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La ricostruzione

La ricostruzione

La ricostruzione storica

Nel presente capitolo proveremo a tirare le fila delle deduzioni e degli elementi raccolti nei precedenti capitoli.

Al fine di consentire una valutazione delle parti della ricostruzione che a nostro avviso si presentano più solide, da quelle che sono unicamente ipotesi plausibili nel contesto della ricostruzione ma che non sono state completamente dimostrate, abbiamo evidenziato tali parti in corsivo e con un carattere più piccolo.

La prima comunità cristiana nata dopo la morte di Gesù aveva la sua sede principale a Gerusalemme.

Questa era originariamente composta unicamente da ebrei divenuti cristiani, che non avevano abbandonato le usanze imposte dalla Legge e che si erano integrati nel complesso tessuto delle sette della giudea andandosi ad aggiungere agli Zeloti, ai Farisei , ai Sadducei ed agli Esseni.

La comunità, viveva in povertà e comunione dei beni, l'organo decisionale era rappresentato dalla assemblea degli anziani, il cui massimo esponente era Giacomo il Giusto (fratello del Signore).

Alcuni degli ebrei - cristiani erano stati sacerdoti che facevano servizio al Tempio.

Una spia di nome Saul nato a Tarso in Cilicia, fariseo per studi e mentalità, al soldo dei romani figlio, a sua volta, di un delatore dei romani che aveva ottenuto la cittadinanza per i servizi resi, fa la comparsa sulla scena.

I romani, preoccupati dai continui attacchi degli Zeloti e soprattutto dal pericolo rappresentato da quel personaggio che essi chiamavano il Messia e che sarebbe dovuto divenire il nuovo re di Israele, liberandolo dalla tirannia romana, cominciano una guerra serrata al neo nato movimento cristiano, visto come realizzazione di quella utopia.

Uccidono per mano del procuratore Pilato e del sacerdote Caifa, Gesù che veniva ritenuto l'Unto che gli ebrei attendevano quale nuovo re, e cercano di sterminare quelli che avevano avuto a che fare con quell'uomo.

Approfittando del suo mestiere di costruttore di tende, la spia Paolo riusciva, da un lato a operare al fiano dei romani che sicuramente avevano bisogno di tende per gli accampamenti, e dall'altro, approfittando della possibilità di disporre di pelli di animali sacrificati, materia prima per la sua attività, riusciva anche a frquentare il Tempio con assiduità e quindi a mantenere rapporti stretti con il sommo sacerdote Caifa.

Le sue informazioni, preziose per i romani, venivano trasferite al sommo sacerdote Caifa; questi le utilizzava sia per promuovere autonome azioni di repressione sia trasferendole, ai romani quando riguardavano territori che non erano sotto la sua diretta giurisdizione.

Il cambio di politica avvenuto, con la destituzione di Pilato e di Caifa, e promosso da Claudio, ha forti ripercussioni sulla vita di Saul.

 

I romani, visti gli scarsi successi di una politica rigida basata unicamente sulla repressione e sul servilismo di personaggi ambigui quali Caifa, preferiscono, come era loro più congeniale, una linea diversa basata sul semplice controllo indiretto delle situazioni potenzialmente pericolose.

Probabilmente provarono ad inserire infiltrati tra i cristiani per comprenderne meglio i punti di debolezza e se possibile per generare divisioni al loro interno.

 

La spia Paolo, inviata dai romani in precedenza a Damasco ove si era generata una difficile situazione, (la zona non rientrava nella giurisdizione di Caifa, che quindi nulla può aver a che fare con quel viaggio), vi rimane 3 anni.

Nel momento in cui avviene la destituzione di Caifa e di Pilato, Paolo perde i suoi punti di riferimento.

Egli, compresa la nuova politica romana, decide di proporsi quale strumento per una diversa soluzione del problema rappresentato dai giudeo - cristiani.

Riesce, a farsi riconoscere come cristiano pentitosi del suo precedente operato e comincia, in un primo momento, la sua opera con mansioni analoghe a quelle che aveva in precedenza: quelle di semplice delatore.

