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a cura di Vincenzo de Simone

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Rassegna Storica Salernitana, 19, 1993, pp. 191-207

LA «FORMA URBIS» PRELONGOBARDA E ALTRE QUESTIONI DI TOPOGRAFIA SALERNITANA

 

La ricerca storica salernitana è afflitta da alcuni antichi mali endemici, estremamente difficili da debellare. Uno di essi consiste in frequenti confusioni fra due o più chiese sotto lo stesso titolo che, ove si limitassero semplicemente ad inquinare la storia dei vari edifici di culto, potrebbero anche apparire di limitato interesse, ma che assurgono a questioni rilevanti quando impediscono una esatta lettura di parti consistenti della storia topografica cittadina. Un altro di tali mali consiste nell’abitudine, da parte della quasi totalità degli autori, ad utilizzare le edizioni a stampa delle fonti tralasciando la lettura degli originali, per cui abbiamo che queste edizioni, meritorie nel costituire una indispensabile guida per il rapido reperimento dei documenti utili alla conduzione di una data ricerca, soppiantano gli originali stessi che finiscono per non essere nemmeno citati con le proprie collocazioni archivistiche; da tale abitudine discende la conseguenza che, in assenza di verifiche critiche e di confronti fra gli originali e le edizioni a stampa, interpretazioni soggettive da parte dei curatori delle edizioni stesse, citazioni estrapolate dai propri contesti e portate in nota quali esempi, finanche banali errori di stampa assurgono a fondamento di tesi singolari o di illazioni cervellotiche.

Recentemente1 abbiamo visto come la confusione fra la chiesa nobiliare sotto il titolo di San Michele Arcangelo, edificata dal conte Guido e dalla sua consorte Aloara, ed il monastero femminile dell’ordine benedettino sotto il titolo di San Michele e Santo Stefano, per poco meno di un settantennio, dagli studi di Michele de Angelis2 ai nostri giorni, ha impedito una esatta identificazione della via che conduceva alla porta di Elino e, quindi, una corretta lettura dei tanti documenti che a tale via si riferiscono, oltre ad ostacolare, seppure marginalmente, una precisa ubicazione dell’antica cattedrale dei vescovi salernitani3. Nello stesso tempo abbiamo notato come un errore di stampa nel Codex diplomaticus cavensis indusse lo stesso de Angelis ad elaborare una singolare teoria circa l’attendibilità di un documento originale, che egli evidentemente non lesse, ed il numero delle vie che, passando al di sopra o al di sotto della chiesa di San Michele Arcangelo di Guido e Aloara, conducevano alla porta di Elino4.

 

1V. de Simone, L’identificazione della via che conduceva alla porta di Elino, in «Rassegna Storica Salernitana», 17, 1992, pp. 257-266.

2M. de Angelis, La porta Elina di Salerno, in «Archivio Storico della provincia di Salerno», 1924, pp. 99-135; Conferme sulle antiche cinte di Salerno e il Labinario di S. Maria de Domno, in «Archivio Storico per la provincia di Salerno», 1932-1933, pp. 111-125; La via Popilia in medio Salerno, in «Rassegna Storica Salernitana», 1938, pp. 267-282.

3Cf. A. R. Amarotta, La cappella palatina di Salerno, Salerno 1982, pp. 73-86, con V. de Simone, L’ubicazione dell’antica cattedrale dei vescovi salernitani, in «Rassegna Storica Salernitana», 15, 1991, pp. 179-184.

4Cf. M. de Angelis, La porta cit., p. 114, con V. de Simone, L’identificazione cit., nota 4, p. 258.

Qui di seguito, oltre a sfiorare altre questioni di topografia salernitana e a tentare una corretta individuazione dell’andamento del muro settentrionale della città prelongobarda, vedremo come un’altra confusione fra due chiese, entrambe sotto il titolo di Sant’Andrea, e una superficiale lettura della nota posta dai curatori del Codex diplomaticus cavensis ad esplicazione di un passo della pergamena F-105, ove, a titolo di esempio, venivano proposte due citazioni della porta di Rateprando6, rispettivamente del 1091 e del 1128, senza fornire alcuna collocazione archivistica dei documenti dai quali erano state tratte, indussero il de Angelis7, che evidentemente non si curò di cercare i due originali per una opportuna verifica, così come non se ne curarono gli autori che lo seguirono8, ad elaborare la tesi secondo la quale in epoca prelongobarda l’attuale rione delle Fornelle rimaneva fuori dalle mura cittadine.

