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a cura di Vincenzo de Simone

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la bufala di Casanova

a Villa Carrara

 

la storia, le incongruenze

 

Giacomo Casanova racconta che nel 1743, per la prima volta a Napoli, fu presentato dalla duchessa di Bovino (Anna Maria Suardo, consorte di Giovanni Maria de Guevara, duca di Bovino) a Lelio Carafa della Stadera, marchese di Arienzo, che gli offrì un lauto stipendio, che egli rifiutò, perché facesse da precettore al nipote decenne, il duca di Matalona (antica denominazione di Maddaloni). Si trattava di Carlo Carafa della Stadera, nato il 4 febbraio 1734 da Domenico Marzio e da Anna Colonna, che sarà titolare del ducato di Maddaloni alla morte del padre, il 28 novembre 1748.

Partito da Napoli per Roma, Casanova viaggia con Lucrezia Castelli, il marito avvocato impotente e la sorella Angelica. L’occasione è ghiotta e, sedotta Lucrezia durante il viaggio in una locanda di Marino, a Tivoli, con il suo favore e in sua presenza, ottiene anche l’illibata Angelica nella villa del suo promesso sposo. Nel 1744, Lucrezia partorisce una bambina che chiama Leonilda e che sa essere il frutto delle sue frequentazioni con il fascinoso avventuriero veneziano.

Casanova torna a Napoli nel 1761. Il duca di Maddaloni Carlo ha sposato, nel 1755, Vittoria de Guevara, figlia della duchessa di Bovino che nel 1743 lo aveva presentato a Lelio Carafa della Stadera, e ha avuto un figlio: Domenico Marzio, nato il 26 maggio 1758, che le malelingue dei salotti napoletani dicono non essere suo biologicamente e che sarà l’ultimo duca di Maddaloni della sua linea genealogica. La duchessa Vittoria ha una domestica dodici-tredicenne, Anastasia, alla quale il veneziano dedica qualche attenzione, ma il suo interesse è più per la presunta amante diciassettenne del duca Carlo, la bellissima Leonilda, che Casanova giunge ad un passo dallo sposare prima di scoprire che si tratta della figlia della sua antica amante Lucrezia Castelli e, quindi, sua figlia. Non avrebbe remore per un passionale incesto, ma Lucrezia glielo nega ed egli, pur giacendo con le due donne nello stesso letto, fa l’amore con la sola Lucrezia [a tale proposito, Leonardo Sciascia, L’utopia di Casanova (1998), osserva che figurativamente è la stessa scena già vista nella locanda del primo rapporto con la stessa Lucrezia giacente accanto ad Angelica, mentre Toni Veneri, Il sogno eretico di Casanova (2013) definisce l’episodio come un incesto celebrato simbolicamente].

Nel 1770 Casanova è ancora a Napoli. Il duca Carlo Carafa della Stadera è morto il 10 dicembre 1765. La sua vedova Vittoria de Guevara ha sposato in seconde nozze Francesco d’Aquino, divenendo principessa di Caramanico. La sua amante virtuale Leonilda ha sposato il marchese C (o marchese di C, secondo un'altra versione) e si è portata con la madre Lucrezia nel palazzo di questi a Salerno conducendo con se Anastasia, l’ex domestica della duchessa di Maddaloni. Il veneziano si porta a Salerno in agosto ed è accolto con calore superiore ad ogni aspettativa dal marchese e dalle tre donne.

Il marchese C è un vecchio semiparalizzato dalla gotta, che ha deciso di sposarsi soltanto dopo la morte del padre novantenne. Possiede un vasto palazzo ove alloggiano, in appartamenti separati, anche tre famiglie di suoi parenti. Il palazzo ha due giardini, l’uno ad uso del marchese, di Leonilda e di Lucrezia, l’altro ad uso comune fra le famiglie dei parenti; in quello ad uso del marchese e delle due donne vi è ogni fiore che si possa immaginare, getti d’acqua, grotte ombrose e viali coperti da volte di grappoli d’uva; anche nel palazzo vi è una grotta con imbocco in un salottino, che con oltre un centinaio di gradini scende ad una sorgente di acqua freschissima dalla quale risale un vento che rinfresca gli ambienti del palazzo. Il marchese possiede anche una tenuta di campagna ad un'ora e mezza di carrozza da Salerno, fra Picenza e Battipaglia. Ed è fra il palazzo e la tenuta che si sviluppa una tresca fra Casanova, Lucrezia, Leonilda (con la quale si consuma l’incesto a lungo agognato) e Anastasia (con la quale si concretizzano le attenzioni di nove anni prima), con il tacito consenso del marchese, che spera in tale modo di ottenere dalla moglie quell’erede che lui non è in grado di procreare, allo scopo di sottrarre il suo ingente patrimonio alla rapacità dei dieci o dodici nipoti che attendono impazienti la sua dipartita. E così sarà, poiché il veneziano incontrerà il figlio-nipote a Praga nel 1790, in occasione dell’incoronazione di Leopoldo II.

