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a cura di Vincenzo de Simone

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Santissima Addolorata

 

L’edificio di culto che nel 1868 prese il titolo della Santissima Addolorata, essendo stato concesso alla confraternita omonima, è la chiesa del Gesù edificata dai padri gesuiti fra gli anni trenta e quaranta del Seicento essenzialmente sull’area di un complesso di case con giardino che Zenobia Santomango e il figlio Matteo Rascica avevano loro veduto il 20 agosto 1596.

Quei padri furono autorizzati ad aprire una loro casa a Salerno con atto di re Ferdinando del 27 novembre 1589. Il 22 febbraio 1590 presero possesso dell’ex monastero di Santa Sofia.

La storiografia salernitana ha ritenuto artefice della fondazione di questo cenobio il principe Guaiferio (861-880), e alcuni addetti ai lavori ancora lo credono, ancorché, nell’ormai lontano 1973, d. Simeone Leone abbia chiarito esserne stato fondatore il conte Guaiferio nel primo ventennio dell’XI secolo. Nell’agosto 1100 Giovanni, figlio di Pandolfo fratello del principe Guaimario IV, lo dona alla badia di Cava. Nel 1309 troviamo il Santa Sofia trasformato in monastero femminile con il trasferimento in esso delle monache di San Liberatore; portatesi queste in San Giorgio per effetto del decreto di papa Sisto V del 10 giugno 1589, l’anno successivo, come abbiamo visto, l’immobile è concesso ai gesuiti.

All’epoca, il Santa Sofia possiede una piccola chiesa interna, posta verso l’estremità occidentale del complesso, che, naturalmente, non corrisponde ai canoni gesuitici di edilizia sacra, per cui si acquistano terreni posti a meridione dell’ex monastero e si progetta una imponente costruzione in posizione dominante sull’attuale largo Abate Conforti; ma questo largo ha un difetto: in parte è ingombro della chiesa parrocchiale di San Grammazio, che disturba quei canoni estetici per la realizzazione dei quali i gesuiti hanno speso molte migliaia di ducati. Nel 1670 arcivescovo è monsignor Carafa che, il 29 marzo, decreta la demolizione della parrocchiale, non sapremo mai se per necessità pastorali, essendo la costruzione fatiscente, o per assecondare i gesuiti nel loro desiderio di dare più visibilità alla loro chiesa del Gesù; certo è che la demolizione avviene a cura e spesa di quei padri.

Nel 1767 la compagnia di Gesù lascia la città per effetto della soppressione decretata da papa Clemente XIV. Nei locali dell’ex Santa Sofia e nella chiesa, da allora detta del Carmine Nuovo, subentrano, nel 1778, i carmelitani, che lasciano il loro convento al rione ancora oggi del Carmine, all’epoca tristemente famoso per le paludi e la conseguente malaria. Soppresso anche il convento carmelitano nel marzo 1807, il 5 ottobre dello stesso anno nella chiesa, ironia della sorte, si trasferisce la sede parrocchiale di San Grammazio che dalla ricostituzione, avvenuta negli anni ottanta del Seicento, era costretta in un immobile posto lungo il lato meridionale dello stesso largo Abate Conforti; la parrocchia è definitivamente soppressa il 28 marzo 1844. Il 24 ottobre 1846 la chiesa è riconsegnata dall’arcivescovo Paglia ai gesuiti, tornati in città fin dal 1840. Soppressi questi nuovamente, la chiesa, nel 1860, è per breve tempo sede della parrocchia di Santa Maria dei Barbuti; nello stesso anno è occupata dall’amministrazione militare. Ritornata nelle disponibilità della curia, come accennato, l’11 maggio 1868 è concessa in uso alla confraternita della Santissima Addolorata. Attualmente è utilizzata come spazio espositivo.

 

L’aspetto della chiesa, a parte gli interventi promossi dall’arcivescovo Paglia prima della riconsegna ai gesuiti, fra cui la creazione della scalea sdoppiata in due rampe ricurve che avvolgono una rotonda centrale, conserva sostanzialmente l’aspetto seicentesco della costruzione originaria. La facciata è partita orizzontalmente da un cornicione marcapiano e verticalmente da lesene; il tutto è concluso da un timpano triangolare. L’interno, recentemente recuperato, è ad unica navata coperta a botte unghiata con due cappelle per lato; l’incrocio della navata con il transetto è sormontato dalla cupola. Conserva il monumento all’arcivescovo Mario Bolognini (1591-1605) che i carmelitani avevano eretto nella loro chiesa conventuale in segno di riconoscenza per quanto egli aveva fatto in loro favore e che trasferirono quando si portarono nella nuova sede.

 

Per saperne di più. G. Crisci, Salerno Sacra, 2a edizione postuma a cura di V. de Simone, G. Rescigno, F. Manzione, D. De Mattia, edizioni Gutenberg 2001. Sulla Casa dei gesuiti: III, pp. 143-153. Su Santa Sofia: III, pp. 43-47. Su San Grammazio: I, pp. 146-151.

Inoltre. S. Leone, La fondazione del monastero di S. Sofia in Salerno, in «Benedictina», 1973, pp. 55-64. Una interessante disamina degli avvenimenti legati all’insediamento dei gesuiti compie M. A. Franciulli, La dinamica edilizia nel Plaium montis di Salerno attraverso la documentazione dell’insediamento della Compagnia di Gesù, in «Rassegna Storica Salernitana», 20, 1993, pp. 69-112, pur nell’equivoco circa il sito della chiesa di Santa Sofia.