In effetti, da tali citazioni si ricava che una chiesa di Sant’Andrea era sita fra il duplice muro cittadino, al di sopra della porta di Rateprando; da tanto, il de Angelis, identificando la chiesa citata con quella di Sant’Andrea de Lama o de Lavina, che oggi vediamo alle Galesse, non solo identificò la porta di Rateprando con l’arco che vediamo fra la via che di tale porta reca il nome9 e via porta Catena, ma anche costruì la tesi secondo la quale il muro meridionale che questa città possedeva quando Arechi vi stabilì la capitale dei propri domini, che egli ipotizza risalente all’epoca della calata dei barbari e che noi, in assenza di prove, ci limiteremo a definire prelongobardo, correva lungo il lato meridionale dell’attuale via Tasso lasciando, appunto, l’attuale rione Fornelle fuori dalla cinta difensiva.

 

5M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex diplomaticus cavensis, I, Napoli 1873, p. 80.

6Analogamente a quanto rilevato per la porta di Elino (V. de Simone, L’identificazione cit., nota 1, p. 257), riteniamo di rendere correttamente l’espressione «porta Rateprandi» con «porta di Rateprando».

7M. de Angelis, Il passato di Salerno visto a traverso gli antichi archi, in «Archivio Storico della provincia di Salerno», 1923, pp. 347-365; L’ampliamento di Salerno alla fine del Cinquecento, in «Rassegna Storica Salernitana», 1937, p. 133.

8L. G. Kalby, Il quartiere Le Formelle o Le Fornelle e l’ampliamento settecentesco nel centro storico salernitano, in «Rivista di studi salernitani», 6, 1970, pp. 3-27. V. Bracco, Salerno romana, Salerno 1979. A. R. Amarotta, Il palazzo di Arechi e il quartiere meridionale di Salerno, in «Atti della Accademia Pontaniana», XXVIII, 1979, pp. 229-251; Dinamica urbanistica nell’età longobarda, in A. Leone e G. Vitolo, Guida alla storia di Salerno e della sua provincia, Salerno 1982, I, pp. 69-86; Il vicus di S. Trofimena e il porto longobardo di Salerno, in «Atti della Accademia Pontaniana», XXXI, 1983, pp. 113-134.

9Fino al 1932 l’attule via Porta Rateprandi era denominata vicolo Ruggi, Nell’aprile di quell’anno, il podestà di Salerno, on. Mario Iannelli, nominò una commissione per la revisione dei nomi delle strade cittadine di cui faceva parte Michele de Angelis; tale commissione, nel successivo mese di settembre, presentò una relazione con la quale si proponevano settantanove sostituzioni di denominazioni fra cui, appunto, vicolo Ruggi con via Porta Rateprandi. Questa relazione si legge in «Archivio Storico per la provincia di Salerno», 1932-1933, pp. 64-86.

In realtà, la chiesa di Sant’Andrea de Lama, detta successivamente de Lavina, nulla aveva in comune con la chiesa omonima sita al di sopra della porta di Rateprando, detta successivamente de Portella o de Porticella, se non il fatto che nell’ottobre 109110 parti di entrambe erano in patronato di Guaimario conte di Giffoni, figlio di Guidone duca, a sua volta figlio dell’ultimo Guaimario principe di Salerno. Infatti nel citato documento dell’ottobre 1091, che non è altri se non il primo dei due utilizzati dai curatori del Codex per la nota di cui sopra, il detto Guaimario, alla presenza di Sicone giudice, dichiarava che ai suoi genitori, Guidone duca e Rangarda, figlia di Landone conte, appartenevano parte della chiesa di Santa Maria, sita in Salerno fra il muro e il muricino; della chiesa di Sant’Andrea Apostolo, sita in Salerno ove si diceva la Lama; della chiesa di San Massimo, sita in Salerno; del monastero sito sopra la porta di Rateprando, fra il duplice muro della città, in onore dello stesso Sant’Andrea Apostolo; della chiesa di San Nicola, sita fuori della città nel luogo detto Laneo; e che, per la salute della sua anima, di quella della suddetta sua genitrice e di suo figlio Guimario, e per la redenzione dell’anima del suddetto suo genitore, di suo fratello Pandolfo e di ogni altro suo parente, desiderava donare al monastero di Cava tali parti11.