Il suo passato, comunque, peserà sempre nella opera di evangelizzazione generando sospetti fin dal primo incontro con Pietro.

Nel mondo giudeo- cristiano, al problema inerente la necessità di evangelizzare anche i pagani, se ne era aggiunto un'altro non meno spinoso: quello di imporre loro la circoncisione secondo le regole della Legge.

Paolo di Tarso, aveva affrontato il problema semplicemente non richiedendola per i nuovi adepti, ma senza far precedere, a tale ardita decisione, alcuna autorizzazione esplicita della Chiesa gerosolomitana.

Marco, figlio di Pietro ed accompagnatore di Paolo e Barnaba in una delle prime missioni, avendo verificato di persona che vi erano componenti difficilmente accettabili nella predicazione di Paolo, prima tra tutte il non imporre la circoncisione, decise di lasciarlo e di ritornare a Gerusalemme per sottoporre la questione al consiglio degli anziani che indisse il primo Concilio.

La posizione conciliante di Giacomo e Pietro fu immediatamente chiara, essi decisero di non imporre la circoncisione ai nuovi convertiti, l'insegnamento dei dettami della Legge, veniva semplicemente posticipato, per evitare di introdurre elementi che avrebbero creato obiettivi ostacoli alla predicazione, come, appunto, la circoncisione.

Giacomo e gli anziani imposero, comunque, ai pagani, almeno nelle prime fasi della evangelizzazione, alcuni principi inerenti la dieta alimentare, considerando che i nuovi convertiti avrebbero potuto apprendere i principi della Legge presso le sinagoghe, ed, a quel punto, avrebbero accettato anche la circoncisione come indispensabile necessità.

La fiducia in Paolo dovette essere scarsa dopo il Concilio, se si decise di inviare, insieme a Paolo, Giuda e Sila. Va ricordato che Giuda era il fratello di Giacomo e quindi fratellastro del Signore, in pratica furono inviati esponenti estremamente affidabili.

Tito, discepolo di Paolo, non fu fatto circoncidere, nel rispetto delle decisioni prese dal consiglio.

Successivamente al Concilio, Paolo ebbe la possibilità di trascorrere un breve periodo di tempo con Pietro, Barnaba e Sila ad Antiochia.

L'arrivo di alcuni messi di Giacomo sconvolse quel periodo di calma temporanea.

Pietro che in precedenza aveva accettato di pranzare con i pagani, preferì, per riguardo a Giacomo ed ai messi giudeo-Cristiani, di astenersi da atteggiamenti che potessero risultare eccessivamente permissivi.

Paolo, probabilmente con meno foga di quella che traspare dalla lettera ai Galati, fece notare a Pietro il suo atteggiamento ambiguo e maturò in silenzio la sua futura separazione.

Barnaba, che ben conosceva Paolo, approfitto del rifiuto di questi di portare Marco nelle future peregrinazioni, per abbandonare definitivamente un amico (Paolo) del quale non condivideva più idee divenute troppo distanti dalle sue e da quelle dei giudeo - cristiani e soprattutto della Chiesa di Gerusalemme.

Non si tratto di una rottura con il Giudeo Cristianesimo, e lo testimonia la presenza di Sila al fianco di Paolo quale osservatore.

A questo punto, Paolo decise di fare un gesto che mostrasse chiaramente che egli non aveva atteggiamenti ostili verso la Legge: decise, pur sapendo che non era necessario, di far circoncidere Timoteo.

 

A Roma a Claudio succede Nerone, e probabilmente la missione di Paolo come spia viene estesa, l'obiettivo é, ora, arginare l'espansione di quella pericolosa setta, fomentare disordini e adeguarla agli interessi di Roma.

 

Paolo, sotto la supervisione di Sila, iniziò a maturare il substrato teologico a supporto dell'abbandono definitivo della Legge.

