Ai fini della datazione, sia per la prima che per la seconda lettera ai Tessalonicesi, sono essenziali due elementi comuni:
Tes 1,1 Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo
Tes 2,1 Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo
Il capitolo 17 degli Atti degli apostoli parla del viaggio che Sila e Paolo compiono a Tessalonica.
Ricordando che Silvano era stato aggregato a Paolo dopo il Concilio (Atti 15,22) sostituendo del tutto Barnaba dopo l'incidente di Antiochia, e tenendo conto che solo nel capitolo 17 si parla per la prima volta di Silvano e di un viaggio a Tessalonica, se ne desume che la stesura di entrambe le lettere va collocata nel periodo successivo a quello descritto nel 17mo capitolo, ma certamente prima del capitolo 18 mo (Atti 18,5) nel quale per l'ultima volta appare Sila che, probabilmente, ritorna a Gerusalemme prima penultimo viaggio di Paolo in quella città (narrato frettolosamente in Atti 18,22).
La datazione corretta é possibile grazie alla descrizione della Prigionia di Paolo e Sila a Filippi sotto il proconsole di Acacia Gallione(Atti 17,12).Da una lettera dell'imperatore Claudio scoperta a Delfi nel 1905 (1), combinata con un testo del Corpus incriptionum latinarum (CIL 1256) e con Dione Cassio se ne desume che Gallione fu proconsole in Acacia nel periodo maggio 51, maggio 52, quindi entrambe le lettere sono state scritte non molto dopo l'anno 52.
Tessalonicesi 1 la datazione può essere ancora più precisa:
Nella lettera Paolo scrive:
Tes 31,1Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni.
comparandola con gli Atti ove si legge:
Atti 17,13 Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a sapere che anche a Berèa era stata annunziata da Paolo la parola di Dio, andarono anche colà ad agitare e sobillare il popolo. Allora i fratelli fecero partire subito Paolo per la strada verso il mare, mentre Sila e Timòteo rimasero in città. Quelli che scortavano Paolo lo accompagnarono fino ad Atene e se ne ripartirono con l'ordine per Sila e Timòteo di raggiungerlo al più presto.
Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli.
Se da un lato la presenza di Paolo, rimasto solo, ad Atene é confermata dagli Atti, questi fanno emergere anche una palese contraddizione:
Sila e Timoteo erano rimasti a Berea, mentre Paolo viene scortato fino ad Atene da altri discepoli. Questi discepoli sono inviati da Paolo per sollecitare Sila e Timoteo affinché lo raggiungessero, ma il ricongiungimento con Paolo non avviene a Atene, ma solo quando Paolo stesso giungerà a Corinto.
infatti dagli Atti si legge:
Atti 18,1 Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci.
Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai Giudei che Gesù era il Cristo
Quindi se quella lettera fu scritta ad Atene, come sembra trasparire dal brano che abbiamo citato, é chiaro che vi sono tre evidenti contraddizioni::
La contraddizione viene parzialmente superata se si colloca, come suole fare la tradizione, la stesura della lettera a Corinto e non ad Atene.
Questa ipotesi spiegherebbe la contemporanea presenza di Sila e Timoteo al fianco di Paolo, ma non spiegherebbe i due viaggi gli strani spostamenti di Timoteo, ignoti ad Atti, che si sarebbe prima recato ad Atene quando Paolo era stato lasciato solo, poi sarebbe ripartito per Tessalonica, quindi si sarebbe ricongiunto a Sila e con questi avrebbe raggiunto Paolo a Corinto.
Questa ipotesi é inficiata da un'ulteriore indizio questa volta contenutistico che analizzeremo più avanti.
La lettera appare divisa in due distinte parti:
La stessa estensione della prima parte della lettera (3 capitoli su 4) fa chiaramente intuire che il vero motivo che spinge Paolo alla stesura della stessa va ricercato qui.
L'intero capitolo primo ed il secondo fino al 12mo paragrafo, mescola la gioia per la tenuta nella fede e per il comportamento della Chiesa di Tessalonica, all'orgoglio di averla fondata e di essere l'artefice di quell'esempio di fede nel Vangelo.
