Dinah Washington

Unforgettable Dinah - Emarcy


splendida Dinah
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torna a suoni dal passato
Quando non ho impegni di lavoro, inizio spesso la mia giornata, verso le 7 del mattino, ascoltando le mie cantanti preferite: Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e Dinah Washington tra quelle della vecchia guardia; Cassandra Wilson e Dee Dee Bridgewater tra quelle più recenti. Non so perchè, ma Aretha Franklin preferisco sentirla di sera.
Dinah occupa un posto particolare nella mia discoteca: è la più trascurata, quella che è costata meno. 11 euro in cambio di due cd economici, uno dei quali stampato da una sottomarca e con un booklet da vomitare. Prima di questo investimento viaggiavo con alcune cassette registrate un ventennio fa su padelloni prestati dagli amici di allora.
Questa trascuratezza è strana perchè, ripeto, Dinah mi piace un sacco, al punto che fatico a trovare le parole giuste per inquadrarla e descriverla a chi non la conosce.

Di lei si è spesso detto che fu per la nuova musica americana, sul versante femminile, quello che Ray Charles fu sul versante maschile. Indubbiamente la sua influenza su tutte le protagoniste del rhythm 'n' blues degli anni '60 fu enorme. Diana Ross ed Ester Phillips guardarono a lei come ad un modello, ma anche Nancy Wilson e la stessa Aretha Franklin non possono dirsi estranee al suo lascito.
Eppure, in senso stretto, Dinah, il cui vero nome era Ruth Lee Jones, non fu una cantante di blues e nemmeno di jazz. Il suo repertorio toccava tutti i generi possibili ad eccezione, forse, del country. Comunque incise persino un celebre brano di Hank Williams, Cold Cold Cold, recentemente ripreso anche da Norah Jones (che così ha pagato il suo tributo alla Washington).

Dinah riusciva ad essere agrodolce nelle torch songs più sdolcinate, risultava eccezionale per dizione, tonalità e senso del ritmo negli standards del jazz; mi ha fatto prima apprezzare e poi amare le canzoni di Cole Porter. E con i blues ci sapeva fare come poche.
Torno spesso su Postman Blues e West Side Baby, brani tratti dall'altro cd che possiedo, perchè li trovo imperdibili e graffianti. Dinah riusciva a produrre con la sua voce quello che altri realizzavano con l'armonica, il sax, la chitarra. Da sola valeva un'orchestra, per capirci.

Nata il 24 agosto 1924 a Tuscaloosa, in Alabama, a tre anni era a Chicago, dove imparò a suonare il piano in chiesa, diventando in breve una apprezzatissima interprete gospel. Ma, a soli 15 anni, dopo aver vinto un concorso, entrò nel mondo delle esibizioni profane, cominciando a cantare e suonare in un night, il Garrick Bar. Il talent scout Joe Glaser la raccomandò a Lionel Hampton, e questi la prese nel suo gruppo dal 1943 al 1946, portandola ad effettuare le prime incisioni per la Keynote alla fine del 1943.
E' scontato che ogni grande artista debba avere un qualche padre ed una qualche madre diversi da quelli naturali: Dinah riconobbe apertamente il suo debito con Bessie Smith e Mahalia Jackson.

Visse una vita privata piuttosto avventurosa, sposandosi sette volte e litigando spesso con i maritini, i quali, molto probabilmente, si trovavano tra le sue braccia come tra quelle di un'affascinate pitonessa: soffocante e stritolante.
Per molti aspetti fu una sex symbol dell'epoca. Come ha scritto Vittorio Albani: " ...la Washington colpisce tutto e tutti trasformandosi, per l'immaginario collettivo, in una sorta di Marilyn Monroe di colore, capace allo stesso tempo di esaltare le più ovvie doti femminili e, in più, di santificare la tradizione musicale della religiosità nero americana." (1)
Divenne ricca in breve tempo e così acquistò alcuni locali ad Harlem, insieme all'agenzia teatrale più importante e redditizia del mondo della musica nera di quegli anni.
Era al centro del gossip del periodo, e ci stava disinvoltamente, tanto quanto in scena, guadagnando spesso le copertine delle riviste più dozzinali e pettegole.

Inevitabilmente, in un giudizio finale che tenga conto di tutta la sua produzione, non si sfugge alla constatazione che Dinah fu soprattutto un'interprete raffinata e piacevolissima di canzoni leggere, prive dunque di una particolare ed accentuata connotazione di genere. Certo, le atmosfere sono permeate di jazz tradizionale e swing, sono sempre tinte di gospel, ma la trama musicale è quella più commerciale.
Confrontando le incisioni più antiche e quelle degli anni '50 si nota una maturazione della voce ed anche delle qualità interpretative. Basta mettere sul piatto What A Difference A Day Makes e confrontarlo con Postman Blues, per capire. Epperò maturazione, in questo caso, non è sinonimo di degenerazione, come per la malandata Billie Holiday ai tempi di Lady In Satin. La voce di Dinah mantiene una sua squillante dignità, alla quale si aggiunge un mestiere fuori del comune, anche quando impregnata di whisky e di fumo.
Tra i due cd che possiedo, questo Unforgettable Dinah, della Emarcy, distribuito dalla Universal, è il meglio inciso ed anche il più appetibile sotto il profilo della qualità musicale.
L'antologia è compilata con intelligenza, anche se non al punto da ritenerci completamente sazi.
In futuro dovremo provvedere ed il portafogli comincia a lamentarsi.
Comunque, amici cari, tranquilli, con questo cd ed una spesa irrisoria si investono benissimo i propri risparmi e non si sente minimamente l'esigenza di correre a comprare l'ultimo di Diana Krall, la quale ben venga, ma al confronto...non c'è partita!

Tra le chicche di questa antologia, ci sono delle perle da antologia di tutte le antologie. Make Me A Present Of You di Joe Green è semplicemente sontuosa, anche perchè la formazione che accompagna Dinah, diretta da Ernie Wilkins, è composta, tra gli altri, da tipi del calibro di Charlie Shavers, Clark Terry, Sonny Russo, Sahib Sihab, Benny Golson e Frank Wess.
C'è una Smoke Gets In Your Eyes che saluta i Platters da grandissima distanza, mentre I Wanna Be Loved, con il supporto del mostro sacro della black music, Quincy Jones, che qui dirige un'orchestra sviolinante, per quanto molto ben eseguita, non mi convince pienamente. Ma, a ben guardare è l'unico neo di tutta la raccolta.
Favoloso I've Got You Under My Skin di Cole Porter. Inciso dal vivo con una band leggendaria comprendente Clifford Brown, Maynard Ferguson e Clark Terry alle trombe, Junior Mance al piano, Kelter Betts al contrabbasso e Max Roach alla batteria, il brano ha un andamento insolito: tutta la prima parte è cantata da Dinah con il solo accompagnamento della batteria di Max Roach.. Poi il pezzo esplode, letteralmente, con l'entrata delle trombe. Sembra davvero di essere nel Gotha dell'arte jazzistica!
Sfolgorante, infine, Unforgettable, celebre motivo di Irving Gordon probabilmente nella sua versione più riuscita di sempre.
Ma è inutile spendere altri superlativi per il resto del cd: la buona musica si impone da sé, come sempre.

chairman - 20 giugno 2003
Track List
What a difference a day makes


I could write a book

Make me a present to you

Smoke gets in your eyes

I wanna be loved

Manhattan

I've got you under my skin

I remember Clifford

Unforgettable

Easy living

Back water blues

If I were a bell

Teach Me tonight

Keepin' out of mischief now

All of me

This bitter earth