Lo spirito conciliante di Pietro e Giacomo fu, quindi, utilizzato da Paolo per prendere tempo e per continuare a muoversi con una certa liberà nella sua opera di evangelizzazione.

Lo stesso spirito di conciliazione fu mal accettato dai restanti Giudeo - Cristiani e da una parte dei dodici che non si era ancora allontanata da Gerusalemme.

Questi ultimi erano certi, non a torto, che Paolo avesse intenzioni che andavano ben oltre la semplice non imposizione della circoncisione.

Durante la supervisione di Sila si tennero a distanza da Paolo, e del resto Paolo (lo testimoniano le lettere ai Tessalonicesi), si comporto in modo da non destare sospetti.

Fu in quel periodo che Paolo fece redigere, sotto la sua supervisione e probabilmente quella di Sila, una traduzione in greco ridotta del Vangelo di Matteo, originariamente scritto in ebraico. In quella traduzione egli evitò di sottolineare tutti quegli aspetti inerenti la Legge che sarebbero potuti rivelarsi controproducenti per la futura predicazione anti - legalista che andava meditando da tempo.

Quella versione del Vangelo fu scritta ad Efeso durante la lunga permanenza di Paolo.

Per la stesura del testo Paolo utilizzò la felice condizione venutasi a creare in quella città a causa dell’arrivo da Roma di alcuni giudeo-cristiani fuggiti a causa della persecuzione scoppiata sotto il regno di Claudio.

Questi giudeo-cristiani, tra cui v’erano anche alcuni parenti di Paolo tra cui la mamma ed il fratello Rufo, erano stati battezzati con il rito giovanneo e non erano a conoscenza della venuta del Messia e della sua morte.

Paolo ebbe terreno agevole e sgombro dai contrasti giudeo-cristiani.

Per garantire un supporto cartaceo al suo Vangelo prese spunto dal testo ebraico di Matteo e affiancò uno di questi nei discepoli, nella redazione di una verisone opportunamente ridotta in greco di tale testo.

Il discepolo di lingua latina, buon conoscitore dell’ebraico, dell’aramaico ma pessimo conoscitore del greco (che probabilmente adoperava unicamente come strumento per gli scambi commerciali), scrisse un testo che proprio per il suo linguaggio approssimativo, avvalorava la tesi di una diretta connessione dell’autore con i fatti narrati.

Il testo greco fu portato, poi, a Roma appena terminata la persecuzione di Claudio accompagnato da una lettera e dal ritorno dello sparuto gruppo di ebrei romani che si erano in precedenza rifugiati ad Efeso.

E’ a Roma che insieme alla legenda inerente il viaggio di Pietro nella capitale, si sviluppo anche quella parallela della identificazione dell’autore con Marco e quindi della connessione di questo testo al primo degli apostoli.

Ma torniamo a Paolo, in particolare torniamo a qualche anno prima della stesura di Marco.

Paolo aveva da poco lasciato Sila e Timoteo e, da poco, s’era inmattuto nei suoi oppositori giudeo-cristiani.

Approfittando della momentanea solitudine elaborò, ad Atene, la sua prima epistolia: la prima lettera ai Tessalonicesi.

In essa, mentendo, asserì d’essere in compagnia di Sila e Timoteo e, insieme a quelle che diverranno le consuete raccomandazioni delle successive lettere, iserì, per la prima volta, una accusa generica e di stampo chiaramente antisemita, non dirtta contro i soli nemici giudeo-cristiani, ma contro tutti i giudei colpevoli della morte di Gesù.

Sila, appena venuto a conoscenza della lettera chiese a Paolo spiegazioni, e questi, probabilmente, gli parlò di un falso che qualcuno aveva fatto scrivere a suo nome.

Sila, fingendo di credere a Paolo, gli chiese, comunque, di redigere una lettera simile, ma priva del contenuto antisemita presente nella prima lettera.

Nacque così la seconda lettera ai Tessalonicesi.