I momenti di autogratificazione sono evidenti in passaggi quali:
Tes 1,5 Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene.
Riferito alle notorietà che avevano incontrato presso le Chiese in Macedonia e Acacia:
Tes 1,9 Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio
E ancora:
Tes 2,1Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.
E' proprio nel secondo capitolo ove il prevalere dell'autoesaltazione lascia trasparire i veri motivi che muovono Paolo.
Cominciava già a diffondersi l'idea che ci fossero persone che utilizzavano l'evangelizzazione come strumento per l'arricchimento personale o per la gloria, e che non avevano autorità per farlo, dice infatti Paolo
Tes 2,3 E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo.
In pratica ci sono componenti che torneranno nell'autodifesa presente in Galati e Corinti 1 e 2 di cui abbiamo già discusso.
Paolo si difende da possibili accuse di inganno, torbidi motivi, frode, parole adulatorie, cupidigia e semplice ricerca di gloria.
Sembra quasi un sunto delle accuse che i giudeo-cristiani, che si ricollegavano alla Chiesa di Gerusalemme e a Giacomo "il fratello del Signore", imputeranno a Paolo.
In questa ipotesi i giudeo - cristiani dovrebbero essere entrati in azione già durante il viaggio di Paolo a Corinto e quindi quando ancora Sila era al suo fianco: quindi, pur essendo Paolo sotto la attenta sorveglianza della Chiesa di Gerusalemme attraverso Sila, era ancora oggetto degli attacchi dei giudeo-cristiani.
Che sia questo il reale motivo che spinge Paolo all'autodifesa é evidente in quella che potremmo definire la più esplicita delle dichiarazioni antisemitiche mai pronunciata da Paolo:
Tes 2,14 Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l'ira è arrivata al colmo sul loro capo.
E' quindi chiaro che Paolo essendo venuto a sapere, probabilmente a Berea, della offensiva dei giudeo-cristiani che lo seguivano e temendo che essi fossero già giunti a Tessalonica, decide di inviare una lettera che, esaltando le doti dei Tessalonicesi e ricordando loro chi era l'artefice unico della loro conversione, li esortava a non "credere alle calunnie" dei giudeo-cristiani.
Questo spiegherebbe perché era rimasto solo ad Atene e perché temesse tanto per le sorti di quella Chiesa:
Tes 3,1 Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi, infatti, sapete che a questo siamo destinati; già quando eravamo tra voi, vi preannunziavamo che avremmo dovuto subire tribolazioni, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie sulla vostra fede, per timore che il tentatore vi avesse tentati e così diventasse vana la nostra fatica.
Sila non avrebbe mai apposto la sua firma ad una affermazione così apertamente antisemitica come quella espressa nel già citato Tes 2,14, ma Paolo voleva che i Tessalonicesi fossero in grado di identificare esattamente il nemico e per questo motivo decide di liberarsi da qualsiasi tipo di impedimento allontanando non solo Sila e Timoteo, ma chiunque potesse essere testimone di quella lettera e della imbarazzante lotta che Paolo aveva in corso con i fratelli giudei nella fede.
In questa ipotesi, però, il ritorno di Timoteo a Tessalonica dovrebbe esservi realmente stato.
Sarebbe, infatti, inammissibile che Paolo utilizzi delle esatte citazioni storiche (presenti anche in Atti), ma ricordi alla Chiesa di Tessalonica il ritorno in quella città di un suo discepolo, mai avvenuto.
Resta da stabilire quando questo ritorno possa essere avvenuto, compatibilmente con le vicende narrate in Atti.
Sappiamo che Paolo lasciò Tessalonica in fretta ed in compagnia di Sila, mentre Timoteo probabilmente rimase a Tessalonica, e successivamente raggiunse Paolo e Sila a Berea.(Atti 17, 10-15).
E' possibile che Paolo faccia uso della permanenza di Timoteo in quella città e la lasci passare come un voluto rinvio del discepolo.
Timoteo potrebbe essere rimasto a Tessalonica (come lasciano credere gli Atti) proprio per "tenere sotto controllo la situazione".
