Sabato Scala
Quando, alcuni mesi or sono, l’amico Rassam mi ha invitato a presentare al pubblico la sua nuova fatica contando sul mio pluriennale impegno nella ricerca delle origini cristiane, ho dovuto confessargli che il Vangelo di Barnaba, oggetto del suo libro, da lui così ben presentato e curato, non era mai stato, per diversi motivi, oggetto di una mia specifica attenzione.
Rassam rimase assai perplesso di fronte alla mia inattesa risposta, poiché era convinto che ben poco della documentazione apocrifa cristiana. fosse sfuggito alla mia curiosità e riteneva quantomeno strano che ad un così voluminoso documento avessi dedicato poco tempo. Cercherò, in questa sede, di colmare la lacuna mostrando, al contempo, i motivi per i quali, ritenendo assai tardo il periodo di redazione del testo, non lo ho ritenuto utile alla ricostruzione del cristianesimo delle origini. Detto questo, però, mostrerò come il documento, se inquadrato nel giusto ambito cronologico, ha un interesse storico e sociale notevole, per una cospicua serie di motivazioni.
Esso costituisce, a mio avviso, una occasione di confronto sia storico e teologico tra cristiani e mussulmani unica che consente di comprendere, più che i motivi di coincidenza, quelli che rendono inconciliabili le rispettive visioni del ruolo e della vita di Gesù.
Cominciamo, innanzitutto, ad inquadrare il movimento all’interno del quale, secondo Rassam, fu redatto questo vangelo o che, a suo avviso, ne ispirò in tempi tardi la redazione.
Il mio originale interesse per il giureocristianeismo e per la vera e propria guerra di religione che si palesò fin dai primi anni successivi alla morte di Gesù, tra il movimento dei suoi seguaci giudeocristiani e quello fondato da Paolo di Tarso, mi ha spinto ad approfondire tutto ciò che era possibile recuperare e che documentasse in forma diretta o indiretta le vere idee di questo movimento. Purtroppo, ad oggi, bisogna tristemente riconoscere che del giudeocristianeismo non possiamo dare una definizione nemmeno minimamente certa e definitiva.
Stante il quadro complessivo dobbiamo accontentarci di pareri e tetsi che, sebbene assai probabili, non possono vantare il necessario supporto documentale a sostegno.
La personale impressione, maturata in questi anni, è che si debba escludere del tutto la validità della originaria ipotesi di lavoro cui dedicai molto tempo, basata su una coincidenza tra il movimento degli Esseni Qumramiani, ovvero del popolo che scrisse gli oltre 800 manoscritti ritrovati nel 1945 nei pressi del Mar Morto, e la comunità di Gesù.
Il prof. Robert Eisenmann, i cui studi hanno gettato una luce, a mio avviso, importantissima sia sul movimento giudaico-cristiano, sia sulle possibili cause del conflitto tra giudeocristiani e cristiani paolini, è stato tra i più decisi sostenitori di questa tesi. Purtroppo ritengo che, allo stato delle conoscenze, tale tesi sia non più sostenibile per diversi motiv,i tra cui il principale è sicuramente l’atteggiamento assai liberale e riformista del Gesù nei confronti della Legge Mosaica, così come viene descritto dai documenti in nostro possesso. Un simile atteggiamento sarebbe apparso non solo intollerabile, ma ereticale al gruppo qumramiano contro la cui mentalità rigidissima e fanaticamente maniacale, si erge lo stesso Gesù, sebbene egli non faccia mai menzione dei qumramani, ma rivolga le sua accuse ai farisei.
E’ innegabile, e non sarò certo io ad affermare il contrario, che i punti di contatto tra i due movimenti sono notevolissimi in termini di usanze, cultura e teologia, ma è anche evidente che i pur numerosi punti di contrasto, sono di una rilevanza tale che una qualche forma di conciliazione è del tutto impossibile.
E’, inoltre, mia convinzione che, il movimento di Gesù si sia popolato anche grazie ad una non documentata ribellione allo sterile fanatismo esseno.
E, infatti, singolare che, proprio quando Gesù iniziò la sua predicazione, il movimento cominciò a sfaldarsi così come attestato dalla datazione dei documenti in nostro possesso, che non superano la metà del I sec. D.C. Lo stesso Giovanni il Battista, e con questo concordo con i maggiori studiosi, faceva quasi certamente parte di questo movimento, ma, a mio avviso, proprio le sue condizioni di vita, fin troppo somiglianti con quelle di un tipico esiliato esseno, ci lasciano credere che possa essere egli stesso stato espulso dal gruppo qumramiano per un qualche dissenso di ordine teologico.