Conferma del fatto che Sant’Andrea sopra la porta di Rateprando era altra chiesa che Sant’Andrea de Lama ci viene da un documento datato maggio 1087, evidentemente spurio12, prodotto probabilmente nel XIV secolo, per giustificare pretese di possesso da parte della Badia su giurisdizioni feudali e chiese di varie località, fra cui Salerno, in relazione a presunte donazioni e conferme da parte del duca Ruggiero; le chiese cittadine citate sono: San Matteo Piccolo, Sant’Andrea de Lavina, Santa Maria de la Giudecca, San Salvatore de Coriariis, San Gregorio de Porta Nova, Sant’Andrea de Portella, San Nicola de la Fontana13. Paradossalmente, la falsificazione del documento, evidenziata, al di là delle considerazioni paleografiche14, dal fatto che le due Sant’Andrea sono indicate non come nel documento dell’ottobre 1091, cioè «de Lama» e «sopra la porta di Rateprando», ma come in uso nel XIV secolo, cioè «de Lavina» e «de Portella», e che San Gregorio è detto «de Porta Nova» mentre sappiamo15 che tale porta fu edificata soltantonel 1117 o poco prima, appare, a prescindere da altri documenti che le citano, la migliore prova dell’esistenza delle singole chiese nominate con i titoli citati, in quanto, in caso contrario, non si comprenderebbero i motivi che spinsero a produrre un falso giustificante pretese di possesso su chiese inesistenti. Ulteriore conferma troviamo in tre registri di amministrazione della badia di Cava, due dell’epoca dell’abate Mainerio, il terzo dell’epoca del cardinale Giovanni d’Aragona16. Tali registri riportano elenchi di chiese di Salerno che pur non essendo del tutto dipendenti dalla Badia, in quanto questa ne possedeva solo parti, alla stessa erano tenute a versare censi annui, con la contabilizzazione di quanto se ne ricavava; esse sono le stesse nel documento spurio di cui sopra.

Da tanto, accertato che la chiesa di Sant’Andrea che oggi vediamo alle Galesse non era posta fra il duplice muro cittadino e al di sopra della porta di Rateprando, cadono due luoghi comuni della storia topografica salernitana: la tesi secondo la quale il muro prelongobardo correva lungo il lato meridionale dell’attuale via Tasso e l’identificazione della porta di Rateprando con l’arco che cavalca la via che di tale porta reca il nome, secondo de Angelis17, o con l’arco che cavalca via delle Galesse, secondo Amarotta18.

 

10Archivio della Badia di Cava, pergamena C-29, trascritta in S. Leone, Diplomata tabularii cavensis, dattiloscritto presso lo stesso archivio, C, 1963, ff. 45-46.

11G. Crisci e A. Campagna, Salerno Sacra, Salerno 1962, p. 160, supponendo che in Salerno non vi fosse che una sola chiesa di Sant’Andrea, attribuiscono alla superstite Sant’Andrea de Lavina non solo le citazioni relative a Sant’Andrea sopra la porta di Rateprando, ma anche quelle relative a Sant’Andrea de Orto Magno; in realtà, in Salerno vi fu anche una quarta Sant’Andrea, in Plaio Montis, vicino al muro orientale della città. Inoltre, gli stessi autori, interpretando erroneamente la nota del Codex sopra citata, assegnano all’anno 866 la prima notizia della chiesa, cosa che fa anche L. G. Kalby, Il quartiere cit., p. 8; in realtà, Sant’Andrea de Lavina compare nelle fonti, con l’appellativo «de Lama», nell’agosto 1084 (Archivio della Badia di Cava, pergamena XIV-21, trascritta in S. Leone, Diplomata cit., XIV, 1966, f. 29), mentre una precedente citazione del gennaio 999 (Archivio di Stato di Salerno, pergamena  di San Giorgio A-3 del giugno 1065, inserto; edita in L. Cassese, Pergamene del monastero benedettino di San Giorgio, Salerno 1950, pp. 15-45), ove si parla genericamente di una chiesa di Sant’Andrea, rimane difficilmente attribuibile. A. R. Amarotta, Dinamica cit., p. 80, sostiene che Sant’Andrea de Lavina fu eretta in sostituzione di Sant’Andrea de Orto Magno, demolita nella seconda metà del X secolo per far posto ad un archiepiscopio edificato prima dell’attuale; in realtà, a parte il fatto che non vi fu alcun archiepiscopio precedente l’attuale (si veda V. de Simone, L’identificazione cit., p. 265), Sant’Andrea de Orto Magno la ritroviamo esistente nell’aprile 1188 (Archivio della Badia di Cava, pergamena XLI-98; inedita).

12Archivio della Badia di Cava, pergamena C-12; edita con lacune e ritenendola autentica in D. Ventimiglia, Difesa storico-diplomatica-legale Della Giurisdizione Civile del Sacro Monastero della SS. Trinità de PP. Casinesi della Cava nel feudo di Tramutola, Napoli 1801, appendice, pp. III-X; e in G. Adinolfi, Storia della Cava distinta in tre epoche, Salerno 1846, pp. 290-294. Edita correttamente e riconoscendola falsa in L. R. Menager, Recueil des actes des Ducs normands d’Italie, I, Bari 1981, pp. 203-212. Trascritta correttamente, riconoscendola falsa ed ipotizzandone la falsificazione al 1361 in S. Leone, Diplomata cit., C, 1963, ff. 16-19.