 

In questa lettera, però, Sila non mancò di far aggiungere un tocco di furbizia estrema che Paolo non comprese: Sila costrinse Paolo a parlare dell’uomo di Iniquità, personaggio notissimo agli Esseni di Qumran con il nome di “Uomo di Menzogna” che probabilmente componevano l’intera matrice giudaico-cristiana del neo nato Cristianeismo.

In pratica Sila costrunse Paolo ad autodefinirsi l’Uomo di Menzogna.

 

Questo fu il suo ultimo Atto prima di lasciare Paolo e tornare nella allora capitale della cristianità: Gerusalemme.

Sila tornato a Gerusalemme riferì agli anziani del comportamento di Paolo e questi lo convocarono.

Nel frattempo Paolo, libero dall’ingombrante presenza di Sila dichiarò, a Corinto, definitivamente chiusa la sua esperienza di evangelizzatore dei giudei, e emblematicamente, sigillò questa decisione con le medesime parole che troviamo nel Vangelo di Matteo con le quali i giudei si automaledicono addossandosi interamente la colpa per la morte di Gesù “il suo sangue ricada su di Noi e sui nostri figli”

Non sappiamo cosa si dissero a Gerusalemme Paolo e gli anziani, anche perché Paolo fece in modo che non vi fossero suoi discepoli a quell'incontro.

Fu allora che si decise di abandonare Paolo lasciandolo alla predicazione, ritenuta a torto innocua, diretta ai soli pagani.

Non fu, però, una totale apertura di credito ma, probabilmente, il desiderio di verificare quale sarebbe stato l’atteggiamento di Paolo una volta che si fosse ritenuto libero di agire.

A tale scopo essi probabilmente, conclusero l’incontro aggiungendo, anche, un ultimatum: se si fosse venuto a sapere che aveva abusato di quella libertà sarebbe stato convocato a Gerusalemme per l'estremo atto di sottomissione: in quel caso non avrebbe più avuto alterative, la sottomissione o la scomunica.

Paolo, a questo punto, forte di una fiducia che sapeva di non meritare, elabora il suo pensiero in forma di epistolario, ritorna rapidamente in tutte le zone che aveva evangelizzato e porta la evangelizzazione agli estremi confini della Giudea ed oltre.

Comincia ora la parte più importante della sua missione.

 

Paolo doveva disinnescare il potenziale rappresentato dalla predicazione degli altri apostoli.

Il pericolo era duplice, da un lato quella predicazione rischiava di trasformare l'impero da romano a giudeo, dall'altro il messianismo con tutti i rischiosi elementi anti - romani andava fermato, e poteva essere fermato solo manipolando opportunamente la predicazione che era stata in precedenza ascoltata per bocca dei dodici e in parte anche da lui.

 

Paolo, a questo punto, comincia a tracciare con sapienza un percorso che copre tutte le regioni già evangelizzate, e soprattutto precede e fa terra bruciata per la successiva predicazione che sarebbe stata portata dai giudeo - cristiani e dai dodici.

Egli si fa precedere  e seguire da lettere e da messi, fa in modo che ogni regione abbia uno dei suoi discepoli come punto di riferimento e crea, ex novo, la primordiale gerarchia ecclesiastica piramidale centrata sulla sua figura.

Abolisce la Legge eliminando il problema della giudeizzazione dei convertiti e fa avviare la stesura, al suo discepolo Demade (il meno impegnato attivamente nelle predicazioni che toccavano le regioni interne, in quanto marinaio) sia di un nuovo Vangelo tagliato sulle sue tesi (quello erroneamente attribuito a Luca), sia di una autobiografia destinata a correlare la sua figura a quella dei dodici e ad identificarlo come il principale protagonista del Cristianeismo nascente.

Il Vangelo era destinato a spegnere gli aspetti pericolosi connessi alla perennità della Legge presenti nel Vangelo di Matteo, utilizzato dai giudeo - cristiani e sempre rifuiutato (addirittura maledetto in Galati).