Del resto, lo stesso gruppo qumramiano risulta essere nato da una scissione tra gli esseni legata a minuziosi dettagli (che ad un osservatore occidentale parrebbero davvero cavillosi), inerenti il modo esatto di interpretare e mettere in pratica quotidianamente i vincoli della Legge Mosaica.
Oggi posso dirmi sufficientemente sicuro che il movimento giudeocristiano si origino, forse incorporando anche fuoriusciti dal gruppo esseno qumramiano, ma non sicuramente da questo. Inoltre ritengo che lo stesso Gesù, non ebbe mai rapporti stretti con gli esseni qumramiani, sebbene non si possa eslcudere brevi contatti diretti.
La stessa storia di Gesù, la sua presenza certa in Egitto e le pur scarne notizie che abbiamo sugli Esseni taumaturgi ellenizzati che si erano trasferiti in quelle terre fondando monasteri in Alessandria d’Egitto e che vanno sotto il nome di Terapeuti, mi porta a credere che è in questo gruppo che Gesù crebbe e si formò.
Le somiglianze con le usanze qumramianie, quindi, non sarebbero da intendersi come direttamente connesse ad una appartenenza essena di Gesù, ma come generate dalla comune origine essena del gruppo qumramiano e di quello dei Terapeuti. Questi due gruppi, per il resto, presero strade del tutto separate e talora antitetiche. Rimando ai miei numerosi lavori sull’argomento per i dettagli essendo la problematica troppo vasta e complessa per i limiti di questa introduzione. Ma, allora, cosa pensavano veramente i giudeo-cristiani? In cosa credevano?
Sarebbe erroneo ritenere che i giudeocristiani mantennero un atteggiamento negativo nei confronti delle tradizioni mosaiche, ma sarebbe parimenti erroneo credere che essi mantennero, nei confronti della Legge, quella rigidità assoluta che ritroviamo nel gruppo esseno qumramiano, vuoi solo perché questo contrasterebbe con il cuore riformista del pensiero di Gesù.
Ma è proprio vero che non abbiamo alcuna documentazione diretta del pensiero giudeocristiano?
L’idea che mi sono fatto di questo movimento è che, essendo nato, a mio avviso, da una matrice terapeuta egizia, ed essendo i Terapeuti collocati logisticamente nell’aria che prima di altre diede origine alle forme più sofisticate del pensiero gnostico come evoluzione di quello ermetico egizio, il movimento giudeo-cristiano non potette non risentire fortemente della matrice gnostica . Il pensiero stesso di Filone d’Alessandria, che con i Terapeuti ebbe stretti contatti e che di essi ci parla, mostra una chiara impostazione ellenistica liberale rispetto alle usanze ebraiche e talora vagamente gnostica. Le cosiddette epistole Pseudo-Clementine sono l’unica testimonainaza che i più hanno riconosciuto come giudaico-cristiana. Queste lettere ci restituiscono, è vero, un cristianesimo di matrice ebraica che sembra ancora legato alla Legge, ma non certo alla legge formale rigidissima del gruppo qumramiano. Gli Ebioniti, gruppo sicuramente originatosi dal giudeocristianeismo, dei quali sappiamo davvero poco, non possono essere un punto di riferimento per desumere retroattivamente, elementi sul pensiero giudaico cristiano, come non possono esserlo le testimonianze della patristica, vuoi per la scarsità di notizie che esse forniscono, vuoi perché esse paiono non solo vaghe, ma anche non di prima mano. L’unica vera testimonianza, di matrice sicuramente giudeocristiana , a mio avviso, ci viene dalle apocalissi gnostiche di Giacomo e di Pietro, ma ci restituisce un giudeo cristianesimo diverso da quello cui siamo oggi portati a credere e sono testi profondamente intrisi di gnosticismo.
Altro gruppo che che, sempre a mio avviso, si presenta estremamente vicino all’essenza originaria del giudeocristianeismo, è quello degli Elcasaiti. Sebbene sappiamo, anche in questo caso, davvero poco su di essi, possiamo, a buona ragione, ritenere che fu tra i primi movimenti cristiani a formarsi, rimanendo indipendente dai movimenti successivi e manifestando una teologia si presentava come un mix singolare di giudaismo, cristianesimo e gnosticismo.
