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a cura di Vincenzo de Simone

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San Ludovico d'Angiò (il civico 8 del largo Abate Conforti) - pagina collegata

 

            Il Mattino, 18 giugno 2008

Dall’articolo Archivio, un affresco nei depositi a firma Erminia Pellecchia

Le ipotesi tante e suggestive, tra tutte quella che più affascina è che la piccola cappella ... sia quella di San Grammazio, dedicata al secondo vescovo della chiesa salernitana e di cui si è persa ogni traccia. A confortare la tesi è l’autorevole «Salerno Sacra» di Crisci-Campagna, che lo storico dell’arte Antonio Braca cita quasi a memoria: «L’antica chiesetta di San Grammazio, attuale rivendita di sali e tabacchi in piazza Abate Conforti già precedentemente “aedicola angusta erat er [?] vetustate propemodumdissolvebatur». Ubicata nella Platea Maior, degradata ed abbattuta per volontà dei monaci di S. Sofia. Il locale utilizzato a deposito dell’Archivio, a memoria degli anziani del luogo, ospitava proprio una tabaccheria.

È incredibile come in così poco spazio si possano mettere insieme tante sciocchezze:

Si confondono la prima e la seconda San Grammazio, ossia quella che nel 1670 fu definita aedicola angusta e quindi demolita, e quella poi ricostruita, ma certamente non sotto la Regia Udienza (attuale Archivio di Stato), e destinata dalla metà dell’Ottocento ad uso profano.

I monaci di Santa Sofia non c’entrano niente (il monastero maschile di Santa Sofia fu soppresso nella seconda metà del Duecento, quattrocento anni prima della demolizione della prima San Grammazio). La demolizione fu voluta dai gesuiti.

Non è vero che gli anziani del luogo ricordano nel locale in cui è avvenuto il ritrovamento dell’affresco una tabaccheria; lì c’era una farmacia.

 

            Il Mattino, 19 giugno 2008

Si da conto di una nota di Pasquale Natella che riconosce nell’affresco san Ludovico di Tolosa e fa riferimento al lavoro di Simone Martini raffigurante lo stesso santo conservato al museo di Capodimonte.

 

            Cronache del Mezzoggiorno, 24 giugno 2008

Dall’articolo Un tesoro d’epoca angioina torna alla luce in piazza Conforti a firma Raffaele Avallone

«Non c’è dubbio alcuno, l’affresco raffigura san Ludovico d’Angiò» è la ferma opinione di Vincenzo de Simone, uno dei curatori della seconda edizione di “Salerno sacra” vera bibbia per i cultori di storia religiosa salernitana. Una tesi accompagnata da inconfutabili argomentazioni, documenti alla mano: «Il locale in questione, noto al personale dell’Archivio come “la Farmacia”, è in realtà l’antica cappella gentilizia della famiglia della Porta, sotto il titolo di San Ludovico. La prima notizia della piccola chiesa giunta fino a noi risale al 1466, ma alla luce di questo ritrovamento va senz’altro retrodatata di circa un secolo. L’edificio di culto finì poi con il far parte del complesso della Regia Udienza perché un esponente del ramo della famiglia della Porta si macchiò del reato di ribellione, per cui i suoi beni, la cappella e le case superiori, furono confiscati e pervennero prima al principe di Salerno Roberto Sanseverino, poi ai Guarna, quindi alla famiglia de Samudio di Napoli che li cedette prima in locazione perpetua, poi in proprietà alla Regia Udienza».

Lo studioso non si sottrae al compito di tratteggiare brevemente la figura del santo in questione: «Ludovico d’Angiò era il figlio secondogenito di Carlo II lo Zoppo, principe di Salerno, e di Maria d’Ungheria. Dopo la morte del fratello Carlo Martello rinunciò al trono di Napoli a favore del fratello Roberto, entrando nell’ordine francescano. Consacrato vescovo di Tolosa nel 1296 da Bonifacio VIII, morirà di tubercolosi l’anno successivo a soli ventitre anni, il che giustifica i tratti giovanili raffigurati nell’affresco venuto alla luce. Ludovico sarà proclamato santo il 7 aprile 1317 da Giovanni XXII».

