Isole Canarie 20 dicembre1998 / 8 gennaio1999 Il nostro viaggio è piuttosto lungo: 3 settimane, inclusi Natale, Capodanno e Epifania. Siamo in quattro; Massimo, uno di noi, è la nostra fortuna: i suoi genitori hanno acquistato da poco una villetta tra i bananeti del Sud di Tenerife, zona Playa San Juan, tra Piedra Hincada e Aguadulce; e noi cogliamo l'occasione. Non ci resta che prenotare il volo; già ad ottobre è difficile trovare un aereo di linea che ci porti a destinazione nel periodo natalizio. Voliamo con Iberia, scalo a Barcellona, arrivo in tarda sera a Tenerife Nord, aeroporto Los Rodeos. Appena messo piede a terra non fa così caldo come speriamo, ma la temperatura è piacevole. Lungo le strade, già a pochi Km dall'aeroporto, respiriamo quell'atmosfera surreale che ci accompagnerà per tutta la vacanza: luci natalizie dalle strane sembianze di pupazzi di neve e abeti dorati lungo le strade di Santa Cruz e La Laguna. Al tropico?? sì!!!! Ma anche Stelle di Natale, "Flores de Pascua" sull'isola, come decorazione delle rotatorie stradali, o ai piedi delle palme del lungomare. Muri di bouganvilles con sfumature rosso-arancione-rosa lungo le strade, euphorbiae a candelabro fra ruderi e terra rossa, e… aloe in fiore. Il soggiorno balneare è piacevole, il sole non ci abbandona mai. I giorni più caldi sono quelli intorno a Natale. Tenerife non ha molte spiagge, è prevalentemente rocciosa e il mare, freddo e violento, concede poco. La costruzione delle famose piscine Martianez, a Puerto de la Cruz, è dovuta alla pericolosità delle onde. Noi andiamo qualche volta nella famosa Playa de Las Americas. La località, costruita ad uso e consumo dei turisti, potrebbe sembrare una Las Vegas in miniatura; grandi alberghi, molti locali notturni, ristoranti per ogni palato, soprattutto orientali, casino', e…massaggi thailandesi molto pubblicizzati. Movimento, ma non troppo; perfetta per farci un giro la sera, una settimana potrebbe diventare noiosa. La nostra spiaggia preferita rimane Playa de l'Arena, a Puerto Santiago; tranquilla e protetta, raccolta fra piante di ficus giganti e fresca erbetta inglese ai piedi delle palme, sabbia nera e rovente sotto il sole. Decidiamo di non perderci il parco nazionale di " Las Cañadas del Teide", paesaggio lunare ai piedi del Teide, il vulcano che domina l'isola. La caldera è raggiungibile comodamente in macchina. Si percorre una strada ben asfaltata che si snoda nel mare di lava nera formatosi nelle passate eruzioni; l'ultima risale al 1798. Siamo colpiti dalla varietà dei paesaggi, dei colori, della vegetazione, mutevoli ad ogni curva della strada. Con una teleferica si può raggiungere il cratere principale, il Pico del Teide, 3718 metri. D'inverno può essere impraticabile; noi non possiamo salire fino in cima per il ghiaccio sulle funi; purtroppo!! LA GOMERA Dopo qualche discussione in merito, decidiamo di visitare la vicina isola di La Gomera,compagna di numerosi tramonti. La mattina presto ci imbarchiamo su un traghetto insieme al "coche", termine simpatico per indicare l'automobile. Il tragitto, partendo dal porto di Los Cristianos, dura poco più di un'ora. Il servizio anche per le vetture è offerto da 2 compagnie, la Transmediterranea e la Fred Olsen; optiamo per la seconda, e non ci pentiamo. I biglietti si comprano prima di partire, ma, al ritorno, bisogna vidimarli a terra; noi non lo sappiamo e ci troviamo in coda alla stazione marittima, attorniati da isolani, non molto solidali con noi. Il traghetto arriva fino al porticciolo di San Sebastian di la Gomera, centro più importante dell'isola. Capiamo subito di essere in un mondo totalmente diverso da quello lasciato a Tenerife; un'altra dimensione: qui, il turismo di massa, non è arrivato. L'isola di La Gomera è prevalentemente montagnosa, e selvaggia; le strade sono tortuose e dissestate. Cominciamo la nostra avventura seguendo in senso orario l'unica via che ci consente di percorrere il periplo dell'isola. La strada si inerpica lungo canaloni rocciosi, privi di vegetazione; il mare è laggiù, lo vediamo, ma non riusciamo a raggiungerlo. Incontriamo i segni della presenza di un aeroporto, una manica a vento, una pista sterrata, nient'altro. Proseguiamo