L'invidia degli dei.
Era una calda mattina d’estate,
il sole spendeva alto nel cielo e l’afa cominciava a farsi
sentire, era quell’ora in cui la canicola (complice) faceva
avvicinare sia gli umani che gli dei all’unico corso d’acqua,
che sorgendo dalle profondità dell’Ade dopo un tortuoso
passaggio usciva quindi
allo scoperto nel mondo degli uomini, unendoli così
agli stessi dei. Il Lete dunque, il fiume dell’oblio, dove si
narra il mito di Er disceso nell'oltretomba
per conoscere i misteri della
reincarnazione delle anime. Costui era un soldato
morto in battaglia e resuscitato grazie proprio a quell’acqua
per descrivere agli uomini l'Aldilà . Orbene,
l’acqua del fiume nella sua folle corsa vero il mare, forma in
un certo punto come un falso pendio, una pozza, dove gli
uomini la usano per abbeverarsi e gli dei superbi per potersi
specchiare. Diana soleva sostare sulle rive di quello specchio
d’acqua, la vergine dopo le sue estenuanti battute di caccia
era solita bagnarsi e rinfrescarsi in quelle dolci e fresche
acque, attenuando così la calura. Certo che vedere un simile
spettacolo per gli umani (ma non so se dire se fortunati o
sfortunati e il perché lo saprete presto se seguirete a
leggere ), che avevano la dabbenaggine di sostare a curiosare,
non era cosa da tutti i giorni, ammirare le bellezze discinte
di una dea. Sulle prime la divinità pareva perfino provarne
piacere, suscitare così tanta ammirazione e desiderio in
quella schiera di mortali ansimanti, era come un gioco, sia da
una parte che dall’altra. Ogni gesto della dea sembrava
calcolato, ogni sua movenza comunque sublime, anche gli
respiri che impunemente sfuggivano dalle sue labbra avevano un
qualche cosa di magico e divino. Il gioco poteva continuare
per ore sotto la calura estiva, tanto che gli umani non
sembravano neanche accorgersene tanto erano presi dall’oblio
di quella visione e poi come spesso succede, il gesto
sconsiderato di uno scellerato metteva fine ai giochi con la
più crudele delle sue conclusioni. Vie era sempre un tale, che
non accontentandosi della sola visione tentava un approccio
più diretto ormai in preda alla passione più sfrenata, ed era
proprio quell’avvicinarsi troppo che mandava la divinità su
tutte le furie, che così sentendosi troppo presa ai desideri
umani, fulminava tutto d’intorno e coloro che erano oggetto
della sua furia non avevano scampo, rimanevano sul posto come
erba seccata, così tanto vicino all’acqua da poterla toccare,
ma troppo distante per poterla bere, il loro supplizio era la
sete eterna, il desiderio che non si può appagare, qualcosa
che brucia più del fuoco, la passione amorosa che rende così
simili gli dei ai semplici umani.
Ma quel giorno non era una un uomo a sostare sulle rive
del fiume, anzi un profumo di dolci fiori aleggiava nell’aria
già arsa dalla canicola estiva. Antimea poteva sembrare una
ragazza tra le tante, una che passavano vicino al fiume ogni
giorno, sicuramente era la più sfacciata, perché pur sapendo
che in quelle acque la dea Diana amava sostare e non
resistendo ad una così forte calura, si era avvicinata proprio
a quella pozza, così ingenuamente e maliziosamente come solo
una giovane donna sa fare. Si era disfatta dei suoi vestiti
leggeri e si era immersa dolcemente in quelle acque fresche ad
invitanti; che piacevole sollievo il sentirsi accarezzare il
corpo in un massaggio lieve, che gradevole sensazione
ascoltare il mormorio delle bollicine che saltavano fuori
dall’acqua e lo sciacquio che provocavano i suoi esili
movimenti, che amabile abbraccio tenero e dolce, che ebbrezza
sentire leggiadri i lunghi capelli corvini volteggiare attorno
a lei, come leggiadre libellule. Perché tutto questo doveva
essere goduto di una persona sola, anche se dea? Pensò Antimea
e poi aggiunse; Diana non si seccherà più di tanto se anche io
mi rinfresco un poco, sono sicura che capirà e che alla fine
prevarranno i buoni sentimenti, a che scopo essere un dio se
non puoi fare del bene? Mentre pensava a tutto ciò la giovane
donna si era già immersa in quelle acque invitanti, tanto da
non accorgersi che si era un po’ troppo avvicinata alla dea
quando l’adolescente creatura involontariamente s’immerse con
un tuffo schizzando di spruzzi d’acqua la divinità.