Per de Simone dunque l’affresco non raffigura assolutamente san Grammazio, come è stato ipotizzato in un primo momento. Ma c’è di più: «della chiesa di San Grammazio non si è persa ogni traccia, come è stato detto, ma di essa si conosce perfettamente l’ubicazione: era sita sì al largo Abate Conforti, ma di fronte all’attuale Archivio, allora Regia Udienza, grosso modo dove oggi vediamo la fontana. Sarà rasa al suolo, insieme a delle case ad essa addossate, nel 1670 per permettere ai gesuiti di creare il largo davanti alla loro chiesa, attuale Santissima Addolorata.

 

            Controcampo Salerno, 1 luglio 2008

Affresco trecentesco all’archivio di Stato

Il san Ludovico ritrovato (Vincenzo de Simone)

Il civico 8 del largo Abate Conforti corrisponde ad un locale noto al personale dell’archivio di Stato, che fino a qualche mese fa lo utilizzava quale deposito, come la Farmacia. Nonostante i pesanti adattamenti agli scopi dell’istituto, l’ambiente mostrava evidente, ai pochi che avevano la ventura di accedervi, le volte che furono della cappella detta nel Settecento di San Leonardo della Regia Udienza, ma che la documentazione precedente indica con il titolo di San Ludovico; la sua prima citazione giunta fino a noi è del 16 marzo 1466, essendo posta sotto le case che erano state di Francesco della Porta e che nell’attualità erano possedute da Giovanni Guarna. In tale ambiente, ringraziando chi ha deciso che fosse ora di smetterla con l’uso improprio al quale era costretto, è recentemente venuto alla luce un affresco trecentesco raffigurante un santo vescovo di età giovanile, che non può che essere il titolare di quella cappella: san Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa.

La storia documentata dell’isolato nel quale è inserito l’attuale archivio di Stato, una volta Regia Udienza, delimitato dal largo Abate Conforti, dalla via delle Botteghelle, dal vicolo Siconolfo e dal vicolo Gisulfo II, inizia con un documento del novembre 1053 con il quale proprio Gisulfo II concede ai conti Guaiferio e Alberto, che egli definisce “diletti parenti nostri”, la chiesa di San Marco, che era all’angolo in cima alla via delle Botteghelle, con tutti i beni, un bagno e ogni altro immobile ad essa annesso. Tale atto sarà esibito il 12 agosto 1335 da Matteo della Porta insieme ad una genealogia che dimostra essere egli discendente da uno dei beneficiati da Gisulfo II e, quindi, legittimo proprietario della chiesa e delle sue adiacenze.

Nel corso del tempo, l’isolato, escluse le case a ridosso di San Marco che saranno suo bene dotale ancora nella seconda metà del Settecento, sarà diviso fra i vari rami della famiglia della Porta e se quello che si fregerà dal titolo di marchesi di Episcopio manterrà la proprietà dell’immobile attualmente noto come palazzo Cavaselice, alla via delle Botteghelle, ancora sul finire del XVII secolo, altri perderanno le loro parti, sia alienandole che per altri avvenimenti; e fu per un atto di ribellione di uno dei suoi esponenti che il ramo possessore dell’area oggi dell’archivio di Stato si vide confiscare le case e la cappella gentilizia che aveva costruito in onore del santo angioino.

Pervenute a Roberto Sanseverino, principe di Salerno, prima le case, poi la cappella passarono ai Guarna, quindi alla famiglia de Samudio di Napoli che li cedette prima in locazione perpetua, poi in proprietà alla Regia Udienza; ancora nel 1616, pur essendo da tempo nell’ambito di quel tribunale, la cappella sarà citata come San Ludovico dei Guarna.

La scoperta dell’affresco, come sempre avviene, ha scatenato una gara all’identificazione del luogo e del personaggio fra i molti esperti di storia locale che questa città annovera. L’ipotesi più suggestiva, ma anche più bizzarra, fra quelle esposte è che il luogo sia la chiesa parrocchiale di San Grammazio, di cui si sarebbe persa ogni traccia, e, conseguentemente, il personaggio quel santo vescovo morto nel 490 all’età di quarantuno anni. Peccato che della chiesa di San Grammazio, lungi dall’essersi persa ogni traccia, si conosce perfettamente l’ubicazione: era sita sì al largo Abate Conforti, ma di fronte all’attuale archivio di Stato, grosso modo dove oggi vediamo la fontana. Sarà rasa al suolo, insieme a delle case ad essa addossate, nel 1670 per permettere ai gesuiti, con la complicità dell’arcivescovo Carafa e del sindaco protempore Matteo del Pezzo, di creare il largo davanti alla loro chiesa, attuale Santissima Addolorata; la ritroveremo ricostruita nel 1692, ma certamente non sotto la Regia Udienza e certamente senza che vi ricomparisse miracolosamente un affresco trecentesco.