verso Ovest, seguendo le indicazioni per Playa de Santiago: casette di pietra abbarbicate sulle pendici della montagna fra rigogliosi fichi d'india e capre al pascolo. Arriviamo al mare quando ormai è mezzogiorno. Non c'è sabbia come ci aspettiamo, solo sassi chiari, levigati dal tempo. Una luce accecante ci impedisce di tenere gli occhi aperti per una fotografia. C'è silenzio, ci siamo solo noi. L'unico negozio che vende cartoline è una galleria d'arte; ha anche i francobolli. Prossima tappa Valle Gran Rey. Il paesaggio cambia, è meno brullo; le pareti della montagna sono terrazzate per le coltivazioni, gruppi di palme e blocchi di roccia abbelliscono i pascoli. I pochi paesi lungo la strada sono intonacati di bianco, cespugli di Flores de Pascua selvatici si appoggiano sulle pareti delle case. Alla spiaggia di Valle Gran Rey incontriamo timidi segni di vita; un albergo con prato verde ben curato, qualche turista qua e là. Il mare ci impressiona. Il lembo di spiaggia di fronte al residence è protetto da grossi scogli allineati per decine di metri. La potenza dell'onda che si infrange frontalmente sulla diga ci lascia senza fiato, le foto non riusciranno a rendere l'idea della forza della natura in questo luogo. Si narra che questa spiaggia fosse meta degli hippys. Nella nostra guida è indicata la parete a picco sul mare meglio conosciuta come "los organos". Lunghe colonne basaltiche si affiancano l'un l'altra componendo la conformazione rocciosa dalle sembianze dell'omonimo strumento musicale. Località Vallehermosa: raggiungerla non è semplice. Si prosegue lungo la via principale, direzione Nord. Raggiunto il paesino si devia verso il mare. La strada è stretta, piena di curve e male asfaltata; attraversiamo un bosco di cespugli e arbusti senza incontrare anima viva. Giungiamo al mare dall'alto; pensavamo di trovare un paese e delle opportunità per raggiungere la parete, invece…il nulla; una piccola baia racchiusa fra pareti rocciose, una spiaggia di sassi, un impianto balneare abbandonato. Le onde si infrangono sulla riva con un fragore che non ci permette di parlare; il mare agitato ci impedisce di raggiungere "los organos". Ripieghiamo verso una casa arroccata che intravediamo sulla pendice della montagna; deve essere abbandonata da molto tempo. Ruderi e sassi, un giovane accovacciato disegna uno scorcio; io mi diletto a fare fotografie dall'interno della casa, gli altri si arrampicano su una scaletta esterna per vedere il mare risucchiato dalle rocce. Il tempo è sospeso. Ci conviene tornare alla realtà, entro la sera dobbiamo imbarcarci. San Sebastian è ancora lontano, e vorremmo almeno dare un'occhiata al centro storico. Piccole case pastello abbracciano il porto, una bianca chiesa emerge dalle vie colorate, ci ricorda l'epoca coloniale; già! Di qui è passato Colombo; ne testimoniano la presenza il pozzo da cui prendeva l'acqua, la casa in cui ha alloggiato e il porto da cui è ripartito dopo i rifornimenti. E' ora! Dobbiamo veramente andare. TENERIFE Rientrati a Tenerife, scegliamo di festeggiare il Capodanno in piazza, a Puerto de la Cruz; località graziosa sulla costa settentrionale dell'isola; lungomare con alberghi lussuosi e centro storico ben conservato. Cenetta a base di "pulpo" in uno dei ristorantini all'aperto della "Plaza del Charco", con balcone di legno in tipico stile canario, e …musica latino-americana dal vivo, fuochi d'artificio e fiumi di spumante fino all'alba. Un salutino al mare, gli spruzzi delle onde illuminati nel buio della notte e poi via, di nuovo verso il sud dell'isola. Tenerife ci offre anche la possibilità di visitare numerosi parchi.Il Loro Parque è un must. Situato a Puerto de la Cruz, immerso in una vegetazione folta e lussureggiante, ci stupisce per la presenza di numerose specie di animali provenienti da tutto il mondo. In spagnolo "loro" significa pappagallo, ce n'è un'infinità, di ogni colore e dimensione; ci sono anche gli squali, i delfini, i leoni marini, i gorilla e…i pipistrelli. Il Parque de las Aguilas, nei pressi di Playa de las Americas è brullo e polveroso, ricco di cactus, agavi e piante grasse di ogni genere. Si possono ammirare il panda rosso, i siricati, gli ippopotami, i coccodrilli, i