“Piccola creatura impudente !” esplose
di botto la dea, poi aggiunse; “come ti permetti ? non sai
cosa stai rischiando con quel tuo modo tanto sfacciato, se
solo volessi ti potrei trasformare in un pesce…”, ma la dea
non ha il tempo di finire la frase, che la giovane Antimea
riemersa dalle acque appare alla divinità in tutta la sua
sfolgorante bellezza, nuda e bagnata con il sole che filtra a
mala pena tra gli alti cannicci e disegna sul giovane corpo
della ragazza arabeschi luminosi, la sua pelle bianca come il
latte, abbaglia di esuberante bellezza e i suoi capelli neri
come il carbone, s’incendiavano di luce purpurea al riverbero
del sole, mentre grondanti d’acqua le incorniciano il volto,
io stesso la potevo scambiare per una dea tanto era bella, io
tale e quale a un novello Paride avrei commesso la stessa
blasfemia.
C’è un momento in qui il divino e il
terreno si mescolano, per l’assurdo gioco del fato, ed è che
in quell’attimo che vidi riflessa nell’acqua un’immagine più
bella del divino, solo per un attimo, ed è proprio in
quell’istante in cui Eris (la discordia), getta con tutta la
rabbia il suo
seme. Contemplavo dunque in sacro silenzio quelle due maestose
bellezze che parevano fronteggiarsi, l’una di fronte all’altra
stavano nude e statuarie e solo i loro respiri avevano
l’ardire di rompere il silenzio. Nessuna delle due pareva
prendere l’iniziativa mentre anche il tempo rendendosi conto
della grandezza del momento si era rispettosamente fermato.
Voi semplici
mortali non potete avere la cognizione di cosa significhi
fermare il tempo, specialmente qui nel vostro amato
mondo. Rare volte
è concesso questo miracolo e quella era una delle poche.
L’aria si raggela e d’incanto tutto si ferma; gli uccelli che
fluttuano nel cielo, gli insetti che stanno per posarsi sui
petali dei fiori, le gocce d’acqua che invece di cadere a
terra si fermano nel mezzo, in uno spazio che non è più di
nessuno. Attorno il gelo, ma così diverso da quello che porta
con se Skadi, quando ammanta di bianco colore le vette dei
monti, e quando il vento gelido del nord arriva suonando il
suo lungo corno ricurvo. Quello era un gelo divino, un freddo
intenso che ferma, anche lo scorrere del tempo. Solamente due
creature parevano non accorgersi di tutto ciò che accadeva
attorno, due sguardi uno in quello dell’altra, come se
volessero indagare nell’io più profondo, come se desiderassero
rapire i desideri più reconditi, due luci lampi divini e
mentre succedeva questo, i loro respiri si facevano mano a
mano più profondi stravolgendo quel confine labile che c’è tra
il respirare e l’ansimare o gemere agli gli orecchi dei più
smaliziati. Nel mentre si consumava quest’amplesso divino
fatto di luce e suoni, ecco che una ninfa che era solita
giacere in quelle acque seminascosta la cui bellezza non era
apprezzata né dagli dei né dai mortali, ebbe un cattivo
pensiero, un’idea di vendetta verso tutto il creato e che così
volle attuarla.
Prima di ciò è giusto
che vi parli di questo piccolo essere non proprio amato dagli
abitanti dei due mondi.
La leggenda di Fthonos.
(Invidia)
Ftnosia
non era bella come le ninfe dei laghi, non era piacevole come
le naiadi dei fiumi i cui canti soavi facevano innamorare gli
uomini che avevano la sventura di avvicinarsi a loro, anzi la
sua voce era sgraziata e profonda a volte così bassa che lo
stesso Pan ne aveva timore. Ftnosia non aveva i capelli lisci
come le altre amadriadi né la pelle bianca e levigata
profumata di primavera e a questa sventurata fanciulla il
destino e gli dei le avevano anche riservato una diversa
sorte. Molto tempo prima, quando ancora gli animali parlavano
agli uomini; gli umani e gli dei andavano d’accordo vi era tra
loro complicità tale, tanto che la cosa non piacque a
Lucifero, il quale si infastidì così tanto di vedere tanta
armonia nel mondo che volle andare dal Padre di tutte le cose
per lamentarsi. “Padre” esordì il demone, poi aggiunse:-” Con
tutto il rispetto, credo vi sia un motivo se esiste la terra
di mezzo, ma sembra che tutti giù se ne siano scordati…”, dopo
una pausa egli riprese :-“ Il mondo è stato creato poiché gli
uomini scontassero le loro condanne, Tu stesso d’altronde lo
hai stabilito…io invece vedo che v’è pace e regna equilibrio
in quel mondo in cui tutto dovrebbe essere messo in
discussione a causa loro, dov’è dunque la punizione se v’è
solo assoluzione? Come si può espiare una colpa se non v’è
condanna?” allora il Padre supremo disse al demone
impertinente:-“ cosa proporresti tu?”. “lascia Mio Signore,
ch’io getti un piccolo seme, una goccia nel mare per fare si
che gli uomini si ricordino che sono uomini e gli dei che sono
dei”. Il silenzio dell’eterno Padre suonò alle orecchie di
Lucifero come un assenso ed egli sparì tra le nubi cariche di
pioggia e d’ora in avanti l’acqua delle nuvole non avrebbe più
avuto lo stesso sapore. Eterea era una ninfa, che vagava
nell’aria era poco più che una bambina quando Lucifero la
prese e quando il frutto del loro amplesso nacque, Eterea
sparì così come era venuta. Ftnosia crebbe senza madre né
padre e per questa vergogna si nascose agli occhi degli altri.