13G. Crisci e A. Campagna, Salerno Sacra cit., p. 160, ritengono  autentico questo documento. A. R. Amarotta in un primo momento, La cappella cit., p. 79 e Il vicus cit., p. 133, lo ritiene autentico; successivamente, Il secolo normanno nell’urbanistica salernitana, in «Rassegna Storica Salernitana», 3, 1975, p.105, ne contesta l’attendibilità, ma soltanto perché, a suo avviso, in Salerno non esistettero mai le chiese di Santa Maria de la Giudecca e di Sant’Andrea de Portella, mentre San Nicola de Fontana era sita fuori città, sulla collina di Giovi (!); infine, Salerno romana e medievale, Salerno 1979, p. 274, lo riconosce falso rimandando a C. Carlone, Falsificazioni e falsari cavensi e verginiani del secolo XIII, Altavolla Silentina 1984, che a sua volta rimanda a L. R. Menager, Recueil cit.

14Si vedano S. Leone, Diplomata cit., C, f. 19 e L. R. Menager, Recueil cit., p. 205.

15V. de Simone, L’identificazione cit., p. 266.

16Archivio della Badia di Cava, Registro III dell’abate Mainerio, 1340-1366, ff. 39-40; Inventario dell’abate Mainerio, 1359, f. 160; Registro I del cardinale Giovanni d’Aragona, 1478-1482, f. 5.

17M. de Amgelis, Il passato cit., p. 349; L’ampliamento cit., p. 133, nota 2.

18A. R. Amarotta, Il palazzo cit., p. 242; Dinamica cit., p. 76; Il vicus cit., p. 119; Salerno romana e medievale, cit., pp. 66-67.

La variante di Amarotta alla tesi del de Angelis trae origine da un documento del luglio 105919 che tratta di beni immobili posti fuori la città di Salerno, dal muro della stessa città alla via pubblica che correva lungo il mare, appartenuti al fu Pietro conte e referendario, così come apparivano da due «precetti», il primo dell’epoca del principe Siconolfo, il secondo del maggio 1032. Il primo di essi, nel documento citato come «precetto vecchio», descrive un terreno avente un’ampiezza longitudinale, lungo il muro della città, di settanta passi e un’ampiezza latitudinale imprecisata, dallo stesso muro al muricino e da questo al mare; i confini latitudinali di tale terreno erano costituiti dal diffusorio che usciva dalla corte di San Michele e dal palazzo arechiano che, evidentemente, si protendeva all’esterno del muro cittadino, nell’area compresa fra il muro e il muricino. Il documento non precisa se il muro del palazzo arechiano costituiva il confine ovest o est del terreno e, di conseguenza, non ci permette di conoscere se il diffusorio che usciva dalla corte di San Michele era posto ad oriente o ad occidente del palazzo stesso. Ciò nonostante, Amarotta, avendo calcolato che settanta passi corrispondono a poco più di centotrenta metri e avendo misurato tale distanza fra San Pietro a Corte, residuo del palazzo arechiano, e via Porta Rateprandi, opta per l’ubicazione del terreno in oggetto ad occidente del palazzo andando ad identificare il diffusorio che usciva dalla corte di San Michele con il passaggio nel muro cittadino dell’acqua della Lama e, conseguentemente, essendo l’attuale via Porta Rateprandi un corso d’acqua (ma ciò era già noto e inficiava in origine la tesi del de Angelis), va ad identificare la via della porta di Rateprando con l’attuale via delle Galesse; inoltre, nel tentativo di giustificare l’improbabile abbinamento del diffusorio che usciva dalla corte di San Michele con il corso della Lama, suppone che l’attuale Sant’Andrea de Lavina non sia altro che la chiesa di San Michele in vico Santa Trofimena di cui, a suo avviso, si perderebbero le tracce prima della comparsa nelle fonti del titolo di Sant’Andrea.

   

19Archivio della Badia di Cava, pergamena XI-46; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., VIII, Milano-Napoli-Pisa 1893, pp. 106-114.

In realtà, a parte il fatto che la chiesa di San Michele in vico Santa Trofimana la ritroviamo esistente ben dopo la comparsa nelle fonti di Sant’Andrea de Lama20, il documento in oggetto, nel suo prosieguo, specificatamente nell’inserto del maggio 1032 citato come «precetto nuovo», ci permette di conoscere che i beni immobili di cui si trattava si estendevano dal palazzo arechiano verso est. Esso, infatti, descrive un altro terreno che insieme a quello descritto nel «precetto vecchio» costituiva il complesso di tali beni. Questo secondo terreno era posto al di fuori del muro cittadino ed aveva i seguenti confini e misure: ad occidente lungo il diffusorio che usciva dalla corte di San Michele fino al mare; e lungo il mare, verso oriente, per diciotto passi; e dal mare, verso settentrione, fino al muro della città; e lungo tale muro fino al confine iniziale, all’uscita dell’acqua dal detto diffusorio, per diciotto passi. Questo secondo terreno, dunque, era contiguo al primo, avendo con esso un confine comune nel corso d’acqua che usciva dal diffusorio praticato nel muro della città, e poiché aveva tale diffusorio al proprio lato occidentale, evidentemente il primo aveva lo stesso al proprio lato orientale; di conseguenza il complesso dei due terreni si estendeva ad oriente del palazzo arechiano, dopo settanta passi incontrava il diffusorio che usciva dalla corte di San Michele e da questo si estendeva ancora per diciotto passi.