Ludovico d’Angiò era il figlio secondogenito di Carlo II lo Zoppo, re di Napoli, e di Maria d’Ungheria. Dopo la morte del fratello primogenito Carlo Martello, rinunciò ad essere erede al trono napoletano e alle contee d’Angiò e di Provenza a favore del fratello Roberto, essendo entrato nell’ordine francescano. Consacrato vescovo di Tolosa il 24 dicembre 1296 da Bonifacio VIII, morirà di tubercolosi il 19 agosto dell’anno successivo a soli ventitre anni, il che giustifica i tratti giovanili raffigurati nell’affresco venuto alla luce. Ludovico sarà proclamato santo il 7 aprile 1317 da Giovanni XXII.

Forse in quello stesso anno o poco dopo Simone Martini dipinge la tempera su tavola, oggi conservata al museo di Capodimonte in Napoli, raffigurante l’atto con il quale Ludovico, ricevendo dagli angeli la corona celeste che va a sovrapporsi alla mitria vescovile, pone quella terrena sul capo del fratello inginocchiato al suo fianco in guisa di committente. Naturalmente il dipinto è altamente simbolico, rappresentando momenti diversi disposti su un piano extratemporale: infatti al momento della rinuncia, avvenuta fra il gennaio e il febbraio 1296, Ludovico non era ancora vescovo, anzi nemmeno sacerdote. Nella visione dell’artista il Santo ha i lineamenti giovanili propri della sua età alla morte, il volto assorto, ieratico, indifferente alla rinuncia temporale che compie.

Sarà compito degli storici dell’arte valutare se e quanto l’opera di Simone Martini possa aver influenzato quella del pittore della cappella salernitana dei della Porta. Noi, profani in materia e quindi prudenti, ci limitiamo a constatare una notevole somiglianza nell’espressione dei volti.

 
            Cronache Salerno, 22 aprile 2010

Torna in vita la cappella di San Ludovico a firma Rosanna Gentile

Usato come deposito, il sito nascondeva importanti pitture murali trecentesche

 

 

Questa immagine è stata riprodotta da questo sito, sul quale è presente fin dal

29 dicembre 2009.

È stata inaugurata in questi giorni e in occasione della settimana della cultura la cappella di San Ludovico, facente parte del complesso dell’Archivio di Stato di Salerno, in piazza Abate Conforti.

Maria Teresa Schiavino ci ha accompagnati nel sito medievale che finalmente ha ritrovato l’antico splendore. Usato come deposito, si ignorava completamente che sotto gli strati di pittura bianca ci fossero pitture murali antiche e che l’ambiente fosse una cappella.

Dal 2009 sono stati messi appunto i lavori di ristrutturazione diretti dall’architetto Giovanni Villani, dal professor Antonio Braca e dalla responsabile del settore storico e artistico della Soprintendenza Rosanna Romano. Lavori eseguiti materialmente dalla ditta Prometeus di Marcello Ragone. “Il restauro – ci spiega Maria Teresa Schiavino – ha gettato nuova luce sul patrimonio artistico della Salerno angioina: nella cappella è venuto alla luce un affresco del XIV sec. raffigurante con ogni probabilità San Ludovico d’Angiò.

Purtroppo ancora non sappiamo abbastanza su questo ambiente, ma deve trattarsi di una cappella privata”. Il sito rimarrà aperto per l’intera durata della settimana della cultura e potrà essere visitabile sempre, con prenotazione.

Inoltre, sarà installata una porta vetrata per promuovere il sito, richiamando l’attenzione dei visitatori. L’edificio dell’Archivio di Stato salernitano, che in un lontano passato era la sede della Gran Corte Criminale, conserva intatta la cella in cui erano soliti attendere la sentenza i processati. Si tratta della piccola “cella Pisacane”, dedicata a Carlo Pisacane non perché ci sia stato fisicamente, ma perché in essa attesero giudizio alcuni dei superstiti della spedizione di Sapri. Secondo la tradizione in essa fu, invece, tenuto prigioniero il patriota Nicotera, dato storico che per il momento rimane leggenda dal momento in cui non è stato ancora provato dai documenti.

