A Duke Ellington non piaceva Hitchcock...
di Guido Marenco
Piacevole, divertente, ma con un retrogusto
amarognolo, questo pastiche di Aldo Gianolio, collaboratore scafato
(sebben giovane) di Musica Jazz, vale quanto
i celebrati libri di Nick Hornby, se non
di più. La differenza è che qui si parla
trasversalmente di jazz mentre là si parla
di rock, e questo spiega perchè Hornby è
ricco e famoso, mentre Gianolio...
Vabbè...il libro potrebbe essere letto con
buon feedback anche da chi di jazz sa poco
o niente, ma dubito che accadrà.
Dubito anche che lo leggeranno molti appassionati
di jazz e me ne dispiace, non tanto per l'autore Gianolio che manco conosco di persona, ma
proprio per il jazz, per i musicisti che
molti amano, per il fatto che in fondo questo
libro rappresenta un'occasione: pezzi di
storia sì, ma rivisti in chiave gustosa,
ironica e abrasiva, con in più, nemmeno tanto
in sottofondo, il dramma personale di John
Ferro, immaginario critico di Down Beat che
sa scrivere e raccontare jazz in modo divino
e divinizzante, ma se la fa sotto ogni qualvolta
deve affrontare un uditorio per una conferenza.
Il pathos di Ferro è in fondo lo stesso di
molti critici o presunti tali, gente che
scrive perchè non sa suonare (come il presunto critico scrivente), popolo che scrive perchè
non sa parlare e relazionarsi face to face,
propagandista appassionato ed unilaterale
di una causa, apostolo fervente, fanatico
oltre ogni dire...
E sì, in fondo è questo il risultato ed è
come una presa di distanza. Forse più da Down Beat che da quelli che
scrivono su Musica Jazz, intendiamoci, dove
c'è accademismo e sussieguo ma non fanatismo,
e nemmeno vomitevole condiscenza all'industria
discografica.
Incipit: « John Ferro, l'insigne critico
della rivista "Down Beat", ufficializzò
la sua partecipazione al Congresso con l'unico
scopo di sfidare il mondo e sé stesso perchè
doveva rompere quella siepe fitta di rovi
che gli impediva di parlare correttamente
in pubblico per via di una banale ma perniciosa
sindrome da nevrosi d'ansia.»
"Ma tanta forza aveva nello scrivere,
quanta debolezza nel parlare. Uno lo sentiva
parlare e si chiedeva chi fosse quel deficiente."
E che successe?
« Con voce gracidante ormai leggeva
a pappagallo senza capire e presto arrivò
il buio: guardava i fogli dattiloscritti
come un ebete senza riuscire nemmeno a mettere
a fuoco la scrittura. Allora in preda al
panico li gettò via tutti e si accasciò disperato
con la testa fra le mani.
Fu lo smisurato orgoglio a fargli riacquistare
la coscienza e sprazzi di memoria, tanto
che addirittura osò continuare a braccio,
proprio come Bill Olsen faceva d'abitudine.
Ma presto arrivarono ancora amnesie e il
buio. Poi di nuovo la luce. Poi il buio.
La luce. Buio. Luce. Buio.»
Tra luce e buio, e velate polemiche con "quel
pallone gonfiato di Bill Olsen" (quanti
ce ne sono in Italia di personaggi simili
superfavoriti dall'impotenza dei loro potenziali
antagonisti imbavagliati?) John Ferro riuscì
finalmente a dire qualcosa su come nacque
il jazz.
I negri ottennero la libertà che Lincoln
e gli idealisti avevano voluto per loro,
ma rimasero disoccupati e senza un cent.
« Non potendo certo stare in casa con
le mani in mano perchè le mogli come tutte
le mogli rompevano i coglioni accusandoli
di essere dei perdigiorno, se ne andavano
in giro con gli amici a suonare nelle brass band.
Ce li si trovava sempre tra i piedi con trombe
e tamburi, quei neri invadenti che suonavano
tristi e piagnucolosi nei matrimoni e felici
e contenti nei funerali, non riuscendo ancora
a capire le diverse situazioni.»
Tipico esemplare di negro che suona Julian
Adderley detto "Cannonball".
« Tanto quanto suonare il jazz a Julian
piaceva mangiare. mangiava a a crepapelle
tutte le volte che poteva. Era diventato
talmente grasso che i suoi amici lo prendevano
in giro, facendolo soffrire. Già i neri soffrono
abbastanza se li prendono per il culo i bianchi,
ma la sofferenza raddoppia, dicono i sociologi,
se a prenderli per il culo sono quelli della
loro stessa razza. [....] lacrimava contro
un muro sempre con un harmburger in mano,
[...] Il problema ci Cannonball, il suo vero
ed unico problema, era che quando suonava
non poteva mangiare e quando mangiava non
poteva suonare...[...] un vero supplizio,
che lo rese per tutta l'esistenza scontento,
anche se all'apparenza era un bonaccione.»
Le altre storie non sono da meno, anzi, tante
sono venute molto meglio di questa, e non
manca la polemica antiideologica, servita
a puntino e con relativa eleganza di vassoio,
contro il pregiudizio di chi predica fino
alla nausea che il jazz può essere suonato
solo da neri.
Spero vi venga voglia di leggere il libro
e di ascoltare jazz...preferibilmente suonato
insieme da bianchi e da neri, da rossi e
da gialli, come ormai accade nelle migliori
famiglie...
Scheda
Aldo Gianolio - A Duke Ellington non piaceva Hitchcook - Editore Moby Dick
prezzo di copertina 11 €
Nato a Reggio Emilia nel 1952, Gianolio lavora
nell'azienda di trasporti (come molti di
noi del resto!). Il racconto A Jaki non piaceva Keruac è stato pubblicato sulla rivista Nuova Prosa
(ottobre 2001) ed alcuni suoi testi sono
stati letti dall'attore Paolo De Vita durante
la trasmissione Storyville su Radio Tre. Oltre che a Musica Jazz, Gianolio
ha collaborato al quotidiano L'Unità.