   

 

20Per tutti citiamo due documenti, l’uno dell’aprile 1180, l’altro del dicembre 1286 in Archivio della Badia di Cava, pergamene XXXVII-17 e LVIII-109; inedite.

Il duplice muro che difendeva la città verso il mare, costituito dal muro prelongobardo all’interno e da quello longobardo all’esterno, relativamente all’area delle attuali Fornelle, compare nelle fonti con un documento del febbraio 111921 con il quale una terra con casa posta nella città di Salerno, fra il muro e il muricino, confinante a settentrione con una via, ad oriente con il corso dell’acqua della Lama, a mezzogiorno con il muro della città e ad occidente con un andito, veniva legata testamentariamente a favore della Badia di Cava da parte di Sichelgaita, figlia del fu Giovanni conte e vedova di Gregorio, figlio di Pandolfo duca. Altri tre documenti, rispettivamente dell’agosto 1134, dell’ottobre 1258 e del giugno 126922, nel trattare di parti dello stesso terreno, oltre a confermarci che esso era posto fra il muro e il muricino confinando ad oriente con il corso della Lama, ci forniscono altre importanti notizie: il terreno era posto nel luogo Veterensium e propriamente ove si diceva a li Cicari, vicino la chiesa di San Vito Maggiore detta anche de Mare; la via che ne costituiva il confine settentrionale, andando verso occidente, conduceva alla porta della città per la quale si usciva in Busanola; la distanza fra la via della porta Busanola e il muro esterno della città, misurata lungo il corso della Lama, era di circa tredici metri. Tanto ci porta ad altre questioni di topografia salernitana che tenteremo di trattare brevemente: le chiese cittadine dedicate a San Vito e la via che conduceva alla porta Busanola.

   

 

 

21Archivio della Badia di Cava, pergamena F-13, trascritta in S. Leone, Diplomata cit., F, 1963, ff. 22-23.

 

 

 

 

 

 

22Archivio della Badia di Cava, pergamene XXIII-82; LIV-32; LV-102; la prima trascritta in S. Leone, Diplomata cit., XXIII, 1964, f. 105; le altre inedite.

In apertura di questo scritto, ribadivamo la nostra convinzione che la via della porta di Elino corrispose sempre all’attuale via Mercanti, nonostante una breve nota di Amarotta di contestazione a tale tesi23. Per la verità, di tutte le argomentazioni addotte a sostegno della nostra opinione, Amarotta ne contesta solo una, sostenendo che la chiesa di San Vito citata fra il 1058 e il 1070 come costruita lungo la via della porta di Elino era altra che quella citata nel 1240 come costruita lungo la via della porta «olim» detta di Elino. A sostegno di tanto scrive che la prima ebbe il titolo di San Vito Maggiore o Martire, la seconda quello di San Vito de Scutis. Da questo discorso, ci sembra di capire che Amarotta considera gli appellativi Maggiore, Martire e de Scutis come propri di vari santi di nome Vito, come nel caso di san Giacomo Maggiore e Minore o di san Giovanni Battista, Evangelista, d’Avila, ecc. Naturalmente così non è: il santo Vito venerato nell’Italia meridionale fin dal V secolo è uno e fu martire a Pesto durante la persecuzione di Diocleziano, mentre i titoli Maggiore, Minore, de Scutis, de Andrella furono date a chiese salernitane ed esso dedicate per distinguerle l’una dall’altra. Precisato questo, vediamo come i documenti sopra citati, smentendo le affermazioni di Amarotta, ci dicono che San Vito Maggiore era la chiesa detta anche San Vito de Mare, posta in corrispondenza delle Fornelle e non lungo la via che conduceva alla porta di Elino. La chiesa citata fra il 1058 e il 1070 come edificata lungo la via della porta di Elino, dunque, era semplicemente dedicata al santo martire Vito o, più correntemente, al santo Vito, come i documenti che la citano recitano testualmente24; essa, quindi, è perfettamente identificabile con San Vito de Scutis, citata a partire dal 1240 come edificata lungo la stessa via.

   

 

 

23V. de Simone, L’identificazione cit.; A. R. Amarotta, Una tesi «singolare»: le vie di Porta Elina, in «Rassegna Storica Salernitana», 18, 1992, pp. 205-207.