Va infatti ricordato che il motivo dell'allontanamento di Paolo da Tessalonica era l'attacco rivolto contro Paolo e contro Giasone da alcuni giudei che affermavano:
Atti 17,6 «Quei tali che mettono il mondo in agitazione sono anche qui e Giasone li ha ospitati. Tutti costoro vanno contro i decreti dell'imperatore, affermando che c'è un altro re, Gesù»
I Giudei cui si riferisce Luca, erano venuti a conoscenza dell'agitazione che Paolo aveva portato in giro per il mondo.
L'accusa nasce tra i Giudei, e quindi, non può che fare riferimento alla anomala predicazione antilegalista di Paolo, che, almeno fino ad allora, si era limitata alla evangelizzazione dei pagani ed alla abolizione della pratica della circoncisione.
L'autore degli Atti, come farà del resto durante tutta la sua opera, ci lascia credere che i Giudei che perseguitano Paolo sono coloro che rimasti attaccati alla Legge di oppongono all'annuncio del Vangelo nascondendoci la loro vera ed imbarazzante identità giudeo-cristiana.
Siamo, quindi, di fronte ad una ennesima astuzia: Paolo vuole che i giudeo-cristiani sappiano che egli é in compagnia di Sila e che questi ha controfirmato una lettera di chiaro stampo antisemita e favorevole alla conversione dei pagani.
Inoltre intende difendere la sua predicazione dagli attacchi dei giudeo-cristiani a Tessalonica e quindi esalta oltre misura quella chiesa per ottenerne riconoscenza e nel contempo per segnalare ed identificare il possibile nemico.
Sebbene abbiamo già mostrato che lo scopo ispiratore di questa lettera non sia quello puramente dottrinario, Paolo riserva comunque un capitolo, dei quattro di cui é composta la lettera, agli insegnamenti morali.
In realtà il contenuto dogmatico e morale é estremamente ristretto, e possiamo riassumerlo nei seguenti punti:
Nel complesso la preoccupazione di Paolo per gli aspetti solidaristici (economici, anche se mai esplicitamente nominati), prevale fortemente sulla pare puramente morale e dottrinaria.
E' interessante notare che se la datazione della lettera é corretta se ne desume che le Chiese fondate da Paolo erano già organizzate secondo non ben definite gerarchie "ecclesiastiche".
Essenziale, é invece, il contenuto dogmatico della lettera che espone il principio della resurrezione dei morti.
Rifacendosi alla resurrezione di Gesù, Paolo ricorda ai Tessalonicesi, che coloro che sono morti seguendo Cristo risorgeranno nel giorno del giudizio.
Va, però, constatata l'ambiguità con la quale Paolo parla di tale resurrezione, ambiguità che indurrà i Tessalonicesi a pensare (certamente non a torto, come vedremo nella seconda lettera), ad una imminenza dell'evento, Paolo, infatti scrive:
Tes 4,13 Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.
Paolo, quindi, utilizza la minaccia della imminente resurrezione come strumento per ottenere una "maggiore attenzione e rispetto" da parte dei Tessalonicesi .
La paura della imminenza del giudizio é funzionale all'obiettivo di salvaguardare la sua Chiesa, e, visto l'interesse che Paolo mostra indirettamente per l'aspetto economico, anche fonte di sostentamento e autosostentamento che essa rappresentava.
E' interessante notare il richiamo esplicito che Paolo fa alla impossibilità di prevedere il momento del giudizio finale:
Tes 5,1 Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.
In questo richiamo sembrano riecheggiare le parole che nel capitolo 24 di Matteo vengono utilizzate da Gesù per descrivere gli ultimi giorni.
Il fatto é relativamente strano sia perché, come abbiamo avuto occasione di mostrare in precedenza, richiami espliciti al Vangelo o alle parole di Gesù, nelle lettere di Paolo, sono estremamente rari se non quasi del tutto assenti , sia ricordando quanto si é detto in precedenza relativamente alla ipotesi che il Vangelo di Matteo esistesse già fin dal 52 e che fosse quello utilizzato dai Giudeo cristiani.
