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The Beatles - Rubber Soul - original recording 1965 - EMI records ltd

Confesso di essere un infedele. Non pratico alcuna forma di culto religioso nei confronti dei Beatles.
Non possiedo tutti i loro LP, ed i loro 45 giri, e nemmeno le raccolte e le antologie più significative; ho pochissimo di John Lennon e George Harrison, solo un'antologia di Mc Cartney, niente di Ringo Starr.

Dopo un così clamoroso autogol, che mi squalifica a vita come esperto dei Beatles, e mi dovrebbe certificare in negativo come individuo pochissimo adatto a parlarne, ne parlo lo stesso per il semplice fatto che sono cresciuto con i Beatles in testa, con We Can Work It Out e Day Tripper che giravano almeno un'ora al giorno sul mangiadischi.
Ho diritto, e dovere, di scrivere dei Beatles perchè farei un affronto alla storia se omettessi di parlarne.
Devo, inoltre, riconoscere che ebbero un ruolo fondamentale nella mia vita di adolescente e nella formazione dei miei gusti musicali.
Sentire i Beatles per la prima volta, dopo averne ascoltato a lungo la leggenda e la presunta minaccia che rappresentavano per i nostri "valori", a detta dei benpensanti, fu un'esperienza eccitante. Non avevo mai udito niente di più bello. E per la verità, non avevo nemmeno una vera passione per la musica. La canzone italiana di quel periodo non mi attraeva granchè, fatta eccezione, forse, per Gaber e per Mina.
Così, lo ammetto, furono i Beatles a riconciliarmi con la musica, per quella incredibile freschezza e pulizia che caratterizzava il loro sound. Naturalmente non capivo un accidente di quel che cantavano. Me lo immaginavo come un discorso di angeli, di ribelli al demonio che governava il mondo di idioti a lui sottomessi e dicevano parole giuste, di pace ed amore.
Solo molto più tardi venni a sapere le tante stronzate dette dai Beatles. Tra queste brillava la perla nera elargita da Paul Mc Cartney: "se i politici prendessero dosi di LSD, finirebbe l'epoca delle guerre."
OK, prendiamo pure le distanze dalle sciocchezze di questi immaturi.
Rimane che Rubber Soul è un'incisione storica, e tuttora procura grandi gioie in chi l'ascolta.
La track numero 7 è Michelle, canzone che anche gli esquimesi conoscono a memoria. Persino Adriano Celentano l'ha rifatta, in italiano, proponendo un'esecuzione tutt'altro che disprezzabile, anche se l'originale è un'altra cosa.
Ma non è questo il motivo di maggior richiamo.
Rubber Soul contiene infatti brani mai apparsi in 45 giri, mai trasmessi alla radio, mai ascoltati nemmeno da chi oggi potrebbe avere 50-60 anni. Beatles minori e sconosciuti, dunque, coltivati solo dai loro fans. Ma in realtà, Beatles da ascoltare e riascoltare.

Siamo nel 1965, periodo nel quale i giovani crescono più in fretta, con forza, intelligenza, cultura e debolezze più marcate che in passato.
Una delle debolezze più evidenti è la droga. Si fuma, si beve, si comincia a parlare di LSD, acidi e pozioni miracolose che trasportano in viaggi galattici, oltre i confini della realtà.
Comincia a farsi strada l'idea di una cultura alternativa. Persino il rock 'n' roll americano di Elvis Presley pare qualcosa di vecchio, superato. Profumo di Londra e Carnaby Street. L'Inghilterra fa scuola, fa moda, fa chic, lancia segnali che tanti cercano di decifrare, anche se pochi riescono veramente a capirli qui da noi.
Proprio nel '65 esce in tiratura limitata il periodico Mondo Beat, con alle spalle due illustri vittime del regime e dell'ideologia, esponenti rappresentativi di una sinistra giovanile confusionaria e velleitaria ancora in embrione: l'editore Gian Giacomo Feltrinelli e l'anarchico ferroviere Giuseppe Pinelli. L'esperienza durerà pochissimo, solo sette numeri, ma muoverà le acque quel tanto che basta.
Sempre nel '65 i Beatles calano in Italia per concerti a Milano ed a Roma, all'Adriano, che ospita anche qualche celebrità vip. Al loro arrivo, scene di isteria collettiva, testimoniate dai video con tutte quelle ragazze che gridano indemoniate, come antiche menadi.
Tuttavia, i concerti non fanno sold out: Milano e Roma sono le uniche piazze al mondo a non registrare il pienone per un live date dei Beatles. E' un segnale indubbio: i Fab Four voleranno al top della hit parade nostrana molto più parsimoniosamente che nel resto del mondo. Da noi la musica ha da essere italiana per piacere alla massa.