24Archivio Archidiocesano di Salerno, pergamena 16; edita in G. Paesano, Memorie per servire alla storia della Chiesa salernitana, I, Napoli 1846, pp. 115-117. Archivio di Stato di Salerno, pergamene 4 e 5; edite in L. E. Pennacchini, Pergamene salernitane, Salerno 1941, pp. 33-36 e 37-39. Nella edizione del Paesano la pergamena è indicata con la vecchia segnatura, ossia 24. Nella edizione del Pennacchini, alla pergamena 5 viene attribuita la data del luglio 1071.

Amarotta25, sulla scorta di un documento che egli definisce dalla sintassi piuttosto confusa26, pone la porta Busanola una ventina di metri a monte del sito ove molto più tardi sarà eretta porta Catena e, conseguentemente, conclude che la via che conduceva a tale porta sfiorava il lato meridionale della chiesa di Santa Trofimena. Purtroppo, non ci troviamo di fronte ad un documento dalla sintassi piuttosto confusa, ma di fronte all’imperversare del secondo dei mali della ricerca storica salernitana di cui parlavamo in apertura di questo discorso. Infatti, il Carucci, nel trascrivere questo documento per la sua edizione ne omette alcune parti rilevanti proprio ove in documento stesso si sofferma a descrivere i confini dell’immobile di cui tratta, rendendo incomprensibile il senso del discorso; dal canto suo, Amarotta, omettendo evidentemente la lettura dell’originale, giunge a giudizi e conclusioni infelici. Ma al di là di tanto, il documento in oggetto, mancando di riferimenti ad immobili tuttora esistenti, comunque non ci permette una identificazione della via della porta Busanola, cosa che, invece, ci permette l’atto del dicembre 1286 sopra citato27 quale prova dell’esistenza della chiesa di San Michele in vico Santa Trofimena ben dopo la scmparsa nelle fonti di Sant’Andrea de Lama. Tale documento tratta di due terreni con case di proprietà della badia di Cava che vengono permutati con altro terreno, posto fuori Salerno, di proprietà di Nicola detto Spitillo, figlio del fu Tommaso. Il primo di tali terreni era posto in Salerno, nel luogo Veterensium in vico della chiesa di Santa Trofimena, al di sotto e non molto lontano da tale chiesa. Il suo confine meridionale era costituito dalla via che, andando verso occidente, conduceva alla porta cittadina detta di Busanola; il confine occidentale, da altri beni del detto Nicola; il confine settentrionale, dalla linea mediana di un canale di scolo; ul confine orientale, da un andito. Il secondo terreno era posto nello stesso luogo, alle spalle del primo, alle spalle della casa di Nicola detto Patano e alle spalle di una casa della frateria dell’archiepiscopio salernitano, al di sotto della chiesa di San Michele. Il suo confine meridionale era costituito dal canale di scolo che lo divideva dalla casa di Nicola detto Patano e da quella della frateria; il confine orientale, da una lavina; il confine settentrionale, da un andito; il confine occidentale, da beni di altri. Il documento non ci fornisce alcuna misura, ma il fatto che dexcrive due complessi immobiliari posti in senso latitudinale fra la chiesa di Santa Trofimena e la via di porta Busanola, lasciando supporre che ve ne fossero altri, in quanto il secondo terreno non confina ancora con la chiesa ma con un andito che potrebbe a sua volta confinare con altri immobili posti a loro volta a sud della chiesa stessa, esclude, evidentemente, che la via di porta Busanola sfiorasse il lato meridionale di Santa Trofimena. Attualmente, fra la via Porta Catena e la chiesa osserviamo una distanza che ci pare atta a contenere gli immobili sopra descritti senza lasciare spazio ad una ipotetica seconda via parallela a quella esistente, per cui la nostra conclusione è che la via di porta Busanola corrispose all’attuale via Porta Catena.

 

25A. R. Amarotta, Il secolo cit., p. 78.

26Archivio della Badia di Cava, pergamena XLVI-78; edita in C. Carucci, Codice diplomatico salernitano del secolo XIII, I, Subiaco 1931, pp. 103-104.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

27Si veda la nota 20.

L’area fra il muro e il muricino, dunque, in corrispondenza delle attuali Fornelle era percorsa longitudinalmente da una via, così come il corrispondenza di Santa Maria de Domno28, analoga appare anche la disposizione del muro esterno della città relativamente alla stessa via, posto ad una distanza da essa di circa dodici metri in corrispondenza di Santa Maria de Domno e di circa tredici metri in corrispondenza del corso della Lama. Non è giunto fino a noi alcun documento che ci permetta di conoscere l’andamento del muro interno relativamente alle Fornelle, ma il fatto che questo in corrispondenza del lavinaio di Santa Maria de Domno distava dalla via circa dieci metri, il fatto che certamente correva al di sotto di Sant’Andrea de Lama perché, come abbiamo visto, questa non era la chiesa posta fra il duplice muro cittadino, il fatto che la chiesa di Santa Trofimena mai è citata come costruita fra il muro e il muricino ci permettono di ipotizzare che questo muro corresse circa a metà fra la via di porta Busanola e Santa Trofimena.