Vediamo in rapida sequenza i brani cui facciamo riferimento:
Matteo 24,36 Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
Matteo 24:43
Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.Matteo 24,27 Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo
Ancor più sbalorditiva e la somiglianza tra la versione fornita da Paolo della resurrezione dei morti ed i richiami che si ritrovano in Matteo:Matteo 22:31
Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi».Matteo 27:52
i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.L'impressione che si ha nella lettera é che Paolo abbia "dimenticato" di fornire ai Tessalonicesi un importante insegnamento: quello della resurrezione dei morti.
La cosa appare anomala sia perché la resurrezione sarà, nelle altre lettere, un argomento essenziale della teologia paolina, sia perché sembra strano che un elemento così importante (se si pensa al nesso tra esso e la funzione salvifica della resurrezione di Cristo) sia stato ignorato durante la lunga predicazione svoltasi a Tessalonica e che sia necessario una appendice a quella predicazione affidata ad una frettolosa lettera.
E' difficile credere che Paolo sia già in possesso del Vangelo di Matteo, egli, del resto, sembra rifarsi solo vagamente ai discorsi pronunciati da Gesù.
E', quindi, possibile che Paolo sia venuto a conoscenza dei contenuti portati dalla predicazione dei suoi avversari Giudeo Cristiani, che probabilmente già facevano usi del Vangelo di Matteo tradotto in Greco, e che da questi abbia appreso anche in forma sparsa, alcune parole di Gesù. In quest'ottica non vuole che i Tessalonicesi sappiano che egli ignorava completamente un aspetto così importante del Vangelo quale la resurrezione.
Partendo da quanto detto relativamente alla datazione degli Atti (per la quale abbiamo fornito vari indizi che la collocherebbero intorno al 62 d.c.) la non conoscenza di quel testo che nella lettera si evince (dall'episodio di Timoteo) avvalorerebbe una sua datazione anteriore al 62 d.c e sarebbe un tassello a favore della sua autenticità.
Questa datazione porterebbe anche ad una ulteriore importante conclusione per la fede: le parole di Gesù relative al giudizio finale, alla fine dei tempi e quindi anche alla catastrofica fine di Israele culminata con la distruzione del Tempio, sarebbero una autentica profezia.
Nel contempo verrebbero inficiate anche le tesi che, proprio fondandosi sulla chiarezza e sul dettaglio di tale profezia, ritengono che essa possa essere stata scritta solo dopo la reale distruzione del Tempio, e che quindi che la stesura dei Vangeli sia successiva al 70 d.c.
La evidente serie di anomalie rispetto al complesso dell'epistolario paolino, sembrerebbe far propendere per una non autenticità della stessa, eppure é proprio quella serie di anomalie e la comparazione con il periodo storico ipotetico della stesura che ne confermano l'autenticità o quantomeno la datazione.
La prima evidente anomalia é l'assenza della autoidentificazione con cui Paolo suole aprire le lettere: quella di "apostolo".
Inoltre abbiamo evidenziato la particolare attenzione che nella lettera viene data al riferimento storico, che comunque contrasta con Atti per quanto attiene Timoteo.
Ancora, si é fatto notare come la lettera non solo non accenna ai temi tradizionali delle lettere paoline (quello della resurrezione del Cristo e della sua funzione di liberazione dalla Legge), ma, in essa, l'autore dichiara di aver "dimenticato" di istruire i Tessalonicesi su un argomento che é parallelo a quello della resurrezione del Cristo: la resurrezione dei morti.
Ancora, abbiamo mostrato come l'autore appare preoccupato per una offensiva contro l'evangelizzazione di Paolo promossa dai giudeo cristiani, e quindi intende, prima di tutto, difendere l'operato dell'apostolo e ricordarne la grandezza.
Infine abbiamo anche fatto notare come la presenza di una terminologia così esplicitamente antisemita, sia un elemento nuovo rispetto all'epistolario.
Tutto questo ci fa chiaramente escludere che si tratti di una lettera postuma, vediamone i dettaglio i motivi.
