Mystery confronti

Keith Jarrett - Gary Peacock - Jack DeJohnnette

Always Let Me Go -
ECM - 2002

registrato all'Orchard Hall ( 23-04 e 24-04) e al Bunka Kaikan ( 30-04 ) di Tokyo (JPN) nell'aprile del 2001


Ho cambiato almeno tre volte opinione su questo ultimo lavoro jarrettiano, a conferma di un rapporto difficile, contrastato e problematico.
Non so se questo quarto giudizio sia quello "buono" e definitivo ma, credo poco ci manchi. Son passati mesi dal primo ascolto, ed adesso sono al ventesimo o giù di lì.
All'inizio mi piaceva, anche se non tantissimo. Poi ebbi una crisi di rigetto. Poi lo rivalutai un pochetto. Ora sono all'archiviazione definitiva.
Non sta in cima alle mie preferenze, e se guardo solo ai miei meschini e personali interessi musicali ascolto altro, Jarrett compreso.
Perchè, tengo a chiarirlo, a me questo signore, piace, e comunque non dispiace.
Però questo disco non me gusta, ed anche a sforzarmi di considerarlo oggettivamente, non mi sembra eccezionale. Non mi piace dare voti, ma, stavolta faccio un'eccezione, ne do addirittura due: 6¾ secondo una valutazione la più oggettiva possibile, e 5 secondo i miei gusti.
Nell'ottica delle mie preferenze personali, il 5 si spiega così. Jarrett manca di ispirazione proprio nel momento in cui, paradossalmente, la band gira al meglio, specie DeJohnnette, un batterista come non ce n'è attualmente. Sicchè abbiamo musica, ovvio, ma non una musica particolarmente gradevole e significativa, anche se tecnicamente stupefacente.

Sull'altro piano, vengono le solite dolenti note. Un giudizio oggettivo dovrebbe rispondere a qualche universale criterio di valutazione che anche un accanito studioso di estetica musicale come il sottoscritto fatica a trovare.
Ed allora punto tutto sullo zero alla roulette, visto che nel mondo del jazz e della musica improvvisata "il fronte è mobile qual piuma al vento", ed oggi, questo fronte, si è sensibilmente spostato e non possiamo più considerare Jarrett un musicista d'avanguardia o di ardite sperimentazioni, ma solo un mostro sacro che finisce col condizionare il mercato discografico, perchè ad ogni sua uscita suona la grancassa e ci si sente quasi in obbligo di comperare, finendo così col penalizzare altri prodotti.

In altre parole: questo disco non è cool, anche se è evidente che qualche pretesa in tal senso era certo nelle intenzioni dei suoi protagonisti.
Si dirà che questo potrebbe essere un bene: Jarrett non è uno che insegue le mode, ma tira dritto per la sua strada. O.K. Fin troppo. A volte, ascoltare gli altri, non fa male.

Tutto ciò che Lucarelli trova sublime, od anche solo rassicurante (il solito Jarrett degli standards), a me pare "superato", anzi "stracotto".
Va bene proporlo in concerto. Infatti, nell'irripetibilità dell'evento live si nasconde sempre qualche chiave nascosta e magica che apre lo scrigno del corto circuito emotivo tra esecutori e fruitori.
Così, anche se hai sentito 160 volte la Settima di Beethoven, potrai sempre emozionarti a riascoltarla, anche eseguita dalla più scassata orchestra del mondo calata in provincia per la rituale spedizione punitiva organizzata dall'assessore regionale di turno.
Allo stesso modo, se anche hai sentito 500 volte Stardust, potrai sempre avvertire un brivido di fronte all'interpretazione di una cantante da night di periferia.
Ma da un disco nuovo, doppio, pagato 32 euro, ovviamente, vuoi qualcosa di più, quel "di più" che appunto manca a dette incisioni.
Ed intendiamoci: non che non si trovino qui, momenti di buona musica, o che, improvvisamente, il Trio più celebrato del mondo sia diventatato un'accolita di strimpellanti allo sbaraglio.
Siamo sempre ad ottimi livelli: ad esempio i 30 e passa minuti di Wave, o l'eccellente Tsunami, tanto ostico (per dirla con Lucarelli), quanto stimolante. Ma con la conclusiva Relay, mi pare si tocchi il fondo: un Fra' Martino Campanaro quanto a sostanza melodica, che testimonia un momento poco felice, una mancanza di vera ispirazione.

Pertanto: chi non conosce Jarrett, ed intende avvicinarsi a questo grande, farà meglio a rivolgersi altrove. Nella sua ormai sterminata discografia, le prelibatezze non mancano.
Consiglio gli Standards vol.I, il disco che preferisco, tanto per iniziare.
Chi lo conosce, e non lo ama particolarmente, potrà tranquillamente ignorare Always Let Me Go.

Infine, chi ama Jarrett, giustamente, non potrà rinunciarvi.
A costoro posso solo dare un appuntamento: risentiamoci, a bocce ferme, tra un paio d'anni, di fronte ad altre prove jarrettiane, ed anche rispetto a quanto sta ora accadendo e maturando nel mondo del jazz e della musica improvvisata in generale.

arrow Guido Marenco, 17 aprile 2003

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