Brevissima storia dell'estetica musicale


Capitolo 1: La Grecia
di Guido Marenco



E' diffusa la convinzione che la musica significhi qualcosa di diverso da sé e rappresenti un modo per esprimere sentimenti, emozioni, situazioni, indipendentemente dalla presenza o meno di un testo.
Beh, chi la pensa così, esprime una visione romantica della musica, ovvero la convinzione che essa sia un linguaggio in grado di comunicare al pari delle parole, se non meglio.


Sfogliando tra le molteplici pubblicazioni e riviste, anche le più povere intellettualmente, che commentano la musica pop contemporanea, emerge che tale visione romantica detiene una sorta di egemonia.
Difficile trovare chi ne prescinda, o chi la osteggi. Facilissimo, al contrario, incontrare interpretazioni romanticheggianti di cantautori, bluesmen e folksingers, di gruppi rock e jazz, che valutano le singole opere in base a criteri squisitamente romantici ed espressivi.
La stessa cosa è altrettanto visibile tra il pubblico dei fruitori, i quali non cercano solo una musica bella o piacevole, ma in generale, una musica che procuri emozioni, che incontri sentimenti, che dica qualcosa di vero, sentito ed attuale.

Il filosofo che più lucidamente espresse questa teorizzazione fu Hegel, all'inizio dell'ottocento, anche se dobbiamo al suo rivale Schopenhauer e, più tardi, allo stesso Nietzsche, una potente esasperazione del concetto della musica come espressione, quindi come significante di un significato estraneo alla musica stessa.
Al romanticismo seguì una reazione, ed in epoca moderna sia molti filosofi che molti musicisti rifiutarono questa teorizzazione. Tra questi ultimi Igor Stravinski. Tra i teorici quelle espresse da Eduard Hanslick.
Per capire come e perchè si sia arrivati a formulare teorie estetiche in campo musicale si deve risalire alla notte dei tempi, quando qualcuno iniziò una riflessione sul perchè delle cose e dei comportamenti umani, nonchè sulle arti in generale.

Filosofi come Platone ed Aristotele si erano chiesti, innanzitutto, se la musica fosse utile e positiva, oppure dannosa alla formazione dell'uomo. Fortunatamente, nonostante alcune riserve, essa venne ritenuta sia utile che positiva.
Non che facesse davvero bene, ma non faceva nemmeno male. Platone si limitò a raccomandare, nei famosi scritti raccolti nella Repubblica, la messa al bando della estenuante e snervante armonia lidia, forse qualcosa di simile a litanie new age che ci perseguitano oggidì. Ma propose di inserire la musica tra le materie di educazione dei giovani., e questa importante raccomandazione fece scuola e fece proseliti.

Tutto sommato, veniva accolto l'antico insegnamento pitagorico, secondo il quale la musica era costruita su regole armoniche di tipo matematico, e quindi rispecchiava l'ordine sovrannaturale e naturale del cosmo, la sua segreta struttura, compresa solo dalle menti eccelse dei veri "filosofi", per i quali non vi era alcuna stranezza inspiegabile nell'esistenza delle cose e della realtà, poichè tutto era equilibrio e numero.
Ma la tradizione pitagorica, decisamente razionalistica, sembrava non tenere conto sia della leggenda che della realtà vera. Da un lato, infatti, il mito greco si nutriva di storie quali quella di Orfeo, capace di trascinare i sassi e le piante, e di ammaliare le belve con la fascinazione del canto e del suono. Dall'altro, accanto a momenti di solare esibizione musicale di cantori ed aedi, paragonabili a concerti moderni durante i quali un pubblico seduto assisteva ad uno spettacolo, esistevano certamente situazioni nella quale la musica veniva eseguita per eccitare gli animi, accompagnare la danza, fornire il giusto pathos allo svolgimento di misteri religiosi e cerimonie di vario tipo, comprese le sfilate militari.