Se anche si vuole ammettere (cosa per altro difficilmente sostenibile, come abbiamo in precedenza mostrato) una post datazione degli anni (dopo il 70 d.c.), per spiegare la chiara ignoranza dell'autore in merito a tale opera, resta il fatto che l'autore, che pure si spaccerebbe per Paolo e pretenderebbe di difenderlo contro le accuse dei giudeo-cristiani, non solo non conosce alcuna lettera dell'epistolario (che da Pietro 2, anche ricordando che é un falso postumo, sappiamo essersi completamente formato molto presto), ma ignora anche i principi della teologia paolina.
Questo ci pare francamente assurdo, se si pensa soprattutto alla preminente funzione di autodifesa che la lettera costituisce.
Risulterebbe, inoltre, strano, se si suppone la postdatazione, che l'autore oltre a non conosce le lettere e gli atti, conosca il contenuto di alcuni dei detti di Gesù, ma probabilmente non in forma completa e quindi non tratto da uno dei vangeli canonici.
Sono, quindi, proprio quelle anomalie che ci fanno propendere verso una stesura di quel testo all'anno 52.
Ciò, comunque non risolve ancora il problema dell'autenticità, che ritorna leggendo la seconda lettera ai Tessalonicesi, e il chiaro richiamo in essa presente alla prima dichiarata "falsa".Quest'argomento sarà oggetto dei successivi paragrafi.
La datazione precisa di questa seconda lettera é resa più ardua dall'assenza di espliciti riferimenti storici, ma la citazione di una precedente falsa lettera in cui si annunciava la imminenza del "Giorno del Signore" é per diversi aspetti illuminante:
Tes 2,1 Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente.
Abbiamo già fatto notare l'ambiguità con la quale nella prima lettera si narrava della fine dei tempi, e questa epistola non può che riferirsi a quel brano.
Gli elementi che, comunque, denotano inequivocabilmente la conoscenza della precedente lettera sono molteplici, di seguito compariamo alcuni dei brani che portano a questa conclusione.
Il saluto
Entrambe le lettera aprono con un saluto praticamente identico e completamente diverso da quello presente nella restante parte dell'epistolario paolino:
Tes 1 1,1 Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace!
Tes 2 2,1 Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.
Il ringraziamento a Dio per la tenuta della Fede nella Chiesa
Entrambe le lettere contengono un ringraziamento a Dio per la tenuta della fede nella chiesa di Tessalonica.
Anche questo riferimento é sbalorditivamente simile non solo per contenuti ma anche per forma
Tes 1 1 Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente [3]memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo.
Tes 2 1,3 Dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto. La vostra fede infatti cresce rigogliosamente e abbonda la vostra carità vicendevole
Esaltazione della fama dei Tessalonicesi presso le altre chiese e richiamo alle persecuzioni subite
La comparazione fa emergere, come l'autore della seconda lettera abbia tra le mani la prima e intenda riportarne il contenuto in forma sintetica.
Tes 1 1,6 E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione
Tes 2 1,4 così noi possiamo gloriarci di voi nelle Chiese di Dio, per la vostra fermezza e per la vostra fede in tutte le persecuzioni e tribolazioni che sopportate
Abbiamo chiaramente mostrato come l'autore della seconda lettera conosca la prima e la utilizzi come canovaccio.
Quello che appare strano e che se da un lato l'autore della seconda lettera si preoccupa di mantenere il più possibile inalterate sia la forma che gran parte del contenuto della prima lettera, dall'altro ne smentisce chiaramente l'autenticità affermando:
Tes 2 2,1 Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, [2]di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente
L'autore é talmente preoccupato della possibilità che si diffondano falsi a nome di Paolo decide di apporvi il sigillo di autenticità nella parte finale:
Tes 2 3,17 Questo saluto è di mia mano, di Paolo; ciò serve come segno di autenticazione per ogni lettera; io scrivo così. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.
Ovviamente non possedendo l'originale questa più che essere una prova di autenticità prova, semmai, il contrario, ma torneremo in seguito su questo argomento.
