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Palazzo Pinto - via dei Mercanti, 63
Come la maggior parte dei palazzi storici salernitani, Palazzo Pinto nasce come quartiere di lignaggio, ossia come un agglomerato di case sorte in edilizia frammentaria intorno ad un cortile. Il 28 aprile 1534, i nobili signor Matteo Maza e signora Polita Cappasanta vendono al signor Ludovico Pinto (barone di San Martino dal 1498) la loro Casa Maza, consistente in ingresso comune con l'acquirente; cellarello costruito al piede delle scale; stabulo annesso a detto cellarello con ingresso da via pubblica; una sala superiore grande coperta ad imbrici con due camere accosto a detta sala e altre due verso meridione; un'altra saletta adiacente a detta sala sopra un astracco con un retretto, dalla quale saletta si esce ad un astraco discoperto e da esso si accede ad una camera, e sotto detta camera ed astraco vi è un mezzanino; un astraco discoperto congiunto con detta sala grande con orifizio del pozzo costruito nel cortile della case che furono del fu Roberto Maza, nel quale hanno diritto gli eredi dello stesso Roberto; tutti i vani diruti contigui a detto astraco discoperto e altri ambienti; site tali case in parrocchia di San Gregorio, confinanti con via pubblica a parte settentrione, con beni di Tommaso Pinto, con beni del compratore a parte inferiore e laterale, con via pubblica per la quale si va sotto l'arco, con beni dei nobili Serluca (si veda Palazzo Galise) e altri confini. Si tratta, dunque, dell'acquisizione da parte dei Pinto del ramo di San Martino di quella che oggi è l'ala orientale del palazzo, ove fu mantenuto quello che era stato l'ingresso comune con Casa Maza. Tuttavia, altre case nell'area rimanevano in possesso dei Maza in persona di Alessandro e saranno in possesso dei Pinto soltanto nel 1585 in persona di Tiberio. In questa fase, non abbiamo ancora un palazzo unitario, ma il perdurare del quartiere di lignaggio con una serie di proprietà Pinto addossate le une alle altre. Nel 1577, infatti, la parte all'estremità occidentale, a confine con la chiesa di San Vito de Scutis (che occupava l'area attualmente della cappella sconsacrata di Sant'Antoniello che ospita una nota pasticceria) era in possesso di Michele Pinto. Nel 1582, Tiberio Pinto vende al fratello Lucio la metà che gli era spettata dividendo la casa paterna, confinante con beni di Ludovico Pinto e fratelli. Nel 1587, si accende un mutuo su un magazzino di donna Costanza de Ruggiero, vedova di Aloisio Pinto, allo scopo di reperire danaro per finire l'edificazione di un appartamento nelle sue case, a Casa Pinto, sopra l'appartamento di Ludovico Pinto e fratelli. Nel 1612, per la prima volta si citano come palazzo i beni di Emilio Pinto, pronipote del Ludovico che abbiamo visto acquistare Casa Maza e IV barone di San Martino. Ma il processo di fusione in un'unica proprietà è ancora di là da venire, poiché, negli anni seguenti, oltre i beni della linea genealogica dei baroni di San Martino, saranno documentate proprietà di altri membri della casata, quali i fratelli Geronimo e Tommaso, che nel 1620 vendono un appartamento al barone Emilio e al fratello Matteo. Intanto, nel 1587, Tiberio Pinto e le nipoti Delia e Isabella, figlie del fratello Lucio, vendono la parte occidentale di Casa Pinto, quella a confine con la chiesa di San Vito de Scutis che era stata di Michele. Attraverso vari passaggi, fra cui un breve ritorno ai Pinto in persona di Didaco (1652), queste case le troveremo nel 1660 in possesso del monastero di Santa Maria della Porta. Nell'Apprezzo del Catasto onciario l'immobile è distinto in due particelle: la prima (foglio 467, particella 5), rilevata il 30 gennaio 1754, descrive la casa palaziata di d. Matteo Pinto, patrizio salernitano, sita a Casa Pinto, in parrocchia di San Gregorio, consistente in due botteghe, cellaro, cortile murato, stalla, rimessa e due appartamenti superiori: il primo in dodici stanze, il secondo in diciassette stanze, galleria e loggia, confinante da levante con Antonio Ferraro (si veda Palazzo Galise), da ponente con la chiesa di Sant'Antoniello, da tramontana con la via Regia. La seconda, rilevata il 1° febbraio 1754 (foglio 472, particella 4), descrive le case del monastero di Santa Maria della Porta, in parrocchia di San Gregorio, consistenti in nove bassi e otto stanze superiori, confinanti da tramontana con strada pubblica, da levante e mezzogiorno con beni del signor Matteo Pinto, da ponente con la confraternita dei Morti (che aveva sede nella cappella di Sant'Antoniello). Il 22 luglio 1756 le case del monastero sono acquistate dallo stesso d. Matteo, che realizza così l'unità proprietaria dell'edificio. Nel palazzo, il 7 settembre 1740, da d. Matteo e da Laura de Fusco, era nato Fortunato Maria, che sarà vescovo di Tricarico dal 1792 e dal 26 giugno 1805 arcivescovo di Salerno. Morirà il 20 novembre 1825. Morendo, il 25 novembre 1929, l'ultimo Pinto della linea genealogica dei baroni di San Martino, il cavaliere d. Gennaro, senza eredi, essendogli premorto il figlio Carlo avuto dalla moglie d. Antonietta Mancusi, lascia l'immobile all'amministrazione provinciale di Salerno, che attualmente lo utilizza come sede della propria pinacoteca. |
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