La track numero 9, Girl, contiene un sospiro che ha ben poco di innocente. E' malizioso come nient'altro, nemmeno Lolita di Nabokov potè tanto.
La track numero 14 è Run For Your Life, un brano semplice e bellissimo, che fa tanto beat-british-style.
L'assolo chitarristico di George Harrison è la quintessenza di questo momento e di questo genere. Solo The Hollies di Graham Nash riusciranno in qualche modo ad avvicinare il modello.
Ma Ian Mc Donald, nel suo imperdibile The Beatles, L'opera completa (Mondadori -1994) è in dubbio. A suonare la lead guitar in questo brano avrebbe potuto essere John Lennon. E stronca il brano per il testo sessista, e per il carattere abborracciato dell'interpretazione, ispirata malamente a Baby, Let's Play House di Elvis Presley. Per la verità lo stesso John Lennon rinnegherà i contenuti forti del brano ai tempi della sua love story con la femminista Yoko.

Il beat-brit-pop si presentava dunque così, innocente, fresco, ribelle ed ambiguo, con vaghe tracce di quella perversione che caratterizzava il rock 'n' roll di matrice americana.
Ci fu qualcuno che teorizzò i Beatles come più rassicuranti e per bene, sia rispetto al clichè del rocker nero tipo Chuck Berry e Fats Domino, sia rispetto a quegli animali dei Rolling Stones. Un padre di famiglia avrebbe consentito a sua figlia di uscire la sera con Paul Mc Cartney, ma non con Elvis Presley o Mick Jagger.
Il che era vero solo a metà: la maggioranza dei padri di famiglia continuava a vietare alle ragazze di uscire la sera, soprattutto con gli sconosciuti.
Peccato, perchè in quel periodo, oltre a non avere l'età, fui anche inguaribilmente romantico, ed i Beatles giocarono un ruolo non da poco come colonna sonora delle mie sofferenze sentimentali, anche durante il devastante periodo '68-'69.

Sul piano strettamente musicale c'è da osservare che i brani composti da Lennon e Mc Cartney paiono costruiti con la semplicità e la misura dei grandi. Non è un caso che siano stati ripresi da orchestre al completo e da molti musicisti di area jazz.

Rispetto all'acquisto di antologie come la recente One, contenente tutti gli hits saliti al primo posto delle classifiche, acquistare separatamente i cd che riproducono gli album originali, presenta un indubbio vantaggio, perchè solo così si conosce davvero l'intera produzione dei Fab Four, compresa quella più esoterica e di raro ascolto. La verità è non ci sono canzoni dei Beatles da gettare, e che tutte le composizioni presentano piacevoli sorprese.
Ascoltando What Goes On, firmato anche da Ringo Starr, si scopre, ad esempio, una vena cantautorale che avvicina non di poco il country folk americano.
I'm looking Through You sembra anticipare, per certi aspetti melodici e ritmici, il folk inglese dei primi Fairport Convention.
In my life è una perlina che tutti dovrebbero conoscere. L'impasto vocale realizzato è tra i migliori di sempre.
Sullo stesso registro scorre anche Wait.
Imperdibili, ovviamente, risultano Drive My Car, per la freschezza e l'inventiva, e Norwegian Wood (This Bird Has Flown) che oltre a precorrere classici sviluppi del folk-rock inglese successivo, spianando la strada ai vari Fairport e Pentangle, introduce nelle sonorità l'esotico timbro del sitar indiano. Certo, Ravi Shankar, avrà molto da dire, in seguito, sull'uso primitivo, goffo e maldestro che i Beatles fecero dell'antico e nobile strumento indiano, ma la wordl music nacque così, per maldestre approssimazioni alla cultura extraeuropea.

Sfido chiunque a non provare una sorta di scossa di fronte al magnifico attacco a cappella di Nowhere Man, brano che rassomiglia in modo impressionante al jingle californiano dei Byrds, allora alle prime armi.
Think For Yourself è bellina, non di più. The Word, al contrario, è l'unico brano di impianto black, giocato su un rhythm 'n' blues che porta immediatamente in America, ed anche oltre. Comincia a profumare di psichedelia, e non è poco, se si pensa che siamo nel '65.

In conclusione: Rubber Soul, oltre che a risultare una bella compilation di canzoni che suonano ancor oggi con una freschezza straordinaria, conteneva in nuce tantissime idee, riprese poi da altri, non stanchi epigoni del genere, ma apripista originali e creativi, come, appunto i Byrds, i gruppi del folk inglese, tanti interpreti della scena soul e rhythm 'n' blues statunitense.

testo di Michelle


gm - 11 ottobre 2002