Siamo, quindi, di fronte ad un particolare tipo di "Errata Corrige", ma perché conservare un contenuto morale così esiguo (come vedremo nel successivo paragrafo), ed una forma così inconsueta, sacrificando i riferimenti storici della prima lettera, i riferimenti manifestamente antisemitici e, puntando, l'attenzione sulla imminenza della fine dei tempi (commentata sempre nel successivo paragrafo)?
L'autore vuol farci credere che i reale motivo che spinge Paolo a scrivere la lettera sia la preoccupazione che si diffondano a suo nome, profezie di una imminente venuta che non vi sarà (almeno a breve termine), dichiara falsa una lettera precedente eppure la utilizza a piene mani.
Il problema delle finalità di questa lettera non può essere risolto se non si affronta prima il problema del contenuto morale e dogmatico e quello dell'autenticità.
Gli insegnamenti morali di questa epistola sono, se é possibile, ancor più esigui della prima, poichè, come già detto, vengono parzialmente richiamati senza alcuna aggiunta o approfondimento:
null'altro.
Vediamo, quindi, cosa manca:
E' quindi evidente che se nella prima epistola poteva essere prevalente l'interesse per l'autodifesa personale sacrificando quello moralistico, nella seconda l'aspetto moralistico e l'insegnamento sembrano essere del tutto secondari.
L'unico aspetto morale che prevale su tutto é la severa ammonizione contro l'ozio.
L'interesse per l'ozio non si spiega se non si contrappone alla sezione in cui Paolo ricorda il suo impegno nel lavoro:
Tes 2 3,7 Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi.
Infatti Paolo ricorda come egli stesso lavori, ma nel contempo reclama anche il suo diritto a non farlo.
Questo richiamo va comparato con quello che Paolo stesso scrive nella prima lettera ai Corinti:
Cor 1 9,6 Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così.Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi?Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza.Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l'avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo.
Il principio esposto é lo stesso, come é analoga la richiesta implicita di sovvenzione pur nell'orgoglio di non richiederla, cambia unicamente la forma.
Questo "uso" dialettico della doppia contrapposizione e della richiedere senza richiedere, lascerebbe protendere per l'autenticità della lettera: ma se questo é vero perché l'autore "copia" l'originale e taglia alcune parti?
La risposta potrebbe essere proprio nelle omissioni presenti nella lettera, che non sono solo legate alla esigenza di negare la vicinanza della fine dei tempi, ma soprattutto a quella di negare l'autenticità di una lettera nella quale vi erano:
Abbiamo già fatto notare come Sila, a nostro avviso, per la particolare funzione di "controllo" che aveva sull'operato di Paolo, non avrebbe mai potuto accettare frasi così dichiaratamente antigiudaiche, e, inoltre, si sarebbe guardato bene dall'utilizzare per se stesso il termine "apostolo".
L'ipotesi del falso sarebbe difficilmente sostenibile, soprattutto se lo si colloca dopo la morte dell'apostolo, anche osservando che, a quel punto non sarebbe stata necessaria alcuna smentita sulla inattendibilità della profezia riguardante l'imminenza della fine dei tempi (collocata dalla prima lettera, nel periodo in cui Paolo stesso era ancora in vita), poichè la morte stessa dell'apostolo le avrebbe automaticamente attribuito un significato "metaforico".
Riteniamo, quindi, che entrambe le lettere portino la firma di Paolo, resta unicamente da spiegare perché la seconda smentisce la prima.
A nostro avviso, la prima lettera, scritta dall'apostolo in assenza di Sila, era giunta nelle mani di Sila dalla vicina Tessalonica.
Sila, rimasto a Berea con Timoteo, più di quanto l'apostolo avesse previsto probabilmente raggiunse Paolo per chiedergli spiegazioni.
Paolo letta la lettera ne avrà probabilmente sminuito la portata affermando che "qualcuno" affascinato dall'apostolo ne aveva voluto prendere le parti attraverso una lettera apocrifa.
A questa spiegazione Sila, probabilmente, credette poco e comunque volle che quel falso fosse apertamente smentito soprattutto perché la sezione antisemitica lo poneva in cattiva luce nei confronti del consiglio degli anziani che avrebbe incontrato di li a poco.
