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il civico 10 del vicolo Grimoaldo
All'angolo occidentale dell'immobile segnato 10 del vicolo Grimoaldo, una edicola indica il luogo ove insistette la chiesa parrocchiale di Santa Maria di Capo Piazza. Il toponimo Capite Platearum, reso infelicemente nella volgarizzazione quattrocentesca in Capo Piazza, si riferiva all'area intorno all'innesto fra le attuali vie delle Botteghelle e dei Mercanti, ove, rispetto all'ingresso della corte maggiore del palazzo di Arechi, avevano capo le due strade: quella che conduceva alla Porta di Elino (via dei Mercanti) e quella che, tramite l'attuale via Romualdo II Guarna, conduceva alla Porta Rotense (via delle Botteghelle). Dunque, Capo delle Platee, nel senso di vie importanti, e non Capo delle Piazze, che non avrebbe avuto senso. La chiesa compare nella documentazione giunta fino a noi nel 1159. Pur essendo sede parrocchiale, era di patronato della famiglia Capograsso, che aveva, oltre la proprietà dell'immobile, il diritto di nomina del rettore e di presentazione del cappellano, che doveva comunque ottenere un atto di gradimento da parte dell'arcivescovo. La funzione parrocchiale termina il 4 febbraio 1566, quando viene emesso il decreto di accorpamento del territorio alla parrocchia limitrofa di Santa Maria dei Barbuti. Rimasta come cappella gentilizia dei Capograsso, per lo stato di abbandono se ne decreta la sconsacrazione il 15 gennaio 1616. Il 1° ottobre 1724, il parroco di Santa Maria dei Barbuti, ritenendo il suolo con il rudere della chiesa di proprietà della sua parrocchia, lo vende ad Angelo Alfano. A tanto protesta Paolo Capograsso dichiarandosi rettore e beneficiato della chiesa, seppure soppressa, e, quindi, proprietario del terreno. Il 7 dicembre 1726, si giunge ad un accordo in virtù del quale su parte del suolo sarà edificata una nuova cappella sotto lo stesso titolo di Santa Maria di Capo Piazza, mentre sul restante potrà edificare sue case l'Alfano. Nel tempo, la nuova cappella sarà fagocitata e non ne resterà che l'edicola che oggi vediamo. |