John Coltrane
Giant Steps - Atlantic - 1960
Forse, questo è l'album giusto per cominciare
a conoscere John Coltrane. E prima di imbarcarsi
in audizioni più impegnative, converrebbe
ascoltarlo e rimuginarlo per bene.
Si tratta del primo disco realizzato
completamente
con materiali originali firmati dal
sassofonista.
Il quartetto non è ancora quello "storico"
con McCoy Tyner al piano, Jim Garrison
al
contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria,
ma una formazione comprendente Tommy
Flanagan
al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso
ed Art Taylor alla batteria.
Il brano numero 6, la celeberrima Naima, vedeva Wynton Kelly rimpiazzare Flanagan
e Jimmy Cobb in luogo di Taylor.
La ristampa in cd propone delle bouns tracks
con versioni alternative di Giant Steps e della stessa Naima eseguite con un quartetto ancora diverso,
quello che si era trovato in studio il 1
aprile del 1960 a New York City: oltre a
Coltrane e Chambers al basso, c'erano Cedar
Walton al piano e Les Humprhies alla batteria.
Si tratta in tutti i casi di fior di
musicisti
ma, l'interessante qui riguarda soprattutto
Coltrane, protagonista assoluto di
queste
incisioni.
Non è ancora il gigante delle registrazioni
successive, nonostante il titolo dell'album
richiami l'immagine di un'avanzata veloce
e rapida. Certamente, è un Coltrane che comincia
a manifestare una sua precisa ed inconfondibile
identità, proponendosi in un ambito che la
critica definiva ormai come post-bop, ovvero
con uno stile che andava già oltre la musica
che si era suonata fino ad allora.
Nato il 23 settembre 1926 ad Hamlet,
nel
North Carolina, il piccolo John aveva
certamente
mutuato dal padre, versatile polistrumentista,
il piacere di suonare.
Dopo studi regolari, a 15 anni, frequentò
la Ornstein School Of Music di Filadelfia.
Dall'età di 19 anni divenne un musicista
professionista, inserendosi nell'ambiente
del jazz e del rhythm 'n' blues.
Nel biennio 45-46 suonò nella Navy
Band di
stanza alle Hawaii. Poi lavorò con
Joe Webb,
King Kolax, Eddie Vinson ed il trombettista
Howard Mc Ghee. Nel 1949 fu con Dizzy
Gillespie,
poi passò con la formazione di Earl
Bostic,
che faceva del rhythm 'n' blues piuttosto
commerciale (che a me piace un sacco,
però).
Un musicista che influenzò Coltrane fu sicuramente
Johnny Hodges, con il quale Coltrane lavorò
durante un'evasione di questi dall'orchestra
di Duke Ellington, ma furono le collaborazioni
con Miles Davis e Thelonious Monk, ovvero
le due massime espressioni del jazz di quegli
anni, a lasciare un segno profondo.
Ancora incerto sulla direzione da prendere,
è sembrato a molti critici che Trane non
sia mai riuscito ad entrare in vera sintonia
né con l'uno né con l'altro, pur imparando
molto da entrambi.
Senza entrare in altri dettagli, che
ci porterebbero
troppo lontano, a me sembra, al contrario,
che sia nelle incisioni con Monk che
in quelle
con Miles Davis, Coltrane si faccia
comunque
valere in modo inconfondibile. In Milestones, ad esempio, uno dei tanti capolavori davisiani,
oppure in un formidabile album della Blue
Note, Live At The Five Spot Discovery!, accreditato a Thelonious Monk featuring
John Coltrane.
Ascoltando queste pagine, paradossalmente,
si ha la netta sensazione che se Trane non
fosse diventato Trane, grazie all'esplosione
avvenuta con My Favourite Things, oggi staremmo a lambiccarci il cervello
attorno a quell'incredibile sassofonista
che accompagnava Monk e che suonava
con Miles
e su quale fine abbia fatto.
Il live di Monk è rapidamente diventato uno
dei miei favoriti, anche se la qualità audio
è appena sufficiente. Il solo ascolto del
primo brano, la favolosa Trinkle Tinkle, rende esattamente l'idea di quali delizie
riuscissero a combinare insieme i due,
anche
se Coltrane è certamente trascinato
su un
terreno non suo.
Eppure riesce a convincere ed avvincere,
rispondendo briscola ad ogni seme gettato
sul tavolo da Monk, con quei fulminanti accordi
strani ed impossibili.
Certo: il genio era Monk, ma Trane non suonava
come un qualsiasi altro sassofonista, suonava
come nessunaltro.
Può così succedere, dopo raffronti così impegnativi
con album imperdibili come quelli citati,
che Giant Steps deluda un pochetto. E, francamente, anch'io
ritengo ogni confronto quantomeno ingeneroso.
Sia Monk che Davis erano davvero giganti
in quel periodo, letteralmente inarrivabili.
Ma, in realtà, anche il nostro album è un
bel disco e l'avventura di Trane comincia
qui, con la dolcissima Naima (la prima moglie di Coltrane), un pezzo
tanto bello quanto "normale"; con
la briosa e serena Cousin Mary, la brevissima e sinuosa Countdown, nella quale John sfoggia una sorta di Volo
del calabrone per sassofono tenore; la ruspante
Spiral, nella quale riecheggiano topiche spagnoleggianti
che non suonano affatto banali; la squillante
Syeeda's Song Flute, un pezzo di squisita bravura, peraltro
già sentito troppe volte per suonare davvero
"nuova"; ed infine la corposa Mr. PC, pezzo dedicato al contrabbassista Paul
Chambers, forse il brano più bop di tutta
la raccolta, certamente il più vicino a poetiche
parkeriane, riproposte tuttavia da Coltrane
in modo del tutto personale.
Il brano di apertura si intitola Giant Steps e rappresenta emblematicamente proprio la
fase di incertezza, ricerca e trapasso che
caratterizzava il momento di Trane.
Lo studioso e critico Alain Gerber
definì
questo album "il fallo che fecondò
tutta
la musica contemporanea."
Espressione davvero esagerata, anche perchè
di "fallico", in questa musica,
a mio parere, c'è ben poco. Si tratta, semmai,
di un disco importante, di transizione, che
contiene importanti anticipazioni, e che
si fa apprezzare di per sé. Per chi sa anche
suonare, misurarsi con temi come questi è
sicuramente stimolante.
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