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Buck Clayton - Jammin' At "Eddie Condon" - Moon Records

by Guido Marenco


Di Buck Clayton ho parlato ampiamente in Kansas City Blues, un pastiche che racconta a spizzichi e smozzichi una storia di musica, vite d'artista vissute tra esagerata allegria e ignobili discriminazioni razziali, drammi personali che poco avevano a che fare con l'arte e molto con il fatto che spesso l'artista perde il contatto con la realtà dell'esistenza, la dimensione equilibrata della vita, dimenticando la piena responsabilità di sé stessi.
Qui è superfluo aggiungere più del doveroso: grande trombettista di jazz tradizionale, non a disagio con i ritmi più concitati dello swing, aveva avuto una grande importanza nella formazione di Count Basie, suonando come Dio comanda sia dal vivo che in registrazioni che possiamo ascoltare persino rimasterizzate.
Negli anni '50 e '60 fu attivo anche in piccoli ensemble improvvisati e raccogliticci. Ne abbiamo diverse testimonianze ed, a seconda delle possibilità economiche di ognuno, ci si può proporzionalmemte trastullare.
Fortunamente questo disco costa meno di un piatto di spaghetti alla carbonara nei ristoranti romani. 5 euro contro gli 8 richiesti per due uova, una manciata di pecorino ed un po' di bacon fritto nell'olio riciclato di un motore FIAT.
Ok, il prezzo è giusto? Nemmeno per sogno! Un dischetto così vale molto di più. La qualità dell'incisione è quella di un lp anni '60. Niente di eccezionale, ma nemmeno una schifezza, se è questo il problema. Il contenuto è ultraaappetibile.
Gli appassionati di blues e di buon vecchio jazz dovrebbero approfittarne proprio perchè c'è musica per le loro orecchie. Tutti gli altri potrebbero approfittarne altrettanto per capire finalmente cos'è il jazz. Non solo i capolavori ultramodernistici patrocinati con enfasi dal buon Luke, ma innanzitutto il background del paleolitico e del mesozoico jazzistico, anche in formato revival. Che non sarà chic come l'originale di Louis Armstrong o Nick La Rocca, ma che ugualmente pulsa e swinga a tutto vapore. con uguale feelin' e persino un pizzico in più di ruffianeria tecnica.
I tromboni fluttuanti di Benny Morton e Cutty Cutshall, il sinuoso clarinetto di Peanut Hutcko, il piano mezzo stride e mezzo swing di Dave McKenna fanno da degno contorno a Buck. Bob Haggart al contrabbasso è letteralmente formidabile, al punto che ti chiedi se non ci sia una chitarra fantasma nascosta da qualche parte. Ritmo giusto quello impresso dal batterista Buzzy Drootin.
E poi c'è Buck, soprendente perchè non spara le note alla maniera di tanti epigoni di Buddy Bolden e King Oliver, ma le modula, le espone, le rende persino più dolci.
Per dirla con la Giulia, questo è un disco che mette allegria, e che dimostra che il blues non fu solo lamento e mestizia, ma anche festosa esuberanza.

chaiman - 17 aprile 2003