Nello stesso tempo, sa che questo gli costerà la scomunica definitiva, e quindi comincia a raccogliere denaro che egli dice é da destinare ai Poveri di Gerusalemme, ma che intende utilizzare in minima parte come sacrificio quando gli verrà chiesta l'abiura del suo pensiero e il sacrificio estremo al Tempio per dimostrare che egli rispetta ancora la Legge.

La funzione principale di quel danaro é, comunque, un'altra: il suo e personale mantenimento, la copertura dei costi della complessa struttura gerarchica che andava creando, il pagamento delle spese dei viaggi continui dei suoi messi ed i suoi stessi e la necessità di disporre di una fonte da cui attingere per eventuali necessarie corruzioni che al tempo dovevano essere frequenti a tutti i livelli (lo stesso Felice, lo trattiene sperando in una ricompensa di denaro per la sua liberazione).

I Giudeo - cristiani, vengono a sapere della anomala predicazione di Paolo, ma troppo tardi, e cercano di ritornare nelle regioni da lui evangelizzate per salvare il salvabile.

Iniziano ad attaccare aspramente Paolo e mostrano con il "loro" Vangelo (quello di Matteo) alla mano, che Paolo ha torto: la Legge non é stata abrogata nemmeno da Gesù.

Inoltre cercano di convincere i convertiti che Paolo é un'apostata che agisce contro il volere di Gerusalemme.

A questo punto Paolo, almeno nelle lettere si svincola definitivamente dalla superiorità dei dodici e si autodichiara apostolo per volontà di Dio (lettera ai Galati), e anche se non attacca mai direttamente i dodici e Cefa, ne critica sempre l'operato pur senza negare la funzione (la funzione primaria e l'importanza dei dodici doveva essere una di quelle verità ormai scontate ed innegabili).

E' a questo punto che a Paolo, tornato a Gerusalemme, viene imposto il sacrificio al Tempio che lui attendeva e che consisteva nel portare una somma in danaro come offerta per la colpa e per il non aver praticato la Legge (non per non averla dichiarata abbolita: questo gli sarebbe costato la scomunica inappellabile).

Gli anziani fingono di non credere alle dicerie su di Lui inerenti la sua teologia antilegalista e lo fanno, probabilmente, per evitare una rottura dalle imprevedibili conseguenze con quel pericoloso ed ambiguo personaggio.

Questa occasione era l'ultima possibile per Paolo.

Il sacrificio andava praticato il giorno della Pentecoste (come previsto dalla procedura descritta nella seconda colonna del papiro ritrovato a Qumran e noto con il nome di “Documento di Damasco”), e prevedeva un periodo di 7 giorni di purificazione: una violazione minima avrebbe comportato alla scomunica definitiva.

Paolo recupera parte della somma raccolta da Tito raggiungendolo in Macedonia, ma lo invita a continuare la raccolta di fondi che sarebbe stata indispensabile per i momenti difficili che si annunciavano a breve.

A questo punto prepara, il suo martirio, ed anche la sua futura partenza per Roma,

Anche se all'apparenza (rasatura dei capelli ad esempio) é pronto al sacrificio che gli verrà chiesto, fa in modo che tutti si accorgano (ma solo il giorno del sacrificio) che egli, almeno secondo il rito ebreo, entrerà nel tempio non puro.

Ben sapendo che Trofimo non può entrare nel Tempio, e che egli stesso, non potrebbe stare con un circonciso prima del sommo rito purificatorio, contravviene sicuramente alla seconda condizione, e si fa egli stesso scandalo per gli ebrei: violando la purezza del Tempio con la sua stessa presenza impura.

Scoppiata la prevedibile e prevista reazione dei giudei ed approfittando della presenza delle guardie romane, viene salvato ma chiede di pronunciare un pubblico discorso in sua difesa non diretto, ovviamente, ai giudei-cristiani, ma ai discepoli che s’era portato dietro dalle regioni greche tra cui lo stesso Demade autore degli Atti.

Pronuncia, quindi, un discorso mirato a mostrare che egli é un martire dei giudei e che questi avevano ucciso il Signore e ora stavano facendo lo stesso anche con lui.