Si tratta di una storia diluita in un lasso di tempo di poco meno di un sessantennio, in cui con personaggi storici, in particolare il duca di Maddaloni Carlo Carafa della Stadera e la moglie Vittoria de Guevara, interagiscono figure di difficile se non impossibile collocazione, fra stereotipi e ripetitività di situazioni. Tre sono gli uomini dichiaratamente impotenti, contenti di cedere a Casanova le loro donne effettive o presunte che fossero, senza la cui presenza la storia non avrebbe un inizio, un momento centrale e una fine: l’avvocato Castelli, consapevole che la figlia partorita dalla moglie non è sua, tanto da chiamarla affettuosamente la bella Giacomina, in onore del veneziano; il duca Carlo, che volentieri cederebbe in moglie la sua amante virtuale garantendone l’illibatezza; il marchese C, interessato alla maternità della moglie con il fine di turlupinare i nipoti. Nella locanda di Marino, Casanova possiede Lucrezia mentre giace a letto con la sorella Angelica, con tale irruenza da causare lo sfondamento del letto; diciotto anni dopo, la scena si ripete a Napoli, quando possiede la stessa Lucrezia mentre giace a letto con la figlia Leonilda, tanto che la ragazza, il mattino dopo, riferirà dettagliatamente al duca Carlo delle imprese notturne della coppia. Nella Villa di Tivoli, Lucrezia gli offre la sorella; ventisette anni dopo, la scena si ripete a Salerno nel palazzo e nella temuta del marchese C, quando gli offre la figlia.

Una frotta di pseudo-storiografi ha ripetuto nel tempo l’identificazione del marchese C con un Carrara, come scrive Giuseppe Lauriello in Giacomo Casanova a Salerno, e, conseguentemente, quali teatri della tresca salernitana del veneziano Palazzo Carrara in via dei Mercanti e la villa della famiglia a Pastena. Ora è appena il caso di rilevare che Palazzo Carrara non ha giardini, né ne aveva nel Settecento come dalla descrizione del 4 febbraio 1754 nell’Apprezzo del Catasto onciario [foglio 473, particella 1], né ha grotte che scendono con oltre un centinaio di gradini ad una sorgente d’acqua freschissima e che la villa di Pastena non è a un’ora e mezza di carrozza da Salerno, fra Picenza e Battipaglia.

La famiglia Carrara, diramazione dei da Carrara o Carraresi, antichi signori di Padova, fatti oggetto di una feroce strage da parte veneziana nel primo decennio del Quattrocento, era stata aggregata al patriziato dello stato feudale di Montecorvino il 24 giugno 1494 da Alfonso II nelle persone di Geronimo Antonio e Giacomo e il 17 gennaio 1734 al patriziato di Salerno, nel sedile del Campo. Nello stesso 1734, era stato concesso a Domenico Nicola il titolo di conte, che sarà riconosciuto il 12 dicembre 1924 a Domenico Maria, ultimo erede della casata, cavaliere di Malta, dalla Commissione per i titoli di nobiltà del Regno d'Italia. Il titolo di marchese mai fu concesso a membri della famiglia e nessuno di essi fu barone di San Giovanni Guarrazzano (come invece scrivono due dei tanti pseudo-storiografi).

Nel 1770, sei mesi prima dall'arrivo in città di Casanova, il 7 febbraio, la mattina ad ore sette, moriva il signor Giacomo Carrara, che compariva il 4 febbraio 1754 nell'Apprezzo del Catasto onciario come possessore del palazzo di via dei Mercanti e che era anche il possessore della villa di Pastena. Egli aveva sposato nel 1745 Cecilia Naccenna e lasciava eredi i figli Domenico Maria e Antonio, il primo dei quali, nato il 19 aprile 1752, sposerà nel 1778 Maria de Frisia e sarà sindaco di Salerno nel 1808. Quindi, in quell'agosto, a Palazzo Carrara, così come alla villa di Pastena, non viveva nessun vecchio e gottoso marchese, né una folla di parenti fra cui dieci o dodici nipoti, né donna Lucrezia, né la figlia Leonilda e neppure la sua cameriera Anastasia. Naturalmente, in famiglia, nel 1771 non nacque nessun marchesino C che il padre-nonno potesse incontrare a Praga nel 1790 in occasione dell’incoronazione di Leopoldo II.