il sito di storia salernitana

a cura di Vincenzo de Simone

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Santa Maria de Alimundo

 

La chiesa che vediamo lungo la salita Intendenza Vecchia, fra la via Torquato Tasso e il largo Montone, è una ricostruzione della prima metà del Settecento di quel luogo di culto edificato dai conti Maio, Adelmo, Madelmo e Guaimario, figli di conte Guaiferio, in onore di Santa Maria Madre di Dio di cui la prima notizia giunta fino a noi è databile al gennaio 1048. Nel corso dei secoli, nel suo patronato si susseguirono una serie di famiglie e singoli personaggi che ebbero posti di rilievo nella storia cittadina: i Solimele; i da Procida, nelle persone di Giovanni e dei figli Tommaso e Francesco; Tommaso Mariconda, che trasmise parte dei propri diritti a Masuccio Salernitano Guardati; i de Fensa e i loro eredi Picillo; i Vargas, marchesi della Guardia Bruna e principi di Carpino.

In occasione della visita pastorale del 1° marzo 1659 la chiesa è trovata che minaccia di crollare: i compatroni e il rettore non si sono curati di adempiere a quanto ordinato nelle precedenti visite, in particolare in quella del 1650. Ora si intima di nuovo di eseguire i lavori necessari sotto pena, in mancanza, della dichiarazione di libera collazione, con la conseguente perdita dei diritti di patronato. Lo Stato delle chiese del 1692 così la descrive: La Chiesa Parrochiale di Santa Maria d’Alimundo, seu dell’Ulmo, è sita e posta nel luogo detto il Monte, confinante il Palazzo del Signor d. Giuseppe Ruggi Patritio di Salerno, contigua alle case che si possedono dal Venerabile Convento de PP. Dominicani, e prossima alle Case del Signor Ramiro de Ruggiero, e avanti le Case dette Case Prignano in via di passaggio e vico remoto. La sudetta Chiesa Parrochiale consiste fondata a tre nave, benché hogi per l’antichità poco si conosce per ripari fattici.

Nel 1725 troviamo il parroco che esercita in Santa Maria de Lama; egli dichiara che la chiesa è cascata da quattro anni. Nel 1726, con decreto in visita pastorale, si intima di procedere alla riedificazione; i compatroni Picillo, eredi della famiglia de Fensa, si dichiarano disposti, a condizione che siano costretti anche il principe di Carpino e il fratello, eredi dei signori Solimele, godendo essi l’alternativa sul patronato. In caso di rifiuto di questi, si dichiarano pronti ad assumersi l’intero onere, a condizione che venga loro riconosciuto il completo jus patronale sia sulla cappellania che sulla rettoria. Chiedono, quindi, alla Curia arcivescovile l’emanazione di un decreto in tal senso, colpendo gli altri anche in contumacia. La causa viene definita, in regime di sede vacante, presso il tribunale ecclesiastico il 7 marzo 1730; la sentenza è notificata il 9 maggio seguente al principe di Carpino, con la conseguenza canonica della perdita del diritto di patronato. Il 1° giugno viene emessa altra sentenza che incorpora alla famiglia Picillo la parte di patronato già della famiglia Vargas, con l’autorizzazione (e l’obbligo) a ricostruire la chiesa; la qual cosa costerà 800 ducati.

Nel 1734 così si ricorda la vicenda: Chiesa Parrochiale di Santa Maria dell’Ulmo, seù Alimundi. Questa Chiesa Parrochiale era di iuspatronato dell’Illustre Principe di Carpino Vergas e della Famiglia Pecilli alternativamente; e poi nell’anno 1730 perché il detto Illustre principe non volse contribuire alla restaurazione della chiesa fu privato del suo ius da questa Curia Arcivescovile, ed acquisito in tutto dalla detta Famiglia Pecilli, la quale ave contribuito in tutta la spesa in rinovare la chiesa.

 

Attualmente l’edificio conclude un piccolo cortile e presenta la facciata, in parte coperta dalla costruzione adiacente verso settentrione, con il portale riquadrato da un motivo decorativo che incornicia la porta in legno sulla quale si scorgono le tracce evidenti di un antico trittico. Sulla destra una nicchia ad arco acuto con cornice in stucco è sormontata da una fascia di archi intrecciati con tracce di intonaco rosso e azzurro che divide in due parti il prospetto.

L’interno è ad unica navata coperta da volta a botte. Sulle pareti una serie di lesene con capitelli corinzi riquadrano le nicchie. Una fascia corre lungo l’intero perimetro e su di essa, in corrispondenza delle lesene, si impostano tre arconi che dividono la volta in quattro campate. L’aula presenta anche due partizioni poste in opera quando, nel secolo scorso, la chiesa fu utilizzata come abitazione e, pare, anche come scuola; attualmente è tristemente deposito per le cianfrusaglie del vicinato.

Secondo alcuni autori in essa fu seppellito Masuccio Salernitano, ma è poco probabile, poiché la famiglia Guardati aveva la propria sepoltura nel chiostro del convento di San Francesco.

 

Per saperne di più. G. Crisci, Salerno Sacra, 2a edizione postuma a cura di V. de Simone, G. Rescigno, F. Manzione, D. De Mattia, edizioni Gutenberg 2001, I, pp. 128-132.