GEBEL

I

Tra le pieghe di un velluto screziato di stelle

E un ventre fresco di pietra, foglie e spine

Rimangono intrappolati lo stupore e l'estasi

Delle fortunate vittime che s'offrono alle fauci

Del pių grande mistero mediterraneo.

 

II

Le fiamme fredde dell'alba azzannano il profilo delle colline

Ancora assopite, appena scolpite

Contro il cielo che, assediato da frementi schiume di penne e piume,

Cola timido e umido verso il fondo scuro delle valli.

 

III

Brufoli urbani sui suoi fianchi rigogliosi

Leggono nella sua chioma sfilacciata dal vento

L'imminenza d'immani parti esplosivi

Che laveranno via l'impudenza di metallo e cemento.

 

IV

Sotto la pupilla incandescente ogni corpo matura

Con imperiosi impulsi d'orgoglio e linfa

Quasi a sfidare l'ineluttabile strage del raccolto.

 

V

Nemmeno la scorza dei ribelli pių audaci

Resiste al bacio del dogma magmatico:

Solo la tenue speranza dei sopravvissuti aleggia e volteggia

Tra i bollori eterni della catastrofe liquida.

 

VI

Bocche spalancate

Sopra i maestosi cadaveri

Nerastri e friabili:

Non pių parole di fuoco, nč di fiato.

Ogni passo cauto

Carezza con timore e rispetto

Le vene gialle e quelle rosse

Sui fianchi e nel ventre immobili.

Piccole masse di polpa pulsante

Nel rito turistico

Rimangono cosė possedute

Tra i flutti cristallizzati,

Consolate soltanto dal volo delle gazze

E dalla fuga d'una volpe

 

VII

Sotto il suo manto di cenere e vapore,

Che sfida l'azzurro impietoso,

Respira il suo corpo colonizzato,

Roso appena dalla vita da poco residente.

Dalla sua sagoma scura esalano e s'irradiano brividi

Attraverso l'aria e la terra

Fin dentro le vertebre e il pensiero

Che dal suo coagulo espugnato

Riprende a fluire e ad impregnare le fibre indurite.

 

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