La localizzazione di questa comunità nell’ambito delle medesime aree geografiche in cui si formarono le correnti gnostiche manichee prima e mandaiche poi, rende assai probabile che queste ultime abbiano tratto ispirazione proprio da questo antichissimo movimento cristiano.
Fatte le necessarie premesse su quello che ritengo essere il cuore del pensiero giudaicocristiano e, quindi, allontanata la tradizionale collocazione dei giudeo-cristianesimo nell’ambito delle sette ebraiche gelosamente attaccate alla Legge, ritengo che qualunque documento che presenti una qualche forma di rigido attaccamento alle tradizioni ebraiche o ad una versione modificata di esse, vada preso con estrema cautela per la sostanziale divergenza della impostazione fideistica formale, rispetto alla matrice teologica primaria dello gnosticismo cristiano ed in particolare alla teologia dello gnosticismo cristiano egizio di matrice valentiniana.
Il Vangelo di Barnaba, da questo punto di vista, anche supponendo, come fa Rassam, che il testo sia una rielaborazione tarda di un documento giudeo-cristiano, va analizzato con estrema cautela.
I motivi che ci spingono a tale speciale cautela nella predatazione del documento, o di parti anche minime di esso, sono numerosi come vedremo più avanti, non ultimo proprio il fanatismo e la rigidità che ne impregna ogni pagina.
La rigidità religiosa estrema presentata da questo documento è inconciliabile non solo con il la biografia di Gesù desumibile dai documenti, apocrifi e , non solo con la polemica duramente antifarisaica di Gesù, ma non si sposa nemmeno con le informazioni che possiamo trarre sul movimento giudeocristiano a partire dalle fonti.
La polemica tra giudeo-cristiani e San Paolo, cui fa cenno Rassam nella introduzione, non può essere indicata quale prova di una rigidità assoluta dei giudei-cristiani nel perseguire la Legge mosaica. Va, infatti, ricordato che i giudeo-cristiani rinfacciavano a Paolo, non forme marginali e minimali di violazione della Legge, ma elementi centrali quali la violazione delle norme relative alla circoncisione e alle abitudini alimentari. Va anche ricordato che lo stesso editto di Giacomo, che vincolava i nuovi adepti alla sola astensione dalle carni immolate agli dei, manifesta una flessibilità antitetica rispetto alla rigidità rituale che, invece, appare in questo documento e che sfocia, in alcune parti, nel diritto-dovere di uccidere i miscredenti.
Cerchiamo di chiarire brevemente i motivi di questo diverso punto vi vista tra me e Rassam.
Lo gnosticismo cristiano nasce, fondamentalmente, da una domanda “Chi ha creato questo mondo e perché esso è così impuro ed ingiusto”.
A questa domanda lo gnosticismo cristiano, in forme più o meno accentuate, risponde negando al Dio Padre, da cui si origina il Cristo, la funzione di creatore dell’Universo, secondo diverse modalità dipendenti dalle diverse forme di gnosticismo. In buona sostanza dal bene non nasce il male e di conseguenza ciò che è male, questo Mondo, è originato da un Dio minore: il Demiurgo.
Sulla consapevolezza e colpa di questo Dio minore, ovvero del Dio del Vecchio Testamento, vi sono differenti posizioni, ma tutte quelle gnostiche sono concordi nel distinguere nettamente il Dio Padre dal Demiurgo. Questa forma, più o meno marcata di dualismo è, quindi, alla base dello gnosticismo cristiano.
In quest’ottica è evidente che la Legge del Dio del Vecchio Testamento, non può che essere “provvisoria” e funzionale ad un processo di salvezza. Tale processo non può avere, in essa, alcun tipo di realizzazione. Lo stesso pensiero di San Paolo, infondo, nasce da questa prospettiva.
La Salvezza è, secondo lo gnosticismo cristiano, un processo autonomo e personale di riconoscimento della scintilla di Dio nell’Uomo e di progressiva purificazione dell’Uomo e della creazione stessa, dalle scorie materiali. Tutto ciò che vincola l’uomo a questo mondo ed alle sue leggi, e quindi la Legge stessa ideata dal Demiurgo, è, al più, un mero momento di transizione, necessario quando l’uomo era ancora nella “Ignoranza”.
