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a cura di Vincenzo de Simone

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Palazzo Clarizia - via Masuccio Salernitano, 73

 

Il portone dell'immobile si apre nella tompagnatura ottocentesca dell'arco voltato, in epoca imprecisabile, comunque anteriore al Seicento, sull'atrio della chiesa di Santa Maria de Domno, edificata, fra il 986 e il 989, dalla principessa Sichelgaita, consorte del principe Giovanni II di Lamberto, capostipite della VI dinastia dei governanti longobardi di Salerno. Posta sull'asse est-ovest,canonica per l'epoca, con ingesso da occidente, la chiesa possedeva, sull'area più tardi di Palazzo Clarizia, case, definite nel 1035 il palazzo maggiore di Santa Maria de Domno, principalmente adibite a residenza dei propri presbiteri, che da quel secolo saranno monaci cavensi con il titolo di priore.

Alla sua edificazione, dall'atrio di Santa Maria de Domno si accedeva ad una piccola porta, una pusterola, aperta nelle mura cittadine, alle quali la chiesa era addossata col suo lato meridionale, verso il mare. L’8 maggio 1328 troviamo che il milite Pietro Comite aveva costruito un edificio che chiudeva la pusterola; essendo evidente che tanto avrebbe potuto fare solo in virtù di diritti reali o presunti legati al possesso dell’ex palazzo maggiore della chiesa, è da ritenersi che questi fosse stato da qualche tempo alienato dagli abati cavensi. Non sappiamo se l’intimazione rivolta al Comite di demolire quanto costruito e riaprire il passaggio ebbe effetto; certo è che, nel prosieguo del tempo, l’area davanti alla chiesa non solo non avrà sbocchi verso il mare, ma anche sarà coperta e sovrastata da costruzioni espansive dell'immobile adiacente, che il 3 settembre 1558 troviamo in proprietà del notaio Giovanni Paolo Barrile, dal quale passerà alla sua vedova Cassandra de Alfano e al figlio Domenico, agli eredi del quale sarà requisito per essere venduto all'asta il 6 giugno 1615 con aggiudicazione a Marco Antonio Galliciano. Il 15 marzo 1618, l'immobile è ceduto a Ludovico Vicinanzo ed è descritto come consistente in uno intrato coverto senza porta, comone con l'ecc[lesi]a di S[an]ta Maria de Domno, un cellaro con porta alla strada, altro basso verso le mura della città, due magazzini con le porte alla strada con vacuo contiguo verso le mura, cinque camerelle superiori, altre cinque camere e sala al secondo piano e tre al terzo coperte a tetto. 

Il 3 dicembre 1661, Bartolomeo Celentano, procuratore della moglie Claudia e della cognata Giovanna Vicinanzo, eredi del padre Michele, che a sua volta era stato erede di Ludovico, vende l'immobile al dottor Matteo Francesco Clarizia; la proprietà risulta consistente in uno entrato coverto a lamia senza porta, comune con la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Donne [titolo scorrettamente italianizzato attribuito a Santa Maria de Domno fra Cinquecento e Settecento]; un cellaro dentro detto entrato, con porta in esso e dalla strada pubblica; un bascio verso il muro della città con pozzo e lavatoio; nel medesimo entrato vi è il portone delle case con un poco di largo dal quale nel bascio s'entra dentro una stalla coverta a pinci, et p[er] la scala di fabbrica si saglie all'appartamento di sopra; due magazzini con porte alla strada pubblica, con ritretto e giardinello in facci le mura della città; altro appartamento grande sopra il primo, con quattro finestre verso la strada, una verso la chiesa al presente serrata e altre verso la marina; confinante con detta chiesa da oriente, con beni degli eredi di Sergio e Scipione Comite da ponente, con via pubblica da settentrione, con le mura della città da mezzo giorno.

Nell'Apprezzo del Catasto Onciario (foglio 479, particella 1), il 5 febbraio 1754, l'immobile è descritto come una casa palaziata posta nel luogo detto Casa Clarizia, in possesso di Ivone Clarizia, consistente in una stalla, cellaro, due bassi, tredici stanze sopra e giardinetto, confinante da tramontana con strada pubblica, da ponente con beni di Pasquale Tisi, da mezzogiorno con la cortina della città, da levante con le mura della chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Donne.   .         

 

La chiesa di Santa Maria de Domno, soppressa come sede parrocchiale il 22 aprile 1822, sarà dichiarata interdetta al culto con decreto concistoriale dato in Roma il 7 maggio 1856 e ceduta a palazzinari dell'epoca per essere trasformata in botteghe e civili abitazioni. Di essa rimane il campanile (terza immagine) addossato a Palazzo Clarizia e utilizzato come tromba delle scale.