Schiva, non bella né intelligente, anzi piccola e sgraziata,
sembrava fare di tutto per rendersi ancora più antipatica, se
le sue compagne cantavano i loro dolci versi, lei con la sua
voce stridula e penetrante rompeva tutti gli incanti per non
parlare del suo fisico minuto e così sgraziato e brutto, con
quei suoi capelli crespi che usava più come reti da pesca che
come vessilli d’amore. In breve tempo questa naiade si era
conquistata una pessima fama e lei non faceva proprio nulla
per migliorarla, anzi il culmine arrivò quando proprio in
quella pozza d’acqua dove la dea Diana e la mortale
Antimea stavano per
consumare un amplesso divino. Ftnosia colma d’invidia (un
sentimento fino allora mai provato né dagli umani, né dagli
dei, né tanto meno dalle ninfe), s’impadronì del suo essere
gracile e rosa dalla gelosia la giovane naiade si struggeva
dal livore, già il suo corpo stava cambiando, la sua pelle
bruna si stava coprendo di squame, le sue labbra per le troppe
maldicenze si stavano mutando in un becco ricurvo, i seni
penduli sembravano due inutili orpelli e le sue gracili gambe
si stavano trasformando in zampe orrende, mentre la sua voce
acuta si alterava in un gracchiare stridulo e nonostante tutto
dal suo rostro contorto continuava a proferire blasfemie e
maledizioni. Tra queste una si impressionò nell’aria prima che
le sue ultime parole mutassero in bieco stridere…”sia
l’invidia pascersi della vostra lascivia”. L’anatema non cadde
invano anzi, ebbe subito effetto, di colpo la dea Diana quasi
rendendosi conto di ciò che stava per compiere fece un passo
indietro e Antimea per timore si nascose dietro gli alti
cannicci. Per la vergogna la giovane divinità corse a coprirsi
perché nessun umano prima di allora l’aveva vista nuda così da
vicino. Poi tornando in se e rivestitasi in tutta fretta,
sparì nella foresta per sempre, mentre la povera Antimea che
non si era ancora resa conto di quello che era appena
accaduto, venne avvicinata dalla trasformata Fthonos, che anche il nome aveva mutato, ora era
invidia dalle nere ali che sbattendo provocano il gelo nei
cuori, invidia dal gracchiare acido che causa astio nei
sentimenti, dallo sguardo che provoca livore nei cuori.
Maledisse gli umani così come maledisse gli dei, troppo deboli
per potersi opporre. Sempre vi sarà astio e invidia tra dei e
umani a causa tua Antimea,
la tua bellezza sfidò quella degli dei, tu che facesti
innamorare Diana. Il tuo amore sarà la tua condanna e sia
dannata tutta la tua progenie, che la bellezza appassisca come
un fiore nel deserto, che lo splendore si affievolisca con gli
anni, che la grazia si muti in goffaggine col tempo, che tutto
non rimanga che un ricordo e che questo svanisca presto. Anche
se oramai non poteva più esprimere una parola ma solo gracchi
sgradevoli Fthonos aveva pronunciato
la sua ultima sentenza, d’ora in avanti non più con la parola
ma solo con lo sguardo avrebbe
offeso.
Così fu.
Da quel giorno iniziò l’invidia a rodere gli animi dei mortali
e i sonni degli dei, tanto che un demone ebbe a dire che le
figlie degli uomini sono più sensuali delle creature degli dei
perché racchiudono in loro il meglio e il peggio, il bene e il
male, la luce e il buio. Ma il Padre eterno colui che vede e
sa tutto, volle mettere ordine ancora una volta in queste
cose, così creò un amore così puro, così forte, così perfetto,
da non poter essere prevaricato neanche dall’invidia, un amore
che ancora adesso l’invidia si rode nelle profondità degli
inferi.
L’amore
che Dio padre ha creato, quello che non conosce astio, è
quello che serba per noi e che noi il più delle volte non
sappiamo o non vogliamo ricambiare.
L'nvidia degli dei by Roberto Vassallo is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
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