Una volta avvenuto il riconoscimento della propria origine divina, lo gnostico non è più soggetto alle leggi e, anzi, la Legge divien uno strumento per esercitare lo Spirito, che viene imposto agli adepti delle comunità gnostico-cristiane, sono in una fase iniziale e di “prova”. Successivamente lo gnostico giudeo-cristiano dovrà affrancarsi dalla Legge via via che procede il suo processo di iniziazione e perfezionamento.
Anche questa prospettiva mi vede distante dalla pur interessanti e profonde analisi che Rassam dedica, in nota, ad alcune pagine di questo volume. Pur senza negare quanto egli sostiene, credo che questo documento non contenga, se non in maniera assai vaga ed unicamente nelle parti segnalate da Rassam, riferimenti allo gnosticismo. Tali riferimenti sono davvero troppo esigui e soprattutto assai vaghi per poter sostenere una qualche, se pur minima, vicinanza di questo documento, alle tesi gnostico cristiane e quindi allo gnosticismo giudaico-cristiano.
Il testo che andiamo ad analizzare, è un documento di eccezionale valore poiché espone, in forma dettagliata, la visione islamica della figura di Gesù e, soprattutto, è un documento di straordinario valore per analizzare non solo i punti di possibile dialogo tra le due fedi, ma soprattutto i punti di netta divergenza che rendono, in massima parte, inconciliabili la posizione teologica cristiana e quella islamica proprio relativamente alla figura di Gesù.
Il testo nasce, chiaramente, per convertire all’Islam fedeli di origine cristiana ed è, quasi certamente, stato redatto da un cristiano convertitosi all’Islam, con una cultura limitata, ma con una discreta conoscenza delle scritture.
Il primo elemento su cui dobbiamo soffermare la nostra attenzione è, ovviamente, il corretto inquadramento cronologico dell’opera.
Condividiamo la collocazione tarda (in particolare tardo medievale) del documento, proposta da Rassam, ma, a differenza di quanto da lui sostenuto, numerosi elementi ci fanno escludere che esso si sia ispirato ad un documento antico o che si rifaccia in forma diretta o indiretta a tesi giudaico-cristiane più o meno primitive; tali elementi possono così essere sintetizzati: uniformità del contenuto, numerosità e distribuzione delle anomalie, anacronismi ed errori macroscopici (che mostreremo), la distanza di questo documento da qualunque testo antico a noi pervenuto e dalla teologia giudaico-cristiana,.
Tutto questo, lo ripetiamo, nulla toglie alla importanza del documento ed alla opportunità di maggiori studi ed approfondimenti.
Una serie di anacronismi, errori ed anomalie costellano l’opera. Vediamoli in un dettagliato elenco:
§ L'autore afferma di essere Barnaba e si autodefinisce un apostolo inserendo il suo nome nell'elenco dei Dodici ma omettendo, invece, il nome di Tommaso. Tutti i documenti a noi pervenuti ove si narra di Barnaba, segnalano che egli divenne un collaboratore dell'apostolo Paolo dopo che Gesù era già asceso al cielo.
§ Gesù dice di essere nato sotto il governatore Ponzio Pilato il cui governatorato inizia nel 26 d.C. in contrasto con tutti i documenti pervenutici e con le datazioni desumibili dall’apostolato di Paolo del quale sappiamo dagli Atti degli Apostoli.
§ L’autore sembra non sapere che Cristo e Messia sono traduzioni della medesima parola , talora lo appella come Gesù Cristo, ma sostiene che non é il Messia (cap. 42).
§ L’autore riferisce di Giubilei che cadono ogni cento anni (Capitolo 82), anziché ogni 50 come descritto nel Levitico cap.25. Solo nel 1300, sotto papa Bonifacio VIII, i Giubilei sono stati fissati ogni 100 anni e successivamente ridotti nel 1343 da Papa Clemente VI a 50 anni.
§ Nei paragrafi 20-21, Gesù attraversa il Mar di Galilea, attracca a Nazaret e poi raggiunge a piedi Cafarnao. Nazaret si trova sulle montagne, a più di 25 chilometri dal Mar di Galilea, mentre è Capernaum a trovarsi sulle rive di questo lago.