Paolo acconsentì alla stesura, ma, probabilmente, chiese a Sila di omettere le sezioni incriminate, lasciando i giusti insegnamenti che pure vi erano in quel "falso".
Probabilmente chiese anche a Sila che fosse comunque trovata una "scusa" che spiegasse a sufficienza l'invio di 2 lettere in così breve tempo e che mascherasse la reale preoccupazione di Sila.
E' possibile che in merito all'atteggiamento nei confronti dei giudei Paolo avesse fatto notare a Sila come, anche nell'esagerazione di quella lettera, le sue parole fossero motivate da una reale persecuzione e quindi, probabilmente, Paolo si rifiutò di negare le parole antigiudaiche e fu raggiunto un accordo che salvaguardò le idee di Paolo, ma nel contempo consentì a Sila di liberarsi dalla pericolosa e falsa accusa di antigiudaismo.
Ponendosi in quest'ottica, la profezia sull'Anticristo assume una veste completamente diversa, prima di discuterla, però, vediamone il contenuto.
Rileggiamo la profezia:
Tes 2 2,3 Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio.
Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora.Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.
Per comprendere a fondo la profezia é necessario, prima di tutto, soffermarsi sul termine "iniquità".
L'ambiguità del termine che sembra esservi nel paragrafo in cui Paolo introduce il figlio della perdizione, viene chiarita alla fine della sezione citata.
In essa si parla chiaramente di menzogna e di inganno e si contrappone la verità alla "iniquità" che assume quindi il chiaro sinonimo di menzogna, dice infatti Paolo:
...così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità...
In pratica l'uomo dell'iniquità non é altro che l'Uomo di Menzogna, e a questo punto non può che tornarci in mente il famoso uomo di menzogna del Pesher su Abacuc ritrovato a Qumran e che il prof. Eisenmann associa proprio a Paolo di Tarso.
Riecheggiano anche le parole che Eusebio usa per caratterizzare l'idea che gli Ebioniti avevano di Paolo:
"...(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge...". (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).
In pratica Sila, capito l'inganno che si celava dietro la prima lettera di Paolo, sarebbe riuscito a far firmare a Paolo una dichiarazione in cui egli stesso parla dell'Uomo di Menzogna (l'anticristo) e si autoattribuisce quel titolo nello stesso momento in cui smentisce la sua precedente lettera.
Se si danno per scontati i legami tra la comunità di Gerusalemme e Qumran (almeno come origine), Sila ben conosceva dalle scritture qumramensi la figura dell'Uomo di Menzogna che, probabilmente, era ignota a Paolo.
Ma analizziamo meglio la figura dell'Anticristo come appare dalla descrizione che Sila ne da per mano di Paolo.
La profezia che é contenuta nella lettera fa chiaramente intendere che la diffusione della apostasia e quindi delle idee menzognere dell'Uomo di Menzogna, precede la sua "manifestazione". Quindi sarà prima necessario che si diffondano le menzogne dell'anticristo prima che egli si riveli come tale.
L'anticristo si proclamerà sopra ogni Dio vero o falso e si proclamerà egli stesso Dio fino a sedersi nel Tempio.
L'Uomo di Menzogna é anche capace di prodigi menzogneri; nel brano che riportiamo, ancora una volta il concetto di iniquità é associato a quello di menzogna
Tes2 2,8 Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.
Se supponiamo che questi brani siano stati voluti da Sila e che Sila, unico conoscitore della profezia, l'abbia diffusa tra i Tessalonicesi all'insaputa di Paolo (o nella sua indifferenza), assumono un inquietante significato le sibilline parole che Sila pronuncia:
Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora.Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene
Sila aveva previsto il tradimento di Paolo e lo aveva preannunciato ai Tessalonicesi, inoltre, con un abile mossa, prova ad incastrare Paolo costringendolo a firmare due lettere in cui egli smentisce se stesso nello stesso momento in cui parla dell'Uomo di Menzogna.
A questo punto non sappiamo cosa accadde, ma é certo che Sila scompare dagli Atti
Le coincidenze ci sembrano davvero troppe per essere ancora ritenute tali.