 

            Cronache Salerno, 23 aprile 2010

La precisazione

I dubbi sull'identità del Santo nell'affresco a firma Rosanna Gentile

Già all'indomani dell'inaugurazione della cappella di San Ludovico, facente parte del complesso dell'Archivio di Stato di Salerno al civico 8, sono sorti dubbi sull'identificazione del santo dal quale prende nome. Un lettore, mediante una segnalazione giunta presso la nostra redazione, ha voluto sottolineare che l'attribuzione del santo Ludovico, che già avevamo definito "probabile" (quindi non sicura), non è certa, ma che anzi è totalmente sbagliata.

Nello specifico, non sembra giusta l'interpretazione che ha visto nell'iconografia del santo che compare in una delle pitture murali il figlio secondogenito di Carlo II lo Zoppo e di Maria d'Ungheria, ossia San Ludovico d'Angiò, vissuto nella seconda metà del XIII secolo. Il quale, in seguito alla morte del fratello primogenito Carlo Martello, rinunciò ad essere erede al trono di Napoli e delle contee d'Angiò e di Provenza a favore dell'atro fratello Roberto, preferendo entrare nell'ordine francescano e divenendo santo nel 1317 con proclamazione di Giovanni XXII. Per il momento, come già abbiamo avuto modo di sottintendere, sembra azzardato conferire un'attribuzione certa al santo che compare nell'affresco trecentesco, sul quale gli addetti ai lavori stanno ancora effettuando i dovuti studi. Questi, tra l'altro, dovranno comprendere l'intero sito che, ricordiamo, è stato riportato alla luce solo di recente, grazie ai lavori di restauro partiti nel 2009, con la direzione dell'architetto Giovanni Villani della Soprintendenza Bap di Salerno e della storica dell'arte dott.ssa Rosanna Romano.

 

            Cronache Salerno, 27 aprile 2010   

La Cappella di S. Ludovico (Vincenzo de Simone)

La restituzione alla fruizione pubblica della cappella di San Ludovico d’Angiò, sita nell’ambito dell’archivio di Stato, avvenuta il 19 scorso, ha riproposto una diatriba già suscitata all’epoca della scoperta in quell’ambiente di un affresco trecentesco raffigurante un santo vescovo di età giovanile.

Allora, giugno 2008, frettolosamente, interpretando un passo della prima edizione di “Salerno Sacra” di Crisci e Campagna, lo storico dell’arte Antonio Braca suppose che il luogo di culto ritrovato fosse la chiesa parrocchiale di San Grammazio e, quindi, quel santo, il soggetto dell’affresco.

Ciò che sfuggiva al dottor Braca era che la chiesa di San Grammazio era stata rasa al suolo nel 1670 e che nella seconda edizione, 2001, della stessa opera che citava era stato individuato l’ambiente dell’affresco come una delle tre cappelle al servizio della Regia Udienza. Necessario fu allora un intervento su queste stesse colonne, 24 giugno 2008, per chiarire, come curatore della seconda edizione di “Salerno Sacra”, che i documenti d’archivio citano quella cappella come San Ludovico, gentilizia prima dei della Porta, poi dei Guarna, infine dei de Samudio, prima dell’acquisizione, con le case soprastanti, da parte della Regia Udienza. Quindi, il giovane santo vescovo non poteva che essere Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa, morto ventitreenne nel 1297 e canonizzato nel 1317.

Queste informazioni, per altro già pubblicate sul sito “Salernostoria”, furono poste a disposizione della direzione dell’archivio e della “Prometeus” di Marcello Ragone, curatrice del restauro, e tacitamente acquisite dagli “addetti ai lavori” tant’é che il 19 scorso la restituzione alla fruizione pubblica del luogo di culto è stata presentata come la “Inaugurazione della Cappella di San Ludovico” e gli interventi degli oratori in tale ottica sono stati svolti.