Inoltre tiene a mostrare che gli ebrei non desiderano la salvezza dei pagani.

Paolo sa bene che in quella folla di ebrei ci sono anche i suoi veri nemici i giudeo - cristiani che lo avevano seguito in Asia (lo dirà convocato da Felice), e sa bene che il Tempio pullula di soldati romani che, al momento opportuno, gli avrebbero evitato il peggio.

Infatti, dopo il tumulto viene catturato (salvato) dai romani ,si dichiara cittadino romano.

Viene così arrestato.

I giudeo-cristiani, però, non si arrendono e, da un lato cercano di ucciderlo facendo giuramento esecratorio di non prendere cibo fino ad omicidio compiuto, dall’altro si attivano per provare di fronte al procuratore la colpevolezza di quell’uomo grazie all’abile azione di un avvocato.

L’omicidio fallisce perché Paolo, avvertito dal figlio della sorella Febe (diaconessa di Cencre) avvisa il procuratore Felice che provvede prontamente a trasferirlo scortato da ben 470 uomini (doveva davvero valere molto quel prigioniero!).

Felice venne a sapere della cospicua colletta raccolta da Paolo e ignota anche ai suoi più intimi discepoli con l’eccezione di Tito (che l’aveva fisicamente raccolta).

Pur nella sua figura di procuratore di Roma che doveva assicurargli una invidiabile posizione economica, trattenne Paolo in prigione (con un regime che si evince dagli Atti essere estremamente blando), da un lato per proteggerlo dall’altro per estorcergli parte di quel danaro raccolto.

Quella prigionia viene utilizzata da Paolo anche per trasferire a Felice le informazioni raccolte nel corso della sua missione

Purtroppo l’ottimo sodalizio nato tra Paolo ed il suo carceriere - protettore Felice, viene interrotto dalla destituzione di quest’ultimo e dalla sostituzione con il procuratore Festo, che, immediatamente mette mano alla anomala causa di Paolo ed alla sua ingiustificata e prolungata carcerazione.

Visti gli Atti Felice sta per decidere di rilasciare Paolo, ma questi ben sapeva che il rilascio avrebbe provocata la sua morte immediata per mano dei Sicarii.

Paolo, quindi, pur sapendo che non vi sono colpe a suo carico e che quindi potrebbe essere scarcerato, si appellerà a Cesare, nel momento in gli si prospetta Gerusalemme come sede per il suo processo.

Paolo sa bene che a Gerusalemme, anche nella probabilissima ipotesi di una assoluzione, avrebbe avuto vita breve.

Finalmente, sotto Festo viene ordinato il trasferimento di Paolo a Roma ove ottiene udienza da Nerone.

 

Se si vuol dar credito alla possibilità che esistesse una corrispondenza tra Seneca e Paolo (oggi per lo più ritenuta apocrifa) che data il periodo di permanenza di Paolo a Roma, se ne deduce che Nerone già conosceva Paolo per bocca del suo consigliere il filosofo Seneca, e molto probabilmente aveva già avuto notizia dei servigi da lui prestati prima e dopo la destituzione di Caifa.

 

Paolo, in un periodo particolarissimo per la storia di Roma, ed in un momento in cui si temeva fortemente per i tumulti causati dagli ebrei, in una Roma in cui gli ebrei erano parecchi, e probabilmente non erano considerati di buon occhio, pur essendo ebreo e cristiano gode di massima libertà: gli viene consentito pur nella sua condizione di prigioniero, di ricevere continue visite presso la sua dimora gravato unicamente della presenza di un soldato romano di guardia.

In pratica Paolo é lasciato ispiegabimente libero di proseguire la sua missione per sedare gli animi anche lì nella capitale.

A Roma la prigionia termina dopo due anni..

