che suona e che compone. Non esistessero i musici, non esisterebbe la musica e non esisterebbero nemmeno i critici.
Solo che, a differenza di questi moderni che prosperano sul lavoro e gli errori altrui senza avere la modestia di riconoscerlo, Boezio poteva credere di avere una fondata giustificazione filosofica. Egli, infatti, come i pitagorici e Platone, non considerava il suono prodotto dagli strumenti come la forma musicale più alta. Ben prima di essa c'era infatti l'armonia delle sfere celesti, la musica del cosmo e degli astri, il divenire stesso nel tempo dell'eternità.
Boezio chiamò questa musica naturale e suprema musica mundana. Ma in realtà noi non avvertiamo tale suono, possiamo solo raggiungerlo attraverso un concetto astratto. Esso è il significato stesso dell'armonia celeste, il riflesso di un'idea ancor più alta per la quale noi percepiamo di non vivere in un caos, ma in un ordine perfetto, dunque in un un mondo dotato di senso. Il che riporta alle concezioni aristoteliche di un cielo incorruttibile e di un mondo sublunare destinato a crescere, svilupparsi, deteriorarsi e morire.
Subordinata alla musica mundana esiste per Boezio la musica umana, cioè il canto dell'unione tra anima incorrutibile e corpo mrtale. Essa non è ancora identificabile con il canto o il suono prodotto dagli strumenti, ma ancora un'armonia inudibile, ovvero l'accordo fondamentale tra anima e corpo.
Può essere intesa solo discendendo in sé stessi e consiste principalmente nell'armonia psicofisica: «cos'altro è che congiunge tra loro le parti della stessa anima, la quale come piace ad Aristotele, è formata di razionalità ed irrazionalità? E che cos'è che mischia gli elementi del corpo o contiene in sé le parti di una stabile relazione?» (1)
Ad un livello ancora inferiore, di autentica imperfezione, vi è la musica prodotta dagli strumenti.
Boezio non ebbe grande opinione di questa musica, che è poi la musica reale, come del resto non ebbe grande opinione dei musicisti, considerati suonatori e manovali. Continuando nel solco della divisione tra teoria e pratica, affermò la superiorità della teoria, dato che la mano non può che eseguire ciò che la mente sa.
«Musicista non è tanto chi suona uno strumento, ma chi ha acquistato la scienza del canto a ragion veduta, senza subire la schiavitù della pratica e con la guida della speculazione» (2)
L'arte della musica da quindi vita a tre generi di attività: la realizzazione di musica con gli strumenti, la realizzazione di poesia, la valutazione di musica e poesia. Ovviamente, per Boezio, l'attività del suonatore è la più infima, perchè compromessa con il lavoro manuale, mentre la più alta è quella del critico.
Scrisse tra l'altro: «... i citaredi e coloro che rendono gradita la loro arte mediante l'organo e altri strumenti musicali sono lontani dalla comprensione della scienza musicale perchè hanno la funzione di servi, come è stato detto, e non apportano alcun elemento razionale... Il secondo genere poi, tra coloro che fanno musica, è quello dei poeti, i quali sono portati alla poesia non tanto dalla speculazione e dalla ragione, quanto da un certo istinto naturale. E perciò anche questo genere si deve superare dalla musica...[mentre il terzo genere è proprio di colui] che acquista l'abilità di giudicare per poter esaminare i ritmi, le cantilene e tutta la poesia. E poichè questo genere è fondato tutto sulla ragione e sulla speculazione questo va assegnato alla musica vera e propria.» (3)
In questa prospettiva, Boezio si trovò nella necessità logica di giustificare l'esistenza di una fisica musicale, cioè di come la musica effettivamente prodotta colpisca i nostri sensi prima ancora che la nostra ragione e la nostra capacità di comprensione. Non potè che ribadire la fallacia dei sensi, argomento tanto caro agli antichi, in particolare ai platonici ma, appoggiandosi ad Aristotele, affermò che è possibile una scientia della musica e quindi un giudizio sui suoni. E riprendendo alcune antiche dottrine pitagoriche, egli riprese l'importanza dell'orecchio e del senso uditivo in generale. Non è l'orecchio a giudicare, evidentemente, ma la nostra ragione, tuttavia l'orecchio è utile strumento che, ad esempio, distingue un suono acuto da uno grave, o la durata di un intervallo. Il senso dell'udito è una specie di primo gradino sulla via della conoscenza, anche se poi spetta alla ragione il completamento del processo cognitivo.

Cassiodoro fu contemporaneo di Boezio. Il Gilson, nel magistrale La filosofia nel Medioevo, afferma che contese a Boezio il titolo (postumo) di ultimo dei romani. Dopo una brillante carriera politica, si ritirò in un monastero che aveva fondato egli stesso, a Vivarium, in Calabria. Qui egli compose sia il trattato De Anima che le Institutiones divanurum et secularium litterarium. E' in questo secondo scritto che si trovano importanti riflessioni sulla musica.
Rispetto a Boezio, Cassiodoro insistette sul valore etico e religioso del fare musica, il che sembra davvero un passo avanti, perchè non vi trovò nulla di aristocraticamente riprovevole. Fubini (4) afferma che Cassiodoro considerò la musica essenzialmente come armonia e ritmo interiore. E aggiunse che obbedire ai comandamenti divini significa realizzare questa armonia: «se noi viviamo virtuosamente, siamo costantemente sotto la sua disciplina; ma se noi commettiamo ingiustizia, rimaniamo senza musica.» (5)
Perciò la musica è sottoposta alla religione, è parte di essa, per certi aspetti è un premio alla vita retta, un anticipo di quello che conosceremo nella vita eterna. Ma sotto il profilo teorico la musica è soprattutto scientia, cioè il sapere il rapporto numerico tra i suoni.
Ma, oltre il semplice matematismo, Cassiodoro insistette sul carattere privilegiato dello studio musicale: esso "innalza i nostri sensi alle sfere celesti e dà piacere alle nostre orecchie con la melodia, è il più utile ed il più gradito" - affermando ancora:" per riassumere tutto in poche parole, nulla nelle cose del cielo o di questa terra che sia compiuto secondo i piani del Creatore, può essere estraneo a questa disciplina."
Forte di questa diretta discendenza della musica da Dio, Cassiodoro ne esalta l'utilità sociale ed igienica. La musica ha un potere magico. Può guarire la psiche ed il fisico, rende sereni ed armoniosi. Fa riscoprire il senso ed il gusto della vita.
L'importanza di queste concezioni, che nel complesso appaiono più democratiche e meno esclusive di quelle Boezio, si lega strettamente al fatto che l'opera del musico, sia esso semplice esecutore od anche compositore, appare rivalutata quale realizzatore di una superiore volontà che ha posto nell'uomo l'istinto musicale e la facoltà di realizzarlo in opere.
Le Institutiones di Cassiodoro furono importanti nella cultura medioevale, perchè trasmisero al mondo prima barbarico e poi feudale importanti valori della civiltà antica. «Esso, infatti, - scrive Etienne Gilson - costituisce da solo una specie di enciclopedia delle arti liberali, o piuttosto di ciò che è necessario o sufficiente che ne sappia un monaco per studiare con profitto le Scritture e, a sua volta, insegnarle.» (6)

(1) Boezio - De Musica
(2) idem
(3) idem
(4) Enrico Fubini - L'estetica musicale dall'antichità al Settecento - Einaudi 1976
(5) Cassiodoro - Institutiones divanurum et secularium litterarium
(6) Etienne Gilson - La filosofia nel Medioevo - La Nuova Italia 1983

Guido Marenco - 6 novembre 2003