pinguini della Patagonia. Imperdibile lo spettacolo dei falconieri. LANZAROTE Dopo una settimana di relax, decidiamo di raggiungere l'isola di Lanzarote. Optiamo ancora per il viaggio in traghetto, per usufruire del trasporto della macchina. Partenza da Santa Cruz, compagnia di navigazione "Transmediterranea"; ci imbarchiamo nel primo pomeriggio del giorno di Capodanno. Chiediamo l'orario dell'arrivo: "mañana las dos". Ma… non sono le due del mattino, bensì le due del pomeriggio del giorno dopo. Sono venti ore di navigazione. Sosta a mezzanotte a Las Palmas di Gran Canaria, arrivo alle otto del mattino a Puerto Rosario di Fuerteventura e finalmente alle due del pomeriggio, arrivo ad Arrecife, capoluogo di Lanzarote. Uscire da Arrecife non è difficile, il centro è piccolo e ci sono buone indicazioni. Non abbiamo definito un percorso; ci dirigiamo a Nord. Il cielo è coperto, il sole si intravede appena. Fuori dalla città si aprono paesaggi inaspettati. Dolci colline verdeggianti ci accolgono lungo la strada asfaltata di fresco; pochissime macchine. Un caprone bruca alle pendici di una collina; lontano un pastore sorveglia il suo gregge. Nei giorni successivi impareremo ad apprezzare il formaggio di capra, specialità dell'isola; delizioso. In località Arrieta la strada si avvicina al mare, costeggiandolo. L'erba non cresce più, solo piccoli cespugli verdi nella terra nera; il mare si infrange sulle rocce; alcuni surfisti cercano l'onda. Turchese e bianco, nero e verde, un raggio di sole fra le nuvole, ci fermiamo;è tutto perfetto. Visitiamo la "Cueva de los verdes". Entrata 1000 pesetas, guida spagnola obbligatoria; impariamo subito che a Lanzarote gli ingressi alle bellezze naturali costano sempre 1000 pesetas, quale contributo al mantenimento dell'unicità di questo luogo. E' merito di Cesar Manrique, architetto originario dell'isola, innamorato della propria terra. Sostenitore del turismo sostenibile, ha trasmesso la sua filosofia agli enti locali: niente cartelli pubblicitari, niente grattacieli , rispetto delle antiche tradizioni costruttive, ordine, pulizia, turismo come risorsa nel rispetto dell'ambiente, sovranità della natura. Lanzarote è riconosciuta dall'Unesco "Riserva della biosfera". La Cueva è una lungo tunnel di roccia scavato dal flusso di lava durante una catastrofica eruzione; il raffreddamento delle parti più superficiali ha creato la cavità, mentre la zona centrale, essendo più fluida ha proseguito il suo percorso verso il mare. La guida ci accompagna in una ampia grotta circolare, ci poniamo in semicerchio attenti a non avvicinarci al bordo del precipizio; uno di noi viene invitato a lanciare un sasso per comprendere la profondità, ma….è acqua!!! quello che a noi sembrava profondo in realtà è il riflesso della grotta nell'acqua perfettamente immobile. La guida, sorridendo, ci raccomanda di mantenere il segreto. Direzione Nord, ci fermiamo al Mirador del Rio, belvedere, opera di Manrique; c'è nebbia, non possiamo ammirare il panorama della Graciosa e dell'Alegranza, le due isolette di fronte alla punta settentrionale di Lanzarote. Volgiamo verso Arrecife, dobbiamo ancora trovare una sistemazione per la notte. Ci fermiamo a Teguise, gioiellino di architettura lanzarotegna. Ci inoltriamo nel paese attraverso un intrico di vicoli ciottolati che si aprono in graziose piazze illuminate dal sole sulle case bianche. Fronde di eucalipto riparano un presepe all'aperto; piccole piante grasse sostituiscono il nostro muschio selvatico. Nel silenzio della siesta paesana cerchiamo un alloggio, ma non troviamo nulla se non costosi residence per turisti. Ci fermiamo in un grazioso negozio di souvenirs dove vendono ulivina, pietra di origine vulcanica dal colore olivastro; piccole piastrelle multicolori raffigurano i simboli dell'isola. Non ne usciamo a mani vuote. Su consiglio di un paesano, ci dirigiamo verso Arrecife, unico luogo in cui posssiamo trovare delle sistemazioni economiche. Stupiti passiamo attraverso un paese il cui nome ci evoca ricordi di infanzia: Nazareth. Giunti ad Arrecife parcheggiamo la macchina non distante dal lungomare. Veniamo inaspettatamente travolti dal flusso delle persone in passeggiata che fanno la