§ Adamo ed Eva nel capitolo 40 mangiano una mela; l’associazione di questo frutto all’”Albero della Conoscenza del Bene e del Male “ (Genesi 2) proviene dalla traduzione della bibbia in Latino (la Vulgata realizzata nel V secolo da San Girolamo) ove entrambe le parole “male” e “mela” sono tradotte con “malum”.
§ Nel vangelo si parla di barili di legno atti a contenere vino, usanza tipica solo della Gallia e dell’Italia (capitolo 152); nella Palestina del primo secolo il vino era contenuto in giare.
§ L’autore mostra di conoscere Dante (1262 -1321) in diverse descrizioni quali quelle dell’Aldilà.
§ Nel capitolo 91 si parla della quaresima, festa Cristiana stabilita dal concilio di Nicea del 325 senza equivalenti nella tradizione ebraica
§ Ove appaiono citazioni dal Vecchio Testamento esse derivano dalle versioni della Vulgata anziché da quella greca dei Settanta o dal testo ebraico, ovvero il Masoretico.
§ Nel cap. 91 si parla di 600.000 soldati romani in Giudea. Mentre é noto che tutti i soldati dell’esercito romano al tempo non superavano i 300.000.
§ Nel capitolo 54 si parla di denari e minuti, affermando che servono 60 minuti per fare un denaro. Il denaro ed il sottomultiplo monetario, il minuto (servivano appunto 60 minuti per fare un denaro) è la moneta introdotta in Spagna nel 685 d.C. dal Califfo Abdul Malik
Vediamo, a questo punto, quali sono alcune delle principali inesattezze di questo testo indicative per una collocazione cronologica:
§ Le citazioni tratte dalla Vulgata portano la collocazione oltre gli anni in cui visse San Girolamo 347- 420
§ La citazione della moneta spagnola introdotta le 685 d.C. dal califfo Abdul Malik, colloca il testo dopo questa data.
§ La conoscenza di Dante spinge la datazione oltre il 1262, anno di nascita del poeta
§ L’autore, come abbiamo già sottolineato, riferisce di giubilei che cadono ogni cento anni (Capitolo 82), anziché ogni come descritto nel Levitico cap.25. Questa circostanza è valida solo tra il 1300 ed il 1343.
Da queste osservazioni possiamo identificare un possibile arco di tempo entro il quale fu scritto il testo: appunto, tra il 1300 ed il 1343, ed il luogo di stesura, Granada in Spagna (numerosi indizi portano a questa terra). Detto questo possiamo identificare il possibile contesto storico richiamando alcuni necessari riferimenti temporali:
§ Granada era sotto il dominio arabo tra il 1300 ed il 1492.
§ I Muladi, cristiani convertiti all’Islam a Granada erano, in quel periodo ed in quella regione, assai numerosi .
§ Granada fu l’ultima roccaforte araba ad essere riconquistata dai Cristiani e che essa era a diretto contatto con il regno dei cattolicissimi re di Spagna
§ A Granada nel 1588 vennero ritrovati alcuni Vangeli scritti in Arabo
§ A Toledo, altro regno che era stato sotto la dominazione araba a breve distanza da Granada, re Alfonso Fernández (1221-1284) fondò la famosa scuola di traduttori ove operarono studiosi mussulmani ed ebrei per tradurre importanti opere dalle due lingue, arabo ed ebraico, in latino. Proprio da questo background culturale può essersi sviluppata il substrato che circa 50 anni più tardi potrebbe avere generato il personaggio, chiaramente cristiano, che scrisse il testo in arabo spesso incerto ricco di reminiscenze linguistiche di origine spagnola e talora italica.
E’ proprio grazie a questa collocazione, che possiamo, ora, meglio inquadrare i contenuti dell’opera, le motivazioni che guidarono l’autore e gli intenti politico religiosi che furono alla base della redazione di questo documento.
Il primo elemento essenziale per la narrazione e lo sviluppo delle tesi sostenute in questo vangelo è la sostituzione di Giovanni con Gesù. Nei Vangeli canonici Giovanni è l’Elia venuto ad annunciare il Messia in Gesù. In questo Vangelo è Gesù che viene sulla terra prima di Maometto per preannunciarne la venuta secoli dopo.
La sostituzione che Rassam sottolinea come aliena dalla dottrina islamica è, in realtà, non dovuta, a mio avviso, ad una cattiva conoscenza della dottrina cranica da parte dell’autore, ma ad una precisa scelta legata all’effetto di sostituzione ed amplificazione della blasfemia su Gesù che, come vedremo, è il vero scopo di questo documento.
