il sito di storia salernitana

a cura di Vincenzo de Simone

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Santa Maria di Montevergine

 

La chiesa, oltre a non essere fruibile, è nascosta all’interno dell’ex complesso monastico, attualmente sede di una comunità di recupero, che vediamo lungo i gradoni di Montevergine. Il sito del complesso appare singolare, poiché esso aderisce alla faccia esterna della murazione longobarda che cala dal castello e la sua facciata non è altro che lo stesso muro opportunamente adattato.

Esso nacque come monastero dell’ordine francescano monialuim pænitentum di santa Chiara sotto il titolo di Santa Maria Maddalena. La sua prima citazione giunta fino a noi è contenuta nella bolla Cum universis di Alessandro IV del 1255, ove il papa elenca i monasteri femminili soggetti all’arcivescovo di Salerno. Il suo sito particolare cui si accennava lo porta a considerarlo extra mœnia, come nel 1269, in loco ubi proprie alla Palearia dicitur, e nel 1292, foris hac salernitanam civitatem a super et prope locum in quo olim septentrionale suburbium istius civitatis quod de Palearia dicebatur.

Il 5 maggio 1453, col rescritto Votis humilium, Nicolò V stabilisce che le monache del Santa Maria Maddalena vivano sotto la regola e la professione di san Benedetto, con l’abito costituito dal mantello nero con tunica e scapolare bianchi; conseguentemente monastero benedettino lo ricorda un rescritto di Sisto IV del 5 novembre 1479. Per effetto della riforma dei monasteri femminili di Sisto V del 1589 le monache lasciano l’antico cenobio e si portano nel Santa Maria Monialium, sul parte dell’area oggi occupata da convitto nazionale Torquato Tasso al largo Abate Conforti.

Da alcuni atti dell’archivio diocesano degli anni 1595-1598 risulta che i padri della congregazione di Montevergine, stabilitisi fin dai primi anni del Duecento in un convento fuori città, nella piana del Carmine, si erano portati nell’ex Santa Maria Maddalena. In realtà fin dal 1° maggio 1587 il capitolo dei virginiani aveva discusso l’istanza delle autorità cittadine tesa ad ottenere che quei padri si trasferissero dentro le mura dovendo salernitanorum pueros edocere, illosque in grammaticalibus literis erudire. Un atto notarile del 1631 sancisce la trasformazione anche del titolo del Santa Maria Maddalena: Sancte Mariæ Montis Virginis de Salerno olim della Maddalena; ma già il 6 maggio 1653 l’arcivescovo cardinale Giulio Savelli, in virtù della bolla di Innocenzo X Instaurandæ regularis disciplinæ, sopprime il convento.

Il 27 ottobre 1692 così si descrivono i locali: il Conventino soppresso di Monte Vergine consiste in una Chiesa nella quale vi è l’altare con l’immagine della Madonna di Monte Vergine e vi è un’altra cappella con il quadro di S. Anna, e tiene attaccata nella detta chiesa l’abitazione per due Cappellani. Tiene [fra l’altro] un giardino sotto le case del detto Conventino, confina con le case piccole del detto Conventino e le mura antiche de detta città. Nel 1703 nella chiesa si trasferisce la confraternita di San Francesco della Croce, che era stata eretta nel 1671 nella chiesa del monastero di San Lorenzo. Nel 1731 risulta che, perdurando nella chiesa l’esistenza della confraternita, nel 1728 (altro documento dice 1716) nei locali dell’ex convento era stato istituito il conservatorio delle Pentite; nel 1762 esso è detto Puellarum, forse perché alle pentite erano state sostituite le orfanelle.

Nel 1900 il conservatorio sarà affidato alle suore della congregazione delle Figlie di sant’Anna.

 

L’interno della chiesa di notevole conserva soltanto il coro ligneo. Una grande tela con la Madonna in trono, il Bambino e angeli, evidente iconografia virginiana, forse la stessa osservata nel 1692, è custodita in un locale attiguo. La decorazione pittorica dell’aula (1716-1728) svolge il tema della gloria degli ordini francescano e domenicano.         

 

Per saperne di più. G. Crisci, Salerno Sacra, 2a edizione postuma a cura di V. de Simone, G. Rescigno, F. Manzione, D. De Mattia, edizioni Gutenberg 2001. Sul monastero femminile, III, pp. 88-98. Sul convento virginiano, III, pp. 74-80. Sul Santa Maria Monialium, III, pp. 65-68.      

 

A lato: anni cinquanta del Novecento, quando c'era ancora il campanile.

In basso: prospetto verso meridione.

 

 

Il Catalogo generale dei Beni Culturali confonde il monastero di Montevergine con quello di Santa Maria de Monialium, detto anche de Dominibus, de Monialibus o de Sicone, che invece era sull'area oggi occupata dal Convitto nazionale.

 

Nel 1997 l'arcivescovo Pierro conferì procura ad una agenzia immobiliare per la vendita del complesso notificando lo sfratto a padre Antonio Tomay e alle ragazze madri di Casa Betania, che occupavano un’ala dell’edificio. Al primo seguirono altri due sfratti, fino a che, nel 2009, l'opera di padre Tomay si trasferì in via Linguiti, lasciando libero il complesso, sulla cui porta apparve la scritta Conservatorio immobiliare srl.

Del 23 maggio 2012 è il Permesso di costruire n° 45 del comune di Salerno, che consente la trasformazione dell'edificio in civili abitazioni.

 

21 maggio 2014. Presso l'Archivio di Stato di Salerno, su iniziativa di Italia Nostra, l'architetto Maurizio Di Stefano illustra il progetto di recupero e di riutilizzo dell'ex complesso monastico. Si evidenzia che la chiesa non è stata acquisita dalla committenza dell'intervento, quindi, con la cortina longobarda cui è addossata, non sarà oggetto di riutilizzo. Tuttavia, essa, con l'atto di separazione dall'ex monastero, ha subito la tompagnatura della porta di accesso dall'interno del complesso, rimanendo come suo ingresso la porticina da cui in origine si accedeva alla sagrestia, costituita dall'elemento cilindrico ad essa addossato. Si tratta di una manomissione dal nostro punto di vista inaccettabile, poiché interviene a snaturare l'antico luogo di culto compromettendone un possibile recupero futuro.

 

In basso il protocollo 12221 del 2009 con il quale si definiva il complesso

privo d'interesse culturale.