spola lungo la via principale, "Calle Leon y Castillo". E' ormai buio. L'atmosfera festosa e allegra, le luci colorate degli addobbi, il clima caldo e spensierato ci fanno perdere di vista le preoccupazioni per l'alloggio. Ci lasciamo coinvolgere dal calore della gente. Alla fine del nostro girovagare senza meta, un signore ci indica una pensione non lontana dal lungomare, dove alloggeremo anche le notti seguenti. La nave per Tenerife riparte il 5 gennaio, nel pomeriggio, esattamente dopo 2 giorni e mezzo. Dedichiamo il primo giorno interamente alla visita del parco Timanfaya, simbolo dell'isola. L'organizzazione ci lascia perplessi. Per visitare le "Montañas del Fuego" siamo costretti a lasciare la macchina in una sorta di campobase, nel parcheggio del "Hislote de Hilario". Veniamo invitati a salire su dei pullman, che, accompagnano ordinatamente i turisti lungo le vie strette e tortuose che si snodano fra i piccoli coni vulcanici. Una cassetta registrata in più lingue ci narra della catastrofica eruzione del 1730 che ha sotterrato interamente i paesi di Yaiza e Uga, e che,durante i 6 anni della sua durata, ha modificato totalmente la fisionomia dell'isola. Restiamo ammutoliti. Il nastro intende riprodurre il giudizio universale, un inferno dantesco…e in realtà proprio di questo deve essersi trattato. A noi, però, non fa paura; è bellissimo. E' un continuo susseguirsi di piccoli coni dalle forme dolci e sinuose, dal colore rosso con sfumature nere, ma anche azzurre e gialle. In lontananza è ancora più forte il contrasto con il blu del mare. Avremmo preferito attraversare il "malpaìs", fiume di lava, a piedi, o a dorso di un cammello, come accadeva qualche tempo fa. Dal pullman non possiamo godere pienamente dello spettacolo, un vetro ci separa dal contatto diretto con la natura. Cesar Manrique, forse, non avrebbe apprezzato. Prima di ripartire ci soffermiamo a guardare le dimostrazioni sull'attività vulcanica. Un signore in divisa ci fa vedere come un fuscello prende fuoco in pochi secondi a contatto col terreno, e come l'acqua rovesciata in un piccolo pozzo, si trasformi in vapore acqueo, creando un rumoroso geyser. Al ristorante cuociono pollo e pesce alla griglia servendosi di una griglia alimentata dal calore della viscere della terra; i polli così cucinati sono molto costosi. Rientrati ad Arrecife ci rifocilliamo al Bodegon grill "la Bodeguita": "parillada", grigliata mista, e "vino tinto" per tutti. Il secondo giorno scorre molto tranquillo; vogliamo scoprire il sud dell'isola, rinomato per le bianche spiagge. Anche qui si paga per entrare. Gran parte della costa sud è un parco protetto, la natura è intatta, non c'è asfalto. Molte persone si addentrano a piedi. La spiaggia più famosa, e anche la più estesa, è la "Playa de los papagayos", famosa, oltre che per la sua bellezza, per la libertà di costumi; è abitualmente frequentata dai naturisti. Le altre baie sono più raccolte, e non per questo sono deserte. C'è gente un po' ovunque, ma c'è silenzio, come in tutta l'isola. Il solo disturbo è il generatore dell'unico bar della zona, si fa sentire anche da lontano. La giornata scorre serena. C'è chi fa il bagno; il mare qui è bellissimo, è turchese ed è il più trasparente che abbiamo visto in tutto l'arcipelago. Di fronte a noi intravediamo Fuerteventura, con Corralejo e l'isola di "los Lobos". Sappiamo che ci sono dei comodi traghetti che partono ogni due ore da Playa Blanca; ci facciamo un pensierino per il giorno dopo. La sera visitiamo la rinomata località balneare di Puerto del Carmen. Molto simile a Playa de las Americas; di dimensioni ridotte, meno caotica, ma con la stessa aria turistico-internazionale. Ci accontentiamo di una paella per quattro, in uno dei ristorantini sul lungomare. Anche questa sera accompagnamo il cibo con del robusto vino tinto locale. Il terzo e ultimo giorno è un crescendo di intoppi e variazoni di programma. Al mattino siamo costretti ad annullare la nostra gita a Los Lobos e Corralejo per via del forte vento; non è giornata da tintarella. Optiamo allora per visitare "el Gulfo", meraviglia vulcanica a ridosso del Timanfaya. Parcheggiamo la macchina in alto sulla sommità di una scogliera a picco sul