Questa forzatura determina, infatti, una serie di contraddizioni teologiche stridenti che, spesso, sembrano incastrare in un circolo vizioso lo stesso autore, da un lato spinto dalla voglia di adoperare il più possibile i testi evangelici e dall’altro costretto ad aderire al dettame islamico ed alla funzione primaria che si era posta: mostrare la inferiorità di Gesù rispetto a Maometto.
Il Gesù di questo documento appare adirarsi in forma, spesso plateale, di fronte a coloro che lo dichiarano il Messia, eppure viene chiamato Cristo .
La legge dell’amore, assai chiara anche in documenti gnostici in cui non ha la medesima centralità che ha nei canonici, viene, in questo documento, stravolta con frasi del tipo “Non scegliete per amico quello che non ama ciò che amate voi” (cap.85) ben diverso da “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Il tema dell’amore, centrale nei canonici è il primo nemico teologico dell’autore: la legge dell’amore (undicesimo dei comandamenti) va smantellata per potervi sostituire la tematica della intolleranza religiosa ed il tema degli infedeli cuore vero di questo documento.
La tolleranza diviene un momento di attesa ovvero una sorta di credito finito, da offrire agli infedeli per dar loro modo di convertirsi all’Islam.
Al termine del tempo offerto per la conversione, al fedele di fede islamica viene detto “Non abiterai più sotto il suo tetto (dell’infedele) non mangerai più al suo stesso tavolo, non gli parlerai più e se sai dove mette il piede camminando, non metterai più i tuoi”.
Questa misericordia limitata nel tempo, passa, in maniera graduale alla minaccia di assassinio del’infedele con frasi del tipo “Per quale ragione Dio diede Mosè, Giosuè, Samuel, Davide, Salomone e tanti altri che resero la giustizia e diede loro egli la spada per estirpare l’iniquità” dimenticando, o fingendo di dimenticare, la parabola della zizzania e delle erbe maligne che non vanno estirpate dalla mano umana.
Singolare appare la scena davvero anacronistica, della violenta reazione di Gesù verso coloro che lo appellano come Dio e che appare nei capitoli.92 e 93.
Gesù, appellato come Dio dal popolo, redarguisce severamente ed aspramente non solo i giude,i ma lo stesso pontefice che si prostra di fronte a lui per adorarlo come Dio.
Alla inattendibilità storica dell’evento già evidente di questa scena si aggiunge un ingenuo e paradossale anacronismo. In nessuno dei testi antichi pervenutici, infatti, nemmeno in quelli pur rivoluzionari di San Paolo, v’è la diretta e certa associazione tra Gesù e Dio che è alla base della dottrina trinitaria del concilio di Nicea e che è, come è noto, è tesi assai tarda.
L’autore, evidentemente, sente la necessità di smantellare il perno della dottrina cattolica, puntando direttamente al più sentito dei dogmi medievali: quello trinitario. L’insistenza su continue e violente negazioni della associazione Gesù – Dio operate per bocca dello stesso Gesù, se da un lato è finalizzata ad allontanare un anatema inconciliabile con la dottrina islamica, dall’altro mira a smantellare un fondamento primario della dottrina cattolica conscio della difficile comprensione e, per diversi aspetti, della intrinseca astrusità del concetto trinitario per il popolo dei fedeli.
Altro tema centrale nella narrazione è il voler sottolineare la figura di Gesù come puramente ed interamente umana e non sovrannaturale.
Il Gesù di questo Vangelo non opera miracoli perché afferma “sono un uomo mortale, un uomo visibile, un poco di fango che funziona sulla terra, mortale come sono gli altri uomini, io che ho avuto un principio e che avrò una fine non posso creare neanche una mosca a partire dal niente” (cap.95).
Affermazioni così nette sembrano dirette non a “convertire”, i cristiani ma a provocarne violente reazioni e a ferirli nell’intimo della loro fede. Per affermazioni ben meno offensive nei confronti del Profeta, vengono, non nel medioevo ma ancora oggi, emesse condanne cruente ed inappellabili.
