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I Rapporti tra Pietro e Paolo attraverso le lettere e gli Atti.

La patristica e la tradizione cattolica ci ha tramandato storie di rapporti   estremamente stretti e proficui tra i due apostoli (sempre che, stante l'anomalia rappresentata da Paolo, lo si voglia tributare di questo appellativo), ma, almeno stando alle lettere, quei rapporti, oltre che essere rarissimi, sono sempre stati estremamente ambigui.

Entriamo nel dettaglio.

Le uniche lettere di Paolo in cui compare il nome di Cefa sono Corinti I, Corinti II e Galati.

Rileggendo Atti e le lettere, il numero degli episodi che vedono Pietro e Paolo insieme sono 3:

- il primo viaggio a Gerusalemme per la prima presentazione di Paolo al primo degli apostoli,

Gal 1,[18]In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni;

presentazione per la quale fu necessario l'intervento di Barnaba visto che Paolo non godeva di buona fama (resteranno insieme per 15 giorni),

- il secondo per il Concilio causato dalla anomala predicazione di Paolo

Atti 15,[2]Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione

- e l'ultimo, ad Antiochia, durante il quale avviene lo scontro tra Paolo e Pietro in merito alle usanze imposte dalla Legge riguardo la possibilità di prendere cibo con i pagani.

Atti 2,[11]Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto

In pratica una manciata di giorni che, come lo stesso Paolo afferma in Galati, erano assolutamente insufficienti a garantire un diretto collegamento tra la predicazione di Paolo e quella di Pietro.

Dopo il discusso episodio di Antiochia, Pietro scompare da Atti, e riappare unicamente in due controversi episodi delle lettere di Paolo:

- la prima lettera ai Corinzi, in cui si parla delle divisioni sorte tra i nuovi evangelizzati

1 Cor 1,[12]Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!».

in merito alla appartenenza alla predicazione di Paolo, di Pietro o di Apollo

- di nuovo la prima lettera ai Corinzi, in cui si parla del diritto, che a Paolo viene negato, di portare una donna (che come illustrato nel precedente capitolo, sappiamo essere la moglie di Pietro Maria) con se e di farsi sostenere economicamente dagli evangelizzati come facevano Pietro e gli altri apostoli

1 Cor 9,[5]Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? [6]Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare?

- e ancora e per l'ultima volta nella prima lettera ai Corinzi, ma solo per narrare della resurrezione di Gesù e della sua apparizione a Pietro ed ai 12

1 Cor 15,[3]Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, [4]fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, [5]e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. [6]In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. [7]Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. [8]Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

Il motivo di questa scomparsa lo troviamo nella lettera successiva ove Paolo parla in termine dispregiativo dei <<superapostoli>> intendendo chiaramente i 12 e quindi anche Pietro.

Cor 11,[4]Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo.

[5]Ora io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi «superapostoli»!

Nel brano Paolo dice di non essere inferiore in nulla a loro che, come si legge, predicavano un Vangelo diverso dal suo.

A puro titolo di curiosità, facciamo notare il brano immediatamente seguente in cui, Paolo, che nella prima lettera diceva di autosostenersi con il proprio lavoro,

2 Cor 1,[6]Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare?

[7]E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? [8]Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. [9]Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? [10]Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. [11]Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? [12]Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l'avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo. [13]Non sapete che coloro che celebrano il culto traggono il vitto dal culto, e coloro che attendono all'altare hanno parte dell'altare? [14]Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo.

[15]Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo con me; preferirei piuttosto morire.

dice addirittura di aver "spogliato" le altre chiese per garantirsi l'autosostentamento e per garantire la predicazione ai Corinzi.

2 Cor 1,[8]Ho spogliato altre Chiese accettando da loro il necessario per vivere, allo scopo di servire voi.

Ritornando ai rapporti tra i due "apostoli".

Esiste un solo altro documento in cui, in maniera estremamente anomala, ricompare la figura di Paolo: la seconda lettera di Pietro.

Nella seconda di Pietro, le lettere di Paolo

2 Pietro 3,[15]La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data;[16]così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.

vengono citate addirittura alla stregua delle sacre scritture, e Pietro ne vieta una interpretazione autonoma poiché, certamente, non corretta. Esiste un unico problema: quella lettera é, ormai, universalmente nota come un falso.

Questa convinzione é oggi, talmente radicata, da costringere la stessa CEI, nella versione della Bibbia datata 1989 ad aprire la prefazione come segue: "alcuni elementi che hanno fatto pensare ad un tempo piuttosto avanzato..., hanno fatto pensare che il redattore della lettera sia un discepolo dell'apostolo che rimaneggia materiale pietrino o scrive in proprio, nella linea dell'insegnamento di Pietro,a ttribuendogli lo scritto con un artificio letterario (notare l'eufemismo adottato per descrivere il falso storico riconosciuto) , frequente in quell'epoca nel mondo Giudaico e noto anche alla Bibbia."

Se la prefazione assolve dall'aver scelto di mantenere questo falso tra gli scritti del NT per i contenuti morali in esso presenti (sempre che si possa considerare "morale" un falso), non autorizza affatto ad utilizzare questo scritto, per altro estremamente tardo (vedi quale argomento quello della "conflagrazione cosmica") quale documento comprovante il legame tra Pietro e Paolo.

Semmai, la stessa stesura di questo falso attesta la impossibiltà che esisteva, già nel secondo secolo, di ritrovare un qualunque testo databile al primo secolo che comprovasse i rapporti stretti tra i due apostoli.

Questa impossibilità é sfociata nella stesura del falso che aveva il compito di coprire in maniera definitiva, la valanga di dubbi che, evidentemente, sorgevano allora come oggi, sulla reale consistenza di  tanto decantata unità di intenti tra Pietro e Paolo.

Se non si vuole ricorrere alle deliranti storielline degli Atti apocrifi o le inattendibili e tarde tesi della patristica, che sono un chiaro e postumo tentativo di avvalorare la vicinanza di intenti tra Paolo e Pietro almeno a Roma, non ci resta altro.

I documenti, sia per contenuti che per sequenza storica non solo non dimostrano la vicinanza tra i due apostoli, ma ne segnalano sempre il distacco netto  dopo il dissidio sorto ad Antiochia.

La posizione di Paolo, almeno dai documenti con paternità più affidabile, emerge sempre più come isolata, e non condivisa, ai limiti della rottura, che, almeno a nostro avviso, é avvenuta il giorno della Pentecoste come si é cercato di dimostrare nel primo capitolo del presente lavoro sulla base del Documento di Damasco della lettera ai Galati e degli Atti.

Ma c'è di più, il fatto che ci siano pervenuti come affidabili, documenti quali la seconda lettera di Pietro ed il Vangelo di Marco e lo stesso Luca (sul quale ritorneremo nel successivo capitolo),  la  opprimente presenza della teologia paolina in tutto il NT, la presenza, anche tra gli apocrifi, di testi che assumono la funzione di disperato tentativo di modificare la chiara interpretazione documentale degli scritti autografi di Paolo e di dimostrare che Pietro e Paolo operavano all'unisono, o anche, tutto l'operato antieretico promosso dalla patristica che a prodotto le discutibili epurazioni che oggi conosciamo (leggi apocrifi), stendono una luce inconfondibile sulla storia delle prime comunità cristiane: quella dello scisma tra  le posizioni dei giudeo-cristiani basate sulla predicazione dei 12 apostoli, guidati da Pietro, Giacomo e Giovanni e il Cristianesimo paolino unico sopravissuto all'interno delle correnti del Cattolicesimo primitivo.

 

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