Vi è un sottobosco, dove nascono farfalle
dai mille colori incredibili e con le ali tanto ampie e
scintillanti che col loro timido sbattere farebbero morire
d’invida persino le muse degli stagni.
Queste farfalle dicevo,
nascono, vivono e muoiono l’attimo di
un’illusione.
Chi può accorgersi di una farfalla
morente?
Chi può ascoltarne le urla, che come
flebile canto affida al vento le ultime sue parole?
Dove sono ora tutte queste miriadi di
esseri, che agitando disperatamente le ali, vogliono solo che
qualche d’uno si accorga di loro?
Perché, noi siamo loro, ecco il perché!
Intenti a cercare immensi tesori, non ci
accorgiamo, che lentamente ci siamo ammalati.
E la nostra malattia è la vita.
La malattia di vivere che inevitabilemte
ci porterà alla morte.
Di ciò si rallegra l’anima mia. Perché
nelle mani di questa nera signora v’è il comune
destino.
Ma anche di ciò si rattrista, non tanto
perché si deve prima o poi lasciare questo mondo; tanto il
perché ci si chiede cosa lasciarsi dietro!
Magari uno scritto, una fotografia,
anche poche righe, un pensiero, forse un’ingiuria, un urlo!
Ecco, l’urlo di una
farfalla.
Ecco io sono la farfalla che urla ma che
nessuno sente, perché troppo flebile è il suo
gridare.
Tu stesso, che forse mi leggi sei come me,
una farfalla che vuole urlare, ma il grido gli si strozza in
gola prima di uscire.
Anche tu come me sei malato, malato di
vivere.
Anche tu come me hai sete, sete
d’amore.
Ma l’amore che riempie i fiumi e fa
straripare gli argini, se non è alimentato dalla pioggia, è
come acqua che con la siccità evapora.
Noi siamo la pioggia che copiosa scende ad
alimentare i fiumi secchi e le vuote pozze.
L’acqua è di tutti; l’amore è di tutti,
non teniamolo solo per noi.
Noi stessi siamo di
tutti, quindi non lesiniamoci, non risparmiamoci e
soprattutto, non nascondiamoci.