Ma l’autore affonda il coltello teologico ancor più a fondo quando carica i fedeli cristiani paradossalmente della colpa di averlo chiamato Dio ed afferma “non fossi stato chiamato Dio, sarei stato portato al Paradiso lasciando il mondo mentre non mi renderò prima del giudizio” (cap.112)
In pratica Gesù stesso, a causa dei cristiani, diviene colpevole e deve patire un periodo di condanna nei cieli identico a quello di ogni peccatore attendendo anch’egli il giudizio.
Si noti bene che, in questa carrellata, ci limitiamo solo a frammenti minuti, ma ogni singola pagina di questo testo è chiaramente tesa a ferire profondamente i sentimenti cristiani in generale e cattolici in particolare.
E’ facile notare come frasi quali “Come, hai mangiato il pane con gli infedeli! Che Dio ti perdoni, Giovanni!” (cap. 131) siano agli antipodi rispetto a quelle che troviamo nei canonici quali “non è ciò che entra attraverso la bocca che vi rende impuri ma ciò che esce”.
Difficile credere che l’autore non sapesse quanto certi temi fossero noti ai credenti e quanto, un credente costretto a leggere questo testo, potesse sentirsi torturato più che nel corpo stesso.
Inutile, inoltre, ricordare che in un testo che esalta il fanatismo religioso, e incita alla guerra santa contro l’infedele, non solo non vi sia traccia della polemica antifarisaica, che tanta parte ha in tutti i documenti apocrifi e non, ma gli stessi farisei ed il termine farisei diviene una sorta ti titolo nobiliare nella gerarchia della fede. (cap.144)
L’autore è ben cosciente che il principale nemico di Gesù dei Vangeli, ovvero il fanatismo rituale vuoto dei farisei, è identico all’integralismo dell’islam descritto limpidamente in questo documento.
La conclusione del documento, infine, se può essere vicina a quanto oggi siamo abituati ad ascoltare attraverso le narrazioni di alcuni testi gnostici di recente ritrovato (vedi ad esempio, Il Vangelo di Giuda) e comunque dal clima revisionista e critico creatosi attorno al cristianesimo ed alla sua storia, suonava sicuramente come la più blasfema e feroce delle affermazioni che si potesse rivolgere nei confronti di un cristiano in periodo tardomedievale.
Il testo termina affermando che non fu Gesù a morire sulla croce, ma Giuda divenuto, per volere di Dio, simile a lui in volto.
Ma, come se questo non fosse già di per se una ferita mortale per un credente del tempo, l’autore aggiunge che il corpo di Giuda fu trafugato dagli apostoli per far credere nella resurrezione di Gesù.
Come per suggellare l’intento del testo l’autore termina (cap. 220) affermando “Dio…fa credere a ciascuno che fossi stato io a morire sulla croce. Perciò questa derisione durerà fino alla venuta di Muhammad, il Messaggero di Dio”.
Non v’è dubbio, ma anche il lettore meno attento ai temi cristiani se ne potrà facilmente rendere conto, che il contenuto di questo documento non solo è del tutto inaccettabile per un credente di fede cristiana ed in particolare cattolica, ma esso non poteva in alcun modo aspirare a divenire, soprattutto in periodo tardo medievale, un testo per la conversione dei cristiani.
Il documento, a mio avviso, dovette essere adoperato come violenta provocazione contro la cattolicissima Spagna e, probabilmente, veniva fatto leggere ai cristiani forzatamente convertiti all’islamismo in risposta alle altrettanto cruente e violente conversioni di islamici ed ebrei al cristianesimo operate dalla pare avversa, per consci delle profondissime ferite che il testo reca alla fede di un credente, non solo medievale, ma anche moderno.
In questa analisi del Vangelo di Barnaba e dell’opera di Rassam, credo che abbiamo solamente sfiorato i temi che questo testo ispira e l’importanza, sebbene in negativo, che questo testo ha per il dialogo Cristiano – Mussulmano.
E’ essenziale, infatti, che da parte mussulmana e cristiana, sia ben chiaro il divario abissale e teologico che questo testo manifesta in maniera limpida, ma soprattutto sia ben chiaro che una conciliazione o un pur minimo comune sentire sul diverso modo in cui le due religioni guardano alla figura di Gesù, è del tutto impossibile e che una insistenza in questa direzione non può che provocare conflitti.
