Matteo d’Aiello (1115 circa – 18 luglio 1193), politico Pietro da Eboli, fautore di Enrico VI di Svevia, descrive il filo-normanno Matteo d’Aiello come plebeo, di origini africane, brutto, bigamo, dedito a pratiche stregonesche. In realtà, la famiglia pare avesse origini calabresi, del feudo di Aiello, di cui il figlio Riccardo sarà conte, sarà ascritta alla nobiltà cittadina del sedile di Porta Rotese e darà alla chiesa salernitana l’arcivescovo Nicola, altro figlio di Matteo, mentre Giovanni, fratello dello stesso Matteo, fu arcivescovo di Catania. L’accusa di bigamia, sulla quale Pietro molto insistette, appare almeno singolare, poiché se è vero che Matteo ebbe due mogli (Sica Capece, dei feudatari di Ascoli di Capitanata, morta prima del 1171, e Giuditta, morta il 25 giugno 1180), sposò la seconda essendo rimasto vedovo, non quando ancora viveva la prima. Figlio di Nicola e di Marotta, giovanissimo, Matteo si trasferisce a Palermo, dove entra a far parte della curia Regia e, qui, per il suo grande ingegno, fu posto a capo della segreteria della Corona, svolgendo un ruolo fondamentale in tutti i più importanti affari del Regno normanno fra cui la redazione, nel 1156, del trattato di Benevento che, grazie alla mediazione dell’altro salernitano Romualdo Guarna, finalmente chiudeva un periodo di aspre incomprensioni tra Guglielmo I e papa Adriano IV. Molte furono le occasioni in cui Matteo si dimostrò degno amministratore, tanto che alla morte di Guglielmo I (1166) fu, per disposizione testamentaria, tra coloro che fecero parte del consiglio della reggente regina Margherita. Raggiunta la maggiore età, Guglielmo II tenne al governo il suo precettore Gualtieri d’Offamil e Matteo, ufficialmente come vice-cancelliere, in realtà quale cancelliere a tutti gli effetti, poiché durante tutto il suo regno il cancelliere non fu mai nominato. Contestualmente a quanto faceva per Salerno, Matteo, fra le altre opere, fece edificare a Palermo un ospedale, quello di Tutti i Santi. Morendo Guglielmo II il Buono senza figli (1189), si pose il problema della successione al trono, sul quale Enrico VI di Svevia aveva posto una ipoteca a suo favore sposando nel 1186 Castanza d’Altavilla, zia di Guglielmo. Nel 1191 Enrico VI scese in Italia. In tutto il Regno si animarono fazioni a suo favore o a sostegno di Tancredi d’Altavilla, cugino di Guglielmo II, incoronato a Palermo l’anno precedente. A Salerno a capo del partito degli Altavilla era Nicola d’Aiello, figlio di Matteo, e successore di Romualdo II Guarna alla cattedra arcivescovile, che fu fra i più audaci organizzatori della disperata resistenza agli invasori. Per momentanea fortuna, Enrico, ammalatosi, fu costretto a rientrare in Germania. Matteo d’Aiello, nominato finalmente cancelliere da re Tancredi dopo anni da vice di un capo inesistente, morendo il 18 luglio 1193, non vide il precipitare degli eventi. Quello stesso anno muore il giovane Ruggero, che il padre Tancredi aveva associato al trono, e l’anno successivo lo stesso Re. Rimane sul trono l’altro suo figlio, il piccolo Guglielmo d’Altavilla, sotto la reggenza della madre Sibilla. Una nuova invasione permetterà ad Enrico VI di sedere sul trono siciliano. |