Stupore, quindi, ha suscitato la presa di distanza del dottor Braca (che contrariamente a quanto apparso anche su queste colonne nessun ruolo ha avuto nei lavori di recupero) tesa a dimostrare che l’affresco non rappresenta affatto san Ludovico d’Angiò, che si ignora la titolazione della cappella, che occorreranno studi accurati per identificare luogo di culto e santo.

L’augurio al noto storico dell’arte è di buon lavoro. Certo è che gli sarà difficile identificare il luogo senza studiare le carte d’archivio; così come gli sarà difficile giustificare un san Grammazio (morto nel 490) con il saio del Poverello d’Assisi (regola del 1223) sotto i paramenti vescovili; e ancora difficile gli sarà trovare un francescano eletto vescovo nel Duecento, morto giovane, come l’affresco lo restituisce, e subito canonizzato che non sia Ludovico d’Angiò.

 

            il Guiscardo, 30 aprile 2010

Cronaca d'un ritrovamento: il san Ludovico (Vincenzo de Simone)

Nel giugno 2008 veniva alla luce, in un deposito dall’archivio di Stato di Salerno, un affresco raffigurante un santo vescovo di età giovanile. Il fatto emozionava, ma non stupiva, chi scrive, che già oltre un decennio prima, nel lavoro di curatore della seconda edizione di “Salerno Sacra”, poi pubblicata nel 2001, aveva individuato in quell’ambiente una delle cappelle della Regia Udienza. L’immagine rinvenuta non poteva che raffigurare san Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa, morto ventitreenne nel 1297 e canonizzato nel 1317, al quale la cappella risultava dedicata nella documentazione a suo tempo studiata.

In un giorno del novembre 1053, Gisulfo II donò ai conti Guaiferio e Alberto, suoi parenti, la chiesa di San Marco con tutti gli immobili annessi. L’atto di tale donazione sarà esibito il 12 agosto 1335 da Matteo della Porta insieme ad una genealogia che dimostra essere egli discendente da uno dei beneficiati dal principe e, quindi, legittimo possessore della chiesa, che era all’angolo di via delle Botteghelle con il largo Abate Conforti, e delle sue adiacenze, che comprendevano il sito oggi dell’archivio di Stato.

Nel corso del tempo, l’isolato sarà diviso fra i vari rami della famiglia della Porta e se quello dei marchesi di Episcopio manterrà la proprietà dell’immobile oggi noto come palazzo Cavaselice ancora sul finire del XVII secolo, altri perderanno le loro parti, sia alienandole che per altri avvenimenti; e fu per un atto di ribellione di uno dei suoi esponenti, Francesco, che il ramo possessore dell’area oggi dell’archivio si vide confiscare le case e la cappella gentilizia che ne era parte. Impossibile stabilire quale fosse in origine il titolo del luogo di culto, certo è che i della Porta che lo possedettero, dopo la canonizzazione di Ludovico d’Angiò, ne avevano fatto affrescare l’immagine sulla parete destra e, in continuità all’icona, avevano fatto riccamente decorare la volta.

Come spesso avveniva all’epoca, la nuova immagine non tardò a passare nella titolazione della cappella ed infatti come San Ludovico essa è citata il 16 marzo 1466, essendo posta sotto le case che erano state di Francesco della Porta e che nell’attualità erano possedute da Giovanni Guarna dopo essere state, a causa della confisca, nel demanio di Roberto Sanseverino, principe di Salerno. In seguito case e cappella passarono ai de Samudio di Napoli che le cedettero alla Regia Udienza; ancora nel 1616, pur essendo da tempo nell’ambito di quel tribunale, la cappella sarà citata come San Ludovico dei Guarna.

La scoperta dell’affresco, come sempre avviene, scatenò una gara all’identificazione del luogo e del personaggio fra i molti esperti di storia locale che questa città annovera. L’ipotesi più bizzarra fra quelle esposte fu che il luogo fosse la chiesa parrocchiale di San Grammazio, di cui si sarebbe persa ogni traccia, e, quindi, il personaggio quel santo vescovo morto nel 490 all’età di quarantuno anni. In realtà, della chiesa di San Grammazio, lungi dall’essersi persa ogni traccia, si conosce perfettamente l’ubicazione: era sita sì al largo Abate Conforti, ma di fronte all’attuale archivio di Stato. Sarà rasa al suolo nel 1670 per permettere ai gesuiti la creazione del largo davanti alla loro chiesa, attuale Santissima Addolorata; la ritroveremo ricostruita nel 1692, ma certamente non sotto la Regia Udienza e certamente senza che vi ricomparisse miracolosamente un affresco trecentesco.