   

28Si veda in M. de Angelis, Studio sui muri di Salerno verso il mare, in «Archivio Storico della provincia di Salerno», 1923, pp. 100-116.

Nelle fonti scritte pervenute fino a noi, le mura prelongobarde sono citate soltanto per quanto concerne tratti dei loro lati settentrionale e meridionale; a tali citazioni dirette vanno aggiunte quelle di luoghi indicati come «nuova città salernitana» che pur non citando direttamente le mura prelongobarde possono aiutarci, come vedremo, ad individuarne il tracciato sopratutto per quanto riguarda buona parte del lato settentrionale, ove rimangono l’unico riferimento. Amarotta29 riconosce in tali luoghi, trovandoci perfettamente d’accordo, aree che un tempo rimanevano fuori dalle mura cittadine e che furono incluse nel territorio urbano con gli ampliamenti longobardi; egli, però, non completa adeguatamente il discorso, nel senso che non si attiva, o lo fa solo parzialmente, tralasciando proprio il lato settentrionale, nel collegare tali aree alla presenza di mura prelongobarde allo scopo di dedurne, seppure approssimativamente, l’andamento.

   

 

 

 

 

 

 

29A. R. Amarotta, Dinamica cit., pp. 71-73; Salerno romana e medievale cit., p. 68.

Un documento del novembre 105830, nel trattare la divisione di un terreno posto nella città di Salerno, in Plaio Montis, vicino l’acqua della Palma, ci informa che tale terreno aveva per confine meridionale un muro distrutto che era stato della città vecchia e per confine occidentale il muro che nell’attualità era della città. Amarotta31, riconosciuto, correttamente, nel muro distrutto il lato settentrionale delle mura prelongobarde, lo va ad ubicare a nord di San Nicola della Palma, cioè vicino alla sorgente dell’omonima acqua. A parte il fatto che il documento dice che il terreno era vicino l’acqua, ossia, secondo la nostra interpretazione, vicino il corso che l’acqua seguiva verso valle, e non vicino la sorgente, l’interpretazione di Amarotta non tiene conto, come sopra accennato, di documenti che citano la «nuova città salernitana» nell’area interessata dal muro distrutto e in quella adiacente. Un documento del febbraio 93432, contenente un inserto del marzo 880, tratta di un terreno posto nella nuova città salernitana, al di sopra della porta Nocerina; dunque, al di sopra dell’attuale via Tasso, sul cui prolungamento verso occidente (attuale via Spinosa) si apriva la porta Nocerina, già si era nella nuova città; di conseguenza, il muro distrutto, che alla sua estremità occidentale incontrava lo stesso muro della città in cui si apriva la porta Nocerina, va posto, sull’asse latitudinale, fra le attuali vie Torquato Tasso e Trotula de Ruggiero. Conferma di tanto ci viene da un documento dell’aprile 85533 che tratta di un terreno posto nella nuova città salernitana, al di sotto della via lungo la quale correva la fistola pubblica, ossia l’attuale via Trotula de Ruggiero, mentre una serie di nove documenti, datati fra il giugno 865 e il novembre 93634, ci dice che il luogo ove sorgeva la chiesa di San Massimo era nella nuova città. Alla luce di tutto questo, dobbiamo ipotizzare il tracciato del muro prelongobardo notevolmente più a sud di quello che gli attribuisce Amarotta, appena a monte dell’attuale largo Abate Conforti. 

 

30Archivio della Badia di Cava, pergamena XI-33; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., VIII, pp. 83-85.

 

 

31A. R. Amarotta, L’amliamento longobardo in Plaium Montis a Salerno in «Atti della Accademia Pontaniana», XXIX, 1980, p. 322; Salerno romana e medievale cit., p. 33-35.

 

 

 

 

 

 

32Archivio della Badia di Cava, pergamena II-29; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., I, pp. 198-199.

 

 

 

 

 

 

 

 

33Archivio della Badia di Cava, pergamena I-35; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., I, pp. 43-45.

 

 

34Archivio della Badia di Cava, pergamene I-60; I-70; I-73; I-86; I-95; A-4; I-113; II-3; II-36; edite in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., I, rispettivamente, pp. 76-77; pp. 94-95; pp. 97-99; pp. 114-115; pp. 124-126; pp. 139-140; pp. 150-151; pp. 165-166; pp. 207-208.