Quando si parla di antica musica greca, in realtà, non sappiamo bene di cosa parliamo, e nemmeno possiamo dire se vi siano suoni e melodie attualmente ascoltabili che in qualche modo la riecheggino.
Per anni ho vissuto la suggestione che La danza di Zorba di Theodorakis rispecchiasse un'antica realtà della musica greca ma ora, francamente, la cosa mi sembra piuttosto improbabile.

Qualcuno ha detto che i raga indiani potrebbero avere qualche affinità con il suono dei primordi; io ne dubito, e credo di essere in buona compagnia, visto che in genere gli studiosi più seri ed accreditati hanno affermato che la musica greca era estremamente semplice. Gli strumenti utilizzati erano rudimentali, e nulla di simile a quanto disponiamo oggi.
I greci disponevano solo di una sorta di flauto, e della cetra, oltre che di tamburi e percussioni di vario tipo. Nella sua Breve storia della musica, Massimo Mila non accenna nemmeno all'esistenza di strumenti tipo corni e trombe. Il che non significa che non esistevano nemmeno, visto che le popolazioni e le civiltà che si affacciavano sul Mediterraneo indubbiamente ne facevano largo uso.
Aristotele, nella Poetica, parla espressamente di aulistica e citaristica, cioè di arte di suonare il flauto e di arte di suonare la cetra, ma non di trombistica (si passi il termine!). Il che fa supporre che le trombe, se pure esistevano, non erano tecnicamente in grado produrre una vasta gamma di suoni.
La stessa Bibbia, però, riporta il fantasioso episodio della caduta delle mura di Gerico, fatte crollare col suono delle trombe.
Dubbi di questo tipo potrebbero essere risolti solo dall'archeologia, o trovando la carcassa di qualcosa di simile ad una tromba, o trovando dipinti, sculture o scritti che ne facciano cenno.

Su queste basi, pertanto, la riflessione dei filosofi antichi e la loro consapevolezza dell'arte musicale andrebbe riportata ai limiti stessi di una musica priva dello spessore e della complessità raggiunta, sia in occidente che in India o in Cina nel corso dei secoli.
Pare tuttavia interessante mettere in rilievo il dato cui abbiamo già fatto cenno: sia per Platone che per Aristotele, che per il primo grande teorico-filosofo di estetica musicale, Aristosseno di Taranto, cresciuto alla scuola di Aristotele, la musica aveva un effetto sulla volizione umana, nel senso che agiva sull'anima (cioè la psiche) e persino sulla volontà.
Era quindi persino ovvio che i filosofi si interessassero di questa "forza misteriosa" (così la chiama Massimo Mila) sia per conoscerne meglio natura ed origini, sia per porla al servizio dell'etica, ovvero per valersene come fosse una sorta di medicina morale.
«Proseguendo su quella strada - afferma lo stesso Mila - si stabilì che l'azione della musica era di tre specie fondamentali, a seconda che produceva un atto della volontà, oppure paralizzava la volontà stessa, oppure provocava uno stato di ebbrezza, di estasi.»
Secondo Aristosseno, autore di una prima opera interamente dedicata all'argomento ed intitolata Armonia, la musica si poteva quindi classificare in base agli effetti psicologici come diastaltica, sistaltica ed esicastica .
Aristosseno, insomma, proseguì sulla via tracciata da Platone, per il quale l'aspetto più interessante dello studio della musica era costituito dagli effetti psicologici, e di conseguenza, sociali.

Aristotele, com'è noto, pur condividendo più l'interesse di Platone per gli effetti psicologici anzichè per il fatto musicale in sé, fu di vedute più larghe e non predicò alcuna messa al bando. Ogni musica, anche la più snervante, dolorosa e voluttuosa, poteva essere tranquillamente suonata, purchè non occupasse spazi che non le competevano, provocando squilibrii nella vita individuale e sociale.
La catarsi, cioè la purificazione della psiche attraverso la riproduzione estetica e spettacolare di particolari affezioni dell'anima, rappresentava, anzi, per Aristotele, un momento positivo e non un momento pericoloso e di rischio per l'anima stessa.