Lo scorso giorno 19, ultimato il restauro condotto dalla “Prometeus” di Marcello Ragone, si procede, come recita la brochure di presentazione, alla “Inaugurazione della Cappella di San Ludovico”, con l’intervento di Amalia Galdi, che parla della figura di Ludovico d’Angiò, di Giovanni Villani, che tratta degli aspetti tecnici del recupero, di Rosanna Romano, che parla del restauro del dipinto definito “il San Ludovico”.

Convitato di pietra, non invitato ad illustrare i documenti d’archivio che tratteggiano le vicende del luogo, è chi scrive, nonostante fosse stato espressamente convocato dalla direzione dell’istituto alcuni mesi or sono per una intervista televisiva sull’identità del luogo, che poi non avvenne per veti dall’alto.

In alternativa, prende la parola Antonio Braca, il teorico del san Grammazio, che spiega come l’affresco non rappresenti affatto san Ludovico d’Angiò, che si ignora la titolazione della cappella, che occorreranno studi accurati per identificare luogo di culto e santo.

L’augurio al noto storico dell’arte è di buon lavoro. Certo è che gli sarà difficile identificare il luogo senza studiare le carte d’archivio; così come gli sarà difficile giustificare un san Grammazio con il saio sotto i paramenti vescovili; e ancora difficile gli sarà trovare un francescano eletto vescovo nel Duecento, morto giovane e subito canonizzato che non sia Ludovico d’Angiò.  

 

L’affresco dell’archivio di Stato raffigura un francescano, come si evince dalla manica del tipico colore del saio che avvolge il braccio benedicente, creato vescovo, morto in età giovanile ed elevato alla gloria degli altari. L’epoca dell’opera è il Trecento, anche se Antonio Braca, nel tentativo di dimostrare che il santo raffigurato non è Ludovico d’Angiò, ha voluto collocarla fra l’ultimo decennio del Duecento e il primo del Trecento, quindi prima della canonizzazione di Ludovico, come se fosse possibile limitare ad epoca così compressa l’esecuzione di un lavoro di un artista di cui non abbiamo né nome, né notizie di vita né altre opera per un confronto relativo all’evoluzione dello stile.

Nell’intero corso della sua storia, l’ordine francescano ha visto creare vescovi e poi elevare al culto un numero di suoi membri che si possono contare sulle dita di non più di tre mani, considerando anche i beati e quelli la cui causa non è mai stata completata. Fra questi, due soltanto sono vissuti nel Duecento: san Bonaventura (1218 – 1274), vescovo di Albano, e san Ludovico d’Angiò (1274 – 1297), vescovo di Tolosa. Come si evince dalla date, san Bonaventura morì all’età di cinquantasei anni e poi fu canonizzato soltanto nel 1482 da papa Sisto IV. Dunque l’unico francescano, creato vescovo, morto in età giovanile ed elevato alla gloria degli altari (1317) in tempo per l’affresco è san Ludovico d’Angiò.

 

iconografia di san Ludovico d'Angiò

 

Simone Martini, 1318-1319

affresco di Salerno, 1320 circa

Antonio Vivarini, 1450

 

Michele Giambono,

1450 circa

Piero della Francesca,

1460

Vittore Crivelli,

1481-1502

stampa

seicentesca

 

Dalla visita pastorale del 21 ottobre 1692, la cappella di san Ludovico d'Angiò all'Archivio di Stato, allora alla Regia Udienza, sarà detta di san Leonardo, mentre nel 1709 si preciserà che vi si osservava un unico altare con l'icona di tale santo. Evidentemente, il santo eremita del VI secolo, che in vita ottenne da re Clodoveo, come san Remigio, la particolare facoltà di chiedere e ottenere la liberazione dei prigionieri che ritenesse ingiustamente detenuti, fra l'ultima visita pastorale che indica la cappella come di san Ludovico (1660) e quel 1692, aveva sostituito il santo angioino nella preminenza all'interno del luogo di culto utilizzato come cappella del carcere appunto in virtù della sua protezione nei confronti degli imprigionati.