mare. Sotto di noi una spiaggia di sabbia nera, e dell'acqua stagnante. La scogliera è la parete di un cratere ormai spento, che si apre sul mare. Si tratta di metà cratere, l'altra è inghiottita dalle acque. In alcuni punti si vede chiaramente la roccia modellata dal mare al momento dell'eruzione; lo scontro fra la lava incandescente e il mare, sono rimasti cristallizzati in questo luogo, e ci fanno omaggio di uno spettacolo incantevole. Scendiamo lungo le pendici del cratere fino a camminare sulla sabbia nera. Siamo dentro il vulcano. Ci accorgiamo che in mezzo ai fini sassolini neri ci sono dei curiosi frammenti verdi, che a prima vista sembrano pezzi di vetro levigati dal mare; in realtà sono piccole ulivine. Ne troviamo a vendere grossi blocchi anche all'uscita dalla spiaggia. L'acqua verdastra che abbiamo visto dall'alto è una meravigliosa laguna smeraldo, in cui il mare è rimasto intrappolato durante l'eruzione.Una lingua di sabbia nera la separa dalle onde dell'oceano. Mancano poche ore alla partenza della nave, le valige sono già in macchina, abbiamo il tempo di fare ancora una puntatina a nord, per visitare la Geria, la regione che ha reso famosa l'isola per i suoi vini e anche per la tenacia dei suoi "campesinos". Nero è il colore dominante. Non c'e terra coltivabile, solo lava depositata dall'eruzione sopra la terra fertile di un tempo. Qui entra in gioco la volontà e il genio dei contadini dell'isola. Sono riusciti a trovare un sistema di coltivazione che trattenga l'umidità nella terra e allo stesso tempo ripari le coltivazioni dai forti venti. Una distesa regolare di piccoli crateri, ci fa pensare per un attimo di essere su un altro pianeta. I campesinos hanno scavato questi buchi profondi circa mezzo metro, in modo che la terra potesse trattenere l'umidità necessaria alle viti, e hanno contemporaneamente riparato ogni cono con muretti semicircolari, esposti nella direzione del vento che affligge l'isola. L'effetto è davvero lunare!! Il vino che ricavano è buono. Il più rinomato è il malvasìa. E' un vino aspro, robusto, che per la sua densità non viene usato allo stato puro, ma viene allungato con del vino spagnolo. Al nostro palato giunge il sapore dell'isola, ci rimane il retrogusto della terra così faticosamente lavorata. La zona è ricca di "bodegas"; ci fermiamo al "Chupadero", il cui nome è già una promessa. Assieme a boccali di vino tinto e malvasìa, degustiamo le delicatezze locali, formaggio di capra di ogni varietà , "pimientos" piccanti, "boquerones", pesce crudo marinato, e "jamòn". Il tutto decorato da pomodorini rossi; una festa per gli occhi e per il palato. Fuori il vento soffia ancora, ma non ce ne preoccupiamo. Dopo una breve visita alla casa di Manrique, completamente ricavata nella lava, arriviamo al capolinea. Siamo di nuovo al porto di Arrecife, pronti a salpare. La nave non c'è, ma è ancora presto. Intanto sale anche la nebbia. Alle cinque cominciamo a preoccuparci. Nessuno ci dice nulla, siamo fermi sulla banchina del porto, intravediamo la nave all'orizzonte rivolta con la poppa verso di noi, ma senza avanzare. Il mare è limaccioso. Dopo una lunga attesa, la nave si avvicina, pare attraccare. Non capiamo. C'è chi corre all'improvviso verso la prua e si imbarca da lì, ma il portellone per caricare le macchine non si apre. Un addetto alle funi , comincia ad urlare: "andale-andale". Capiamo! A causa del mare e del vento, non può imbarcare in sicurezza le vetture per cui possono salire solo le persone. Siamo costretti a separarci, qualcuno deve rimanere con la macchina sull'isola; solo in due saliamo sulla nave. La mattina dopo, nella sosta a Las Palmas di Gran Canaria, leggiamo la nostra avventura sui quotidiani locali. "Calìma", vento che viene dalla vicina Africa, mare a forza 7, pioggia e temporali, palme divelte, case e acquedotti danneggiati, blackout, macchine finite in mare …. un pezzo del porto di Arrecife portato via dalla furia dell'oceano. Erano 30 anni che non accadeva una cosa simile. I giornali, però, non nascondono una certa soddisfazione: los Reyes (i re magi, siamo il 6 gennaio, e qui portano i doni ai bambini come Babbo Natale) hanno portato la pioggia!!!!! Da queste parti non è poco. |