Sul piano più squisitamente teorico, Aristotele aggiunse anche una valutazione che ha incontrato feroci opposizioni e critiche, quali quella dello stesso Mila.
Infatti, lo stagirita affermò che la musica non è l'espressione dei propri sentimenti e della propria personalità, ma la ricostruzione oggettiva dei sentimenti altrui, proponendo quindi una musica di origine "illustrativa" anzichè "liricamente espressiva".
Mila definisce questa concezione un errore ma, francamente non ne capisco il motivo, considerando che vi sono chiarissimi esempi in tutte le tradizioni musicali, sia di musiche illustrative che di musiche ispirate dalla più genuina soggettività. Un esempio è facilmente riscontrabile nel melodramma, dove la musica ha il compito di accompagnare le varie situazioni rappresentate sul palcoscenico da attori-cantanti, necessitando quindi di adattarsi ad un contesto. Nessun musicista di senno, credo, si sia mai proposto il contrario, ovvero di adattare la storia alla sua musica. Tuttavia, proprio nello stesso melodramma, vi sono situazioni nelle quali particolari momenti sono caratterizzati di vere esplosioni di lirismo, da canti talmente veri che non possono che essere l'espressione di un vissuto soggettivo. Il compositore, in sostanza, è talmente immedesimato nei panni del protagonista da essere lui stesso il protagonista.

Proprio questo esempio ci riporta al motivo per cui Aristotele insistette sul carattere illustrativo della musica, avendo funzione di supportare la tragedia, e fors'anche la commedia.
Probabilmente lo stesso filosofo non aveva, e non poteva avere una vera consapevolezza dell'autonomia della musica dalla tragedia e dalla poesia, e quindi della possibilità di una sua dignitosa esistenza indipendente. Ciò era determinato dalla povertà di mezzi (cioè di strumenti) a disposizione, e rispecchiava una consapevolezza diffusa: ovvero che la musica era pur sempre quella che nasceva attorno al canto della voce umana, e che si organizzava attorno al coro tragico, ovvero il nucleo primitivo della stessa tragedia.

Tuttavia, sarebbe del tutto riduttivo limitare la concezione di Aristotele ad una concezione illustrativa.
In realtà egli definì tutte le arti come imitative di ciò che esiste in natura e che si può osservare nei comportamenti umani. Probabilmente intese anche la musica come imitazione, ma questo non è detto espressamente. Ognuno di noi, però, ha ugualmente la possibilità di verificare come il suono del flauto ricalchi sicuramente il canto degli uccelli più di qualsiasi altra cosa.
Nelle prime pagine della Poetica è raccontata una breve storia della nascita e dello sviluppo della poesia, della tragedia e della commedia che si intreccia strettamente a quella della vicenda musicale.
Mila ha definito pedanti queste pagine, mentre al contrario, sono, a mio avviso di estremo interesse perchè segnano l'inizio di una riflessione sul tema estetico.

