Prefazione.
Omaggio a Rimbaud
che con i suoi versi ha svegliato in un antro nel mio essere
un sentimento che
credevo fosse si assopito per sempre.
La canzone
dell’inverno.
Infuria l’inverno
tra i rami secchi e nudi di alberi spogli,
ballano come
macabri burattini orde di note stonate che sbattendo sul
freddo selciato
ne incidono le
vene cave.
Scuote la gran cassa con
grande fragore Krodo e il suo rimbombo cupo e tetro colora di
grigio spessore nuvole cariche delle lacrime di Theros, rapita
un dì e ora in balia ora del
fato.
Stende il suo pesante
candido mantello Ceimon ammantando d’identico colore tutto
d’intorno per ricordare ai figli dell’uomo che v’è un tempo
per vivere, uno per ricordare e uno per
morire.
Elios è stanco e
timidamente appare, è stremato per le fatiche estive, pallido,
lontano e alla fine del suo breve mostrarsi sparisce presto
all’orizzonte. Non c’è più il calore nell’aria che scalda i
sassi, né il pallido ozio degli stalloni marini, non
s’asciugano i panni stesi al sole, né le lacrime del mare che
carezzando la sabbia scrive antichi versi d’amore.
Guardo inerme
dalla finestra il lento decadere delle stagioni,
la pioggia che
bussa insistente sui vetri,
il vento che
garrisce e strappa con furia qui panni stesi con cura ad
asciugare.
Guardo indifeso la
sconfitta del giorno, ma tra tanto sconforto l’unica cosa chi
mi rallegra e che dentro queste quattro piccole mura io al
caldo osservo fuori, la bufera.
Canta la sua
canzone, soffia forte dentro i corni ricurvi l’inverno, mentre
scende sulla sua slitta di ghiaccio Bruma la signora del
tempo.
Lasciate che i
bimbi s’inginocchino e preghino anche stanotte, lasciate che
le giovani madri cantino la loro ninna nanna, lasciate che i
vecchi chiudano lieti i loro occhi al sonno e lasciate che ciò
accada ancora una volta, ancora stanotte.
La Canzone dell'inverno by Roberto Vassallo is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
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