L'autore degli Atti e del Vangelo, il "comandante di vascello" Dema, che tanto utile era stato nei suoi viaggi via mare, nutre dei sospetti, sospende la stesura degli Atti e cerca di indagare su quell'uomo che infondo si accorge di conoscere poco con la scaltrezza ed attenzione che ben si evince dai suoi scritti.

Venuto a conoscenza della verità, lo abbandona e torna nella sua patria a Tessalonica, promettendogli il silenzio (quell'uomo era stato fin troppo scaltro e fin troppo vicino ai romani perché Dema potesse rischiare di rivelare la verità).

Ne frattempo Tito aveva continuato a raccogliere fondi ed a mandare denaro a Paolo, come già aveva fatto in precedenza.

Nel 62, giunge la notizia dell'assassinio di Giacomo a Gerusalemme ordinato dal sommo sacerdote (alquanto strano in considerazione della stima che questi godeva da parte dei farisei, come ci testimonia lo storico Giuseppe Flavio).

 

Paolo, a questo punto, decide di uscire di scena, morto Giacomo era sicuramente stata disinnescata la mina più pericolosa, inoltre la sua predicazione stava dando ottimi frutti grazie ai suoi discepoli.

Scrive, quindi, la sua ultima lettera e chiede a tutti di raggiungerlo a Nicopoli (Tito in particolare, con il denaro raccolto).

A Nicopoli saluta definitivamente i suoi discepoli e dichiara loro che dopo un breve viaggio in Spagna probabilmente tornerà a Roma (scaltro com'era probabilmente non vi torno più, visto anche che Nerone avendo visto che nonostrante l'operato di Paolo la veemenza degli attacchi portati dai giudeo - cristiani alla capitale non diminuiva, aveva deciso di passare allo sterminio dei cristiani, di qualunque provenienza giudea o pagana). Di un Nerone impazzito, assassino anche del suo migliore consigliere non c’era molto da fidarsi, e del resto quel giovanotto schizzofrenico avrebbe potuto voler vedere morto anche l’artefice di quel disastro che si stava rivelando la conversione dei pagani al cristianeismo.

 

A questo punto Paolo fa perdere definitivamente le sue tracce, e di lui rimarrà unicamente la legenda del suo martirio subito a Roma nei pressi della località “Tre Fontane”.

Dalla partistica le prove dello scontro tra i Giudeo - cristiani e Paolo.

Ciò che manca alla nostra ricostruzione è la verifica della reale esistenza di uno scontro tra la Chiesa di Gerusalemme e Paolo di Tarso, ed inoltre il motivo per il quale gli eredi di quel particolare modo di intendere il cristianesimo scomparvero del tutto.

Dalla ricostruzione effettuata si evince che questi:

- dovevano essere ebrei convertiti al cristianesimo che continuavano a seguire le usanze della legge

- dovevano utilizzare una versione del Vangelo di Matteo in ebraico (non in greco, poichè era ad uso interno, nè in aramaico che sarebbe stato poco adatto alla sacralità del testo)

- dovevano, vivere in povertà e comunione dei beni.

- ritenevano Paolo un'apostata della legge e lo combatterono aspramente

- si riconoscevano nella Chiesa di Gerusalemme e nel suo capo Giacomo il Giusto.

Tutte queste informazioni ci vengono interamente confermate dalla patristica, che, però, le attribuisce, non agli ebreo - cristiani, che facevano capo alla Chiesa di Gerusalemme ma a quelli che vengono chiamati Ebioniti (Ebion = povero) o Nazarei e che vengono considerati come la prima grande eresia.

La denominazione Nazarei (Nazar=verità) ed il nome di Gesù, sono alquanto embrematici.

Ci sono testimonianze che confermano l'avversione che avevano per Paolo e l'uso del Vangelo di Matteo (o degli ebrei):

 

"...(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge...". (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

 

"...(I Nazarei) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l'apostolo (Paolo)...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1).

 

"...costoro pensavano che fossero da rifiutare tutte le lettere dell'apostolo (Paolo), chiamandolo apostata della legge, e servendosi del solo Vangelo detto secondo gli ebrei, tenevano in poco conto tutti gli altri...". (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., III, 27).