Leggere quanto dissero Platone, Aristotele e Aristosseno sull'argomento non farà sicuramente male. Purtroppo, di questo ultimo autore non ci sono giunti che due libri ed alcuni frammenti del citato trattato Armonia.
Merito di Aristosseno, secondo Enrico Fubini, fu il mettere "per la prima volta in forse la subordinazione della musica e della teoria musicale alla filosofia."
(1)
«Ciò che più colpisce nei suoi scritti è l'accentuazione dell'importanza della percezione uditiva nella formazione di un giudizio sulla musica; egli non giunge certo ad una contrapposizione tra udito ed intelletto [...] per cui non sarebbe corretto attribuire ad Aristosseno alcuna nuova dottrina; piuttosto si può dire che egli approda ad una sintesi eclettica la cui enorme importanza nella storia dell'estetica musicale consiste nell'aver spostato il centro dell'interesse dagli aspetti intellettuali della musica, sin qui privilegiati, agli aspetti concretamente sensibili delle esperienze musicali.» (1)
Contestando ai pitagorici una teoria musicale fondata solo sulla relazione matematica tra i suoni, egli sottolineò il momento soggettivo della fruizione musicale, ed analizzò la reazione psicologica, evitando però di impantanarsi in una valutazione sulle conseguenze morali.
Tra un musicista ed un geometra (termine che non aveva per Aristosseno nulla di dispregiativo, visto che potremmo tradurlo anche come ingegnere, o architetto) correva una differenza che i pitagorici non avevano visto: il musicista percepisce una realtà diversa da quella puramente matematica. Il rapporto tra note ed intervalli non ha solo una struttura numerica ( e quindi teorica) ma trova la sua ragione nei sensi e nelle facoltà umane: udito ed intelletto in particolare, senza dimenticare la funzione della memoria, la quale è indispensabile per riconoscere la successione delle note che producono una melodia, e poi la faranno riconoscere ogni volta che la si ascolta.
Senza memoria, pare dire Aristosseno, non vi sarebbe la possibilità di cogliere e distinguere alcun fenomeno musicale.
Ad una concezione scientifica e razionalista della musica, Aristosseno oppose quindi un'interpretazione della teoria e della pratica musicale fondata sul momento vivo di quello che è la musica realmente: c'è chi suona e chi ascolta
.
«Si perde di vista la verità - affermava - se come fine ultimo non poniamo l'attività stessa che determina il suo oggetto piuttosto che l'oggetto stesso.» E per esporre esattamente il suo pensiero ricorse ad un esempio pratico: nessun strumento ha un'accordatura preesistente e fornisce di per sé un appoggio permanente alla teoria armonica. L'accordatura è stata dunque trovata in base ad un'esperienza e la sua realtà si trova soltanto nella memoria. (pensiero notevole questo, se si pensa che solo oggi, nell'età del digitale, e prima dei microsolchi, cioè nell'età di una memoria oggettiva e disponibile a chiunque perchè registrata, possiamo esattamente conservare le accordature riproducendole ogni volta che ci serve una verifica)
Quanto alla dottrina etica sui diversi tipi di musica, Aristosseno prese una posizione decisamente moderna., contestando, ad esempio, che il tipo di melodia lidia fosse solo dannoso alla formazione del carattere e poco virile.
Questa dottrina è solo frutto di una convenzione storica, che divenne come spesso accade una convinzione assoluta e un luogo comune.
Le stesse cose accadono oggi: il blues è la musica del diavolo solo perchè l'ha detto Robert Johnson. Inutile che tanti altri bluesmen, e sono la maggioranza, si ostinino ad effermare l'esatto contrario.
Comunque sia, fino a Platone sembra vero che il tipo lidio non era stato impiegato dai poeti tragici; in seguito lo fu. Analogamente, il tipo dorico, esaltato da Platone perchè serio e virile, fu impiegato per canti amorosi e vere e proprie sciocchezzuole.
Le osservazioni di Aristosseno furono quindi molto importanti per combattere sciocchi pregiudizi., ed assurde discriminazioni fondate sul genere.
Purtroppo esse tramontarono con il tramonto della civiltà antica stessa. Il medioevo, come vedremo, nel tentativo di contrapporre una musica ed un'estetica cristiana all'arte, alla musica ed all'estetica pagana, finirà per riprodurre gli stessi errori che avevano viziato le concezioni estetiche dei Pitagorici e di Platone.




Libri :
Breve storia della musica - Massimo Mila - Einaudi
L'estetica musicale dall'antichità al Settecento - Enrico Fubini - Einaudi -1976
Poetica - Aristotele - l'edizione che trovi
La repubblica - Platone - idem
Le leggi - Platone - idem



Note:
(1) Enrico Fubini - L'estetica musicale dall'antichità al Settecento - Einaudi -1976

gm -8 aprile 2003 - revisione e completamento del testo 6 novembre 2003