Steve ColemanAnd Five Elements On The Rising Of 64 Paths - Label Bleu
by chairman
Avevo comprato questo cd appena uscito, poi,
come spesso mi succede, è rimasto impacchettato
sotto la pila, avendo sempre qualcosa d'altro,
di più urgente, da ascoltare.
Dunque, l'altro ieri, cristi e madonne sono
discesi umilmente dal cielo a suon di invocanti
imprecazioni: che cosa mi sono perso, porco
il diavolo ed infame chi gli regge la coda?!?
Due o tre mesi, forse più di una purissima
goduria, se non altro per il suono rotondo
e levigato del sax di Mr. Coleman, mai acido
nemmeno quando è aspro, che è una delle cose
più belle che possano gratificare un appassionato
di jazz oggidì.
Ma questo è il meno. Il più, per rimanere
sull'enfatico, mi fa dire che, al pari dell'Osby
da poco recensito, questo disco dimostra
che il jazz non solo non è in crisi, od in
punto di morte, ma gode di eccellentissima
salute, non annoia ed aiuta a rendere più
felici le ore.
Basta capire che l'hip hop è il ritmo che
oggi fa camminare con swing, con la cuffia
in testa e le dita che fanno snap snap. (cose
che il ghost punk che s'aggira avido qua
attorno mai capirà con la zucca che si ritrova...)
La festa comincia con 64 Path Bindings, una composizione di Coleman caratterizzata
da una ritmica sostenuta e da mirabolanti
variazioni, con gradevoli interventi della
tromba di Jonathan Finlayson, qui ottima
spalla. La presenza di due bassi, uno elettrico
(Anthony Tidd) e l'altro classico ( Reggie
Washington) aiuta le batteur Sean Rickman
a trovare sempre il piglio giusto senza grandissimo
sforzo. Questa precisione metronomica rischia
di stufare un pochetto perchè, si sa, puzza
di drumming machine, ma è solo un'idea. Che
gli uomini (intelligenti) prevalgano su stupide
macchine anche quando le imitano è fuor di
discussione. Son le macchine fatte ad imitazione
dell'uomo e non viceversa. Fu l'uomo ad inventare
la macchina, cioè ad individuare la funzione
da mettere al lavoro, e non il contrario.
E quando in filosofia od in qualsiasi scienza
si parla di meccanicismo, spesso si dicono
stronzate, perchè lo si critica senza aver
ben chiaro che molto meccanicismo è solo
funzionalismo, cioè l'isolamento descrittivo di una funzione
individuata e specifica, che solo un idiota
può pensare come ricavata da una macchina,
vista che le macchine le ha fatte l'uomo
ad imitazione di sé stesso o della natura al lavoro.
Scusate, ma il filosofo che c'è in me, li
mortacci sua, a volte prende la mano...
Mist And Counterpoise riaggiusta le prospettive, non solo perchè
la ritmica è varia, ma perchè la fa da protagonista.
Per lunghi tratti sono i fiati ad accompagnare,
attraverso un disegno di scale ascendenti
e discendenti, ed è il basso, sollecitato
dal drumming intelligente, a scrivere il
melos.
Call For Transformation è probabilmente il capolavoro dell'album.
Un grandissimo Malik Mezzadri, oltre che
suonare benissimo il flauto, si esibisce
in un'inarrivabile performance vocale di
taglio arabo-islamico, e magicamente un'intero
mondo sconosciuto ti si spalanca davanti.
Non so che dirvi, a me queste cose mettono
i brividi, specie quando sono di tale intensità.
E non dimentico di aggiungere che sia le
parti flautate dallo stesso Malik Mezzadri, che quelle
saxate da Coleman valgono l'intero cd.
The Movement In Self è un duetto, praticamente, di sax e batteria.
Non che non si sia sentito di meglio, anche
nello stesso campo. Queste cose mi piacciono
poco perchè odorano di narcisismo, e quindi
non saprei dire. Però, in questo caso, la
faccenda risulta molto gradevole. Per una
volta, quindi, w il narcisismo! Non impegna
un intero cd, ma solo una traccia, per questo
è ok.
Ed arriviamo al rifacimento di Gillespie,
first take. Dizzy Atmosphere: un super-critico come Greil Marcus, che
per ora ha trovato nelle tasche interne del
suo panciotto la modestia di non scrivere
di jazz, potrebbe chiedersi che cazzo c'entra...
Mah!
C'entra eccome; se ascolti solo la musica
e non ti lambicchi il cervello con domande
sui massimi sistemi ed interrogativi assurdi
sull'esistenza del Male con la M maiuscola
e del bene con la grande B, capirai che qui
Coleman risulta oltremodo coerente. Il brano
di Gillespie è uno dei 64 Paths Bindings,
sentieri che portano alle radici della musica
e del feelin'. Io, se vedo giusto, in questo
omaggio, che ha comunque qualcosa di irriverente,
essendo un face to face tra il postumo e
l'avo, colgo uno sforzo di rara intensità
per ridire qualcosa di nuovo, pur utilizzando
un tema ormai arciconosciuto...ma che bello...
ma che bello. A me pare che ci riesca, non
so a voi.
Ci riesce soprattutto nella alternative take
successiva, che meriterebbe un voto a sé,
diciamo un 8½, ma prima c'è da ascoltare
Eight Base Probing, un altro pezzo con ritmica hip hop, che
piace ma non mi entusiasma.
Chiusura buonina con Fire Revisited, sullo standard medio dell'intero cd.
Proprio lo volete sto voto?
Vabbè, siete cresciuti meritocratici nel
più truce agonismo selettivo dell'edonismo
reaganiano, ma non è colpa vostra!
Dunque, non vale l'Osby, dunque qualche punto
punto in meno, un 7½ rende l'idea
della differenza.
Però io darei un 9 al singolo brano, Call For Transformation, e 8 a Dizzy Atmosphere.
Per il resto vorrei solo far notare che quando
si convoca un flautista del valore di Malik
Mezzadri (con la voce muezzin che si ritrova
commuoverebbe anche Saddam) varrebbe la pena
di farlo suonare e cantare un po' di più!
E dimenticavo, c'è anche una ghost track,
se avete studiato, sarete tanto bravi da
riconoscerla da soli!
Track List
01. 64 Path Bindings (Steve Coleman) - 6:57
02. Mist And Counterpoise (Steve Coleman)
- 6:42
03. Call For Transformation (Steve Coleman)
- 10:43
04. The Movement In Self (Steve Coleman)
- 6:16
05. Dizzy Atmosphere (Gillespie) - 6:06
06. Eight Base Probing (Steve Coleman) -
12:45
07. Dizzy Atmosphere (Gillespie) - 7:07
08. Fire Revisited (Steve Coleman) - 8:49
Musicisti:
Steve Coleman (sax alto)
Jonathan Finlayson (tromba)
Malik Mezzadri (flauto; voce)
Anthony Tidd (basso elettrico)
Reggie Washington (basso acustico)
Sean Rickman (batteria)