Questa coscienza, spero promossa da un franco dialogo su questo testo che pur appare così profondamente e radicalmente lesivo nei confronti della fede cristiana, potrebbe aiutare entrambe le fedi a non cercare convergenze su un piano impossibil,: quello religioso, ma su quelli della comune convivenza civile nel rispetto reciproco.
La pubblicazione di questo documento dovrebbe far riflettere i fedeli di fede mussulmana, sulla inopportunità di insistere sulla citazione di questo documento per tentare presunte mediazioni ed avvicinamenti tra le due fedi poiché, questo documento fu redatto, a suo tempo, in un clima di guerra di religione per praticare ed incitare alla guerra di religione.
I fedeli cristiani, dal loro canto, devono sapere che sul tema religioso e sulla figura di Gesù il divario con l’Islam è assoluto. A volte i libri scomodi sono necessari anche per imparare a non usarli dopo averli letti e studiati: ecco, quindi, il singolare pregio di questa, a mio avviso, fondamentale e preziosissima pubblicazione della quale ringrazio l’amico Rassam e il coraggioso editore Entrico Folci.
Nel
Nome di Dio, Misericordioso, Misericorde
Innanzitutto
ringrazio Sabato Scala al quale sono legato da sincera amicizia e stima
reciproca.
Lo
ringrazio per aver voluto affrontare questo tema, di cui molti parlano ( come ho
riportato sulla copertina del libro ), ma che, in buona sostanza nessuno ha mai
approfondito.
Il
lavoro che ha svolto l’ing. Scala è un validissimo contributo a far luce su
di un periodo molto importante e misconosciuto quale il Giudeocristianesimo.
Questo
mio intervento, tuttavia, non è una replica nel senso letterale della parola a
quanto l’amico Sabato Scala ha giustamente illustrato ed affermato, bensì un
chiarimento della posizione del sottoscritto in qualità di curatore del testo
in esame, e, cosa principale , il motivo per il quale sono stato portato
a tradurre e commentare questo testo, e cioè un motivo per riflettere su quanto
le inesattezze possano contribuire ad avvelenare i rapporti tra comunità
religiose e come, prendendo per buone talune affermazioni, è possibile
assistere ad un aumento del divario tra confessioni diverse, nonostante gli
sforzi delle persone di buona volontà.
Ascoltando
ciò che giustamente ha sottolineato l’ing. Scala, questo incontro potrebbe
apparire ciò che in realtà non è e che non si prefigge di essere, per cui il
mio chiarimento, oltre che doveroso nel rispetto dell’ottimo lavoro altrui,
servirà a ricordare agli uditori ( ed ai lettori ) il vero scopo di questo
incontro che vuole essere così una parentesi esplicativa ad ogni persona
interessata a tali tematiche.
Come
ho già detto, la mia non sarà una replica, poiché quanto afferma l’ing.
Scala è vero e condiviso dal sottoscritto. E’ pur vero che molte delle cose
segnalate da Scala non appaiono ( benché condivise dal sottoscritto ) nel mio
libro. Il motivo è presto detto: ho solo cercato di sottolineare le inesattezze
più macroscopiche e gratuite, nella direzione in cui è mirato il mio
messaggio.
In
sintesi, e come avremo modo di vedere in avanti, quanto mi sono prefisso è
molto semplice:
E’
possibile un dialogo interreligioso serio, anche senza arrivare alla sola
condivisione metafisica anche su basi storiche?...Ebbene, io credo di sì. Il
mio insistere sul Giudeo-cristianesimo consiste proprio in questo.
Bisogna
considerare che il motivo maggiore di attrito tra cristiani e musulmani è
dovuto al fatto che i musulmani negano la divinità di Gesù. Tale affermazione
tuttavia, non è di matrice islamica, bensì cristiana. Si sa difatti, che i
maggiori dissidi tra Paolo la Nuova Chiesa di Gerusalemme ( costituita dopo la
scomparsa di Gesù e retta da
Giacomo il Giusto, consisteva proprio sulle diverse tesi dei due leader
spirituali circa la natura divina di Gesù.
Alla
luce di tutto ciò, anziché continuare ad insabbiare questo periodo, cioè il
giudeo cristianesimo ( dove permanevamo molte usanze ebraiche ), apparirebbe
giusto a mio avviso, rivalutare ciò che fa parte di un patrimonio comune, per
marciare, non dico insieme, ma sicuramente in modo meno traumatico ognuno
verso un traguardo che è poi il medesimo, anche seguendo vie diverse.