Da quanto fin qui accertato, risulta una «forma urbis» prelongobarda completamente diversa da quella mutuata acriticamente dal de Angelis, senza il Plaio Montis e comprendente le Fornelle, approssimativamente rettangolare, logica nella sua discendenza da insediamento romano nonostante le condizioni fortemente declive del terreno. Piuttosto ristretta in senso latitudinale, si allungava in senso longitudinale dal torrente Fusandola ad una linea orientale non perfettamente identificabile, data la mancanza di documentazione. Amarotta35 pone tale confine orientale lungo l’attuale via Genovesi, ma, a parte la già citata mancanza di documentazione, la Salerno prelongobarda tale confine orientale non ebbe per il semplice fatto che il suo muro meridionale, correndo da ovest verso est, superava l’incrocio con il prolungamento verso sud dell’attuale via Genovesi, in epoca longobarda labinario di Santa Maria de Domno, raggiungendo certamente, e forse superando l’attuale largo Dogana Regia.

   

 

 

 

 

 

 

 

 

35A. R. Amarotta, L’Ortomagno nelle fortificazioni longobarde di Salerno, in «Atti della Accademia Pontaniana», XXX, 1981, pp. 175-206; Salerno romana e medievale cit., piante alle pp. 42 e 69.

Intorno a questa «forma urbis» i longobardi procedettero sostanzialmente a tre interventi: sul lato settentrionale costruirono la lunga cortina che ancora oggi vediamo ascendere il monte e girarne il cocuzzolo per discendere ad est dei gradoni di Montevergine creando la nuova città salernitana del Plaio Montis; sul lato meridionale costruirono un muro esterno creando la nuova citta salernitana fra il muro e il muricino; sul lato orientale fortificatono l’area intorno San Benedetto creando la nuova città salernitana che sarà detta ad Corpus.

Vincenzo de Simone

 

 

1: Sant’Andrea de Lama o de Lavina, tuttora esistente.

A-B: Attuale via Torquato Tasso, antica via di porta Nocerina.

C-D-E: Corso della Lama. C-D: attuale via porta Rateprandi; D-E: attuale vicolo delle Colonne; In D la posizione della porta di Rateprando secondo M. de Angelis.

F-G: Attuale via delle Galesse. In G la posizione della porta di Rateprando secondo A. R. Amarotta.

2: San Pietro a Corte, tuttora esistente.

3: Asse latitudinale del palazzo di Arechi.

4: Presumibile parte del palazzo di Arechi che si protendeva nell’area fra il muro e il muricino.

H-I: Muro prelongobardo meridionale. La parte tratteggiata rappresenta l’andamento presunto.

J-K: Muro longobardo meridionale (muro esterno della città). La parte tratteggiata rappresenta l’andamento presunto.

L-M-N: Antica via di porta Busanola. L-M: parte della via di porta Busanola corrispondente all’attuale via di porta Catena.

5: Terra con casa, posta fra il muro e il muricino, legata testamentariamente a favore della badia di Cava nel febbraio 1119.

6: Posizione presunta di San Vito Maggiore detta anche de Mare.

7: Santa Trofimena, tuttora esistente.

8: Terreni con case della Badia permutati nel dicembre 1286.

9: Posizione presunta di San Michele in vico Santa Trofimena.

10: Posizione di Santa Maria de Domno ricostruita da M. de Angelis.

 

O-P: Attuale lato meridionale della piazza Sant’Agostino e del largo Dogana Regia, antica via Carraia fra il muro e il muricino.

11: Posizione ampiamente presunta del terreno posto nella nuova città salernitana, al di sopra della porta Nocerina, di cui al documento del marzo 880.

12: Posizione ampiamente presunta del terreno posto nella nuova città salernitana, al di sotto della via lungo la quale correva la fistola pubblica, di cui al documento dell’aprile 853.

13: Posizione di San Massimo ricostruita da A. M. Amarotta (Salerno romana e medievale cit., pp. 170-184), posta nella nuova città salernitana, di cui alla serie di nove documenti datati fra il giugno 865 e il novembre 936.

14: Attuale largo Abare Conforti.

S-T: Andamento ampiamente presunto del muro prelongobardo settentrionale.

U-V: Antico labinario di Santa Maria de Domno, attuale via Antonio Genovese e suo proseguimento verso sud. Secondo Amarotta confine orientale della Salerno prelongobarda.

15: Punto di intersecazione fra il labinario di Santa Maria de Domno e il muro prelongobardo, ove nel muro era praticato un diffusorio, la qual cosa dimostra che il muro proseguiva verso est, fatto confermato dall’esistenza documentata di un ulteriore tratto del muro stesso in corrispondenza di Santa Maria de Domno.

16: Attuale largo Dogana Regia.