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il Museo archeologico
L’edificio che attualmente ospita il Museo archeologico, fino all’apertura ottocentesca della via san Benedetto, costituiva, con i suoi bracci protesi verso settentrione, tre lati dell’atrio del complesso benedettino, del quale sopravvive, recentemente restituita ad una veste accettabile dopo un lungo e devastante possesso da parte dell’amministrazione militare, sul lato opposto della strada, la chiesa romanica, già ricostruzione della originaria longobarda. Alla conquista normanna di Salerno (1076), il sito si collocava a cavallo dell’angolo formato dal muro orientale della Città, proveniente dalla torre angolare alla Marina, con l’analogo muro al primo ortogonale, proveniente dalla fortificazione posta ad oriente della badia benedettina, al meridione dell’altopiano oggi rappresentato dal rione Mutilati. Su tale angolo Roberto il Guiscardo, come racconta Amato di Montecassino, fece edificare Castel Terracena, al duplice scopo, pare, di rafforzare quelle difese che si erano dimostrate vulnerabili proprio agli attacchi normanni e di fornire i nuovi sovrani di un palazzo del potere diverso da quello longobardo. La sua esistenza fu breve, se raffrontata a quella di edifici consimili, avendo avuto termine, in circostanze che rimangono misteriose, fra il maggio 1251, data della sua ultima citazione, e il 1261, anno della morte di papa Alessandro IV che, per diritti anch’essi oscuri, donò ai monaci di San Benedetto il suolo sul quale era stato edificato. Il 28 maggio 1301, Carlo II d’Angiò esortava lo stratigoto di Salerno ad adoperarsi affinché tornasse nel possesso della regia curia il luogo e la terra ove Castel Terracena fu edificato e a non permettere che vi si edificasse alcunché di nuovo. Alla luce di quest’ultimo documento, quello relativo alla donazione pontificia, registrato in Napoli in quello stesso 1301 pur riferendosi ad un avvenimento lontano oltre un quarantennio, assume una connotazione particolare, inducendo a ritenere che esso fu parte di una successiva corrispondenza intercorsa sull’argomento fra lo stratigoto e Carlo II. Purtroppo non è giunta fino a noi un’altra corrispondenza, che sarebbe stata illuminante sulle reali condizioni fisiche e giuridiche dell’edificio normanno o della sua area di risulta, corrispondenza forse intercorsa fra il giustiziere di Principato e Carlo I, a seguito della disposizione con la quale il Re, il 20 aprile 1277, individuava nei cittadini di Salerno e negli abitanti di San Mango, Sant’Auditore, Cava, San Severino e loro casali i soggetti tenuti alle riparazioni della Torre Maggiore e di Castel Terracena. In ogni caso, l’esortazione di Carlo II non sortì effetti poiché, nei secoli successivi, le dinastie regnanti, e conseguentemente i loro feudatari, non avranno residenze in Salerno oltre la Torre Maggiore sul cocuzzolo del colle; mentre i monaco avranno il loro Castelnuovo di San Benedetto, ossia l’edificio oggi sede del Museo archeologico, nel quale, il 4 aprile 1412, sarà rogato un atto di donazione di Margherita di Durazzo a favore della cappella di San Giovanni del Duomo. Il 14 gennaio 1534, il soggiorno dell’illustre dama veniva ricordato nell’atto con il quale i monaci di San Benedetto affittavano al confratello Costabile della badia di Cava alcuni ambienti del loro palazzo, fra i quali la camera della regina, avente il prospetto verso meridione.
Attualmente l’immobile presenta la facciata scandita, al piano superiore, da cinque archi sostenuti da colonnine di spoglio e arricchita, al piano inferiore, da un antico portale tompagnato e da tracce di merlatura inglobate nel ringrosso del muro. Il braccio occidentale, che stringeva fra se stesso e il campanile l’ingresso al complesso, presenta sulla facciata interna all’atrio una monofora; il braccio orientale conserva tre colonne di spoglio superstite fra quelle che dovevano costituire il portico fra la facciata del castello e quella del monastero, attuale circolo ufficiali. Lo spiazzo antistante l’accesso al Museo presumibilmente conserva il livello dell’antico atrio e testimonia lo sbancamento realizzato nell’aprire la via san Benedetto e il maggior livello rispetto ad esso del pronao della chiesa, al quale si accedeva tramite una gradinata frontale. L’interno è scandito da sei colonne di spoglio e da due pilastri in muratura, posti all’innesto dei bracci laterali, che sorreggono archi a tutto sesto. Al piano superiore, all’estremità occidentale, un arco verso meridione, analogo a quelli del piano inferiore, immette in un piccolo vano che testimonia un antico prolungamento dell’edificio in quella direzione.
Per saperne di più. C. Carucci, La provincia di Salerno dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna, 1922, pp. 292-293. La parte relativa a Castel Terracena di questo lavoro fu pubblicata anche come Il palazzo principesco normanno di Salerno, in «Archivio Storico della Provincia di Salerno», III, 1922, pp. 211-216. V. de Simone, Il sito del castello di Terracena, in «Rassegna Storica Salernitana», 32, 1999, pp. 9-21. |