 

"...(I Nazarei) hanno usato soltanto il Vangelo secondo Matteo...". (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 2).

"...Gli Ebioniti, pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno una conoscenza esatta del Signore...". (Ireneo, Adv. Haer., III, 11).

 

Altre testimonianze ci danno una interessante informazione aggiuntiva: quel Vangelo era scritto in ebraico e mancava della genealogia che invece é presente nella versione greca:

 

"...nel Vangelo che essi (gli Ebioniti) usano, detto "secondo Matteo", ma non interamente completo, bensì alterato e mutilato, e che chiamano "ebraico"... hanno tolto la genealogia di Matteo...". (Epifanio, Haer., XXX, 13, 6).

 

"...(I Nazarei) posseggono il Vangelo secondo Matteo, assolutamente integrale, in ebraico, poiché esso è ancora evidentemente conservato da loro come fu originariamente composto, in scrittura ebraica. Ma non so se abbiano soppresso le genealogie da Abramo fino a Gesù...". (Epifanio, Haer. XXIX, 9,4).

 

E', quindi, probabile che ai fini della evangelizzazione fu non solo necessaria una traduzione in greco, ma anche l'aggiunta della genealogia di Gesù che aveva il compito di dimostrare la sua discendenza Davidica (probabilmente era anche il segno di una reale conoscenza della vita del Maestro e quindi serviva ad autenticare la predicazione di coloro che la conoscevano), e la sua regalità, insieme al suo stretto legame con gli ebrei.

Erano quelle le genealogie che temeva Paolo (che inizialmente non conosceva affatto) e che provvide a inserire (una volta venutone a conoscenza), ma a spostare e ridimensionare nel suo Vangelo (quello di Luca) con le modifiche che abbiamo segnalato nei precedenti capitoli.

Ebioniti, giudeo-cristiani e Qumran

 Il dr. R. Eisemann di cui abbiamo già accennato nel precedente capitolo, é convinto che la Chiesa di Gerusalemme, gli Ebioniti ed il popolo di Qumran siano la stessa cosa.

Comunque la si pensi su Qumran, la presenza di una lettera di Paolo (come si supponeva essere 7Q4) andava considerata un'assurdo, molto più di quanto non lo fosse un Vangelo (come si supponeva essere 7Q5).

A Qumran, c'erano sicuramente ebrei ortodossi (indipendentemente dalla ipotesi di aderenza al cristianesimo), che si sarebbero guardati bene dal conservare lettere di un uomo con le tesi antilegaliste quali quelle di Paolo e sopratutto non le avrebbero consevate insieme agli altri testi sacri.

Il solo dare per certa la identificazione di 7Q4 con una lettera di Paolo come fece a suo tempo il dr. Thiede, era una ipotesi da vagliare con estrema attenzione (se non da scartare a priori).

La leggerezza con cui furono date a suo tempo le notizie inerenti 7Q4 e 7Q5, e la veemenza con la quale dr.Thiede ha combattuto il dr. Eisenmann, non solo dal punto di vista scientifico, ma con attacchi personali diretti a screditare lo studioso, la dicono lunga sulla pretesa obiettività scientifica delle sue tesi.

Va comunque osservato che, nel suo libro sul papiro del Magdalene College, ci sono interessanti deduzioni su un papiro che pur non essendo stato ritrovato a Qumran ha notevoli somiglianze (dal punto di vista papirologico), sia con i testi greci di Qumran, sia con i papiri ritrovati ad Ercolano. In pratica é databile agli anni che precedono il 70 d.c.

Non a caso quel testo é un brano del Vangelo di Matteo in greco.

 

Questa ipotesi sarebbe in perfetta linea con quelle da noi avanzate: in pratica, il Vangelo di Matteo, nella traduzione greca dall'originale ebraico, esisteva prima del 70 d.c. ed era stata redatta dai giudeo - cristiani come strumento per l'evangelizzazione dei pagani.

 

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