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"CARO LAMBRO " 

TRATTATO STORICO  E MITOLOGICO SULL'ORIGINE DEL LAMBRUSCO

 

Se c’è un vino che ognuno di noi ha bevuto, prima o poi, questo è il lambrusco. La spiegazione di tale fenomeno, lungi dal riguardare le moderne politiche di marketing, è da ricercare nell’anima stessa del rosso emiliano.
Che il suo nome sia in grado di evocare alcune delle immagini più rappresentative della nostra cultura come la tavola, la convivialità e la famiglia, infatti, non è un caso. La tradizione enologica italiana è legata a doppio filo con quella culinaria, e il lambrusco ne rappresenta uno dei simboli. Difficile immaginarlo senza un piatto fumante vicino, impossibile apprezzarne le qualità senza dividerlo con gli amici più cari.
La sua capacità più apprezzata è quella di rendere festosi e allegri i momenti di incontro, oltre a quella di sapersi legare splendidamente ad alcuni piatti della tradizione gastronomica del nostro paese.
Il suo segreto? Le bollicine, indubbiamente, ma anche la freschezza, la vivacità e la simpatia di chi, nato da umili origini, ha saputo conquistarsi da solo fama e successo. A differenza degli altri vitigni da cui oggi si ricava il vino, infatti, l’uva lambrusco deriva dalla vite selvatica, quella che un tempo cresceva spontaneamente ai margini dei campi coltivati, chiamata appunto “labrusca”.

Sull’origine del termine lambrusco, tuttavia, esistono altre due ipotesi, nate una dalla tradizione popolare, l’altra dall’abile penna di uno scrittore.

La prima si rifà ad una leggenda che narra come il vitigno sia giunto nella pianura padana a seguito di uno straripamento del fiume Secchia, in un periodo catastrofico per l’agricoltura locale ricordato come “l’an brusc”, l’anno brusco.

L’altra è da attribuire a quel Luigi Bertelli, in arte Vamba, che narrò le gesta del celebre monello Giannino Stoppani–Gian Burrasca. Chiamato a comporre un poemetto giocoso in onore del Lambrusco di Sorbara, Bert elli fece risalire l’origine del nome lambrusco alla visita di Venere, Marte e Bacco in terra emiliana. Scesi per soccorrere i modenesi mentre infuriava la guerra con Bologna per la secchia rapita, infatti, i tre dei fecero sosta in un’osteria, e quando Bacco si trovò a ordinare del vino gli fu chiesto: “Dolce l’ami ovver ch’abbia il bruschetto?”. Egli, da par suo, rispose “Io l’amo brusco”, e prima di congedarsi da quel luogo di ristoro lasciò in dono all’oste dei semi di uva che gli dei coltivavano in cielo. L’uomo, piantata la semenza nel suo orticello, ottenne un nettare dal gusto sopraffino, che in onore di Bacco chiamò lambrusco.

Nel corso dei secoli gli episodi che vedono protagonista il celebre rosso frizzante sono numerosi – si parla addirittura di battaglie vinte grazie al suo irresistibile fascino – ma è nel ‘700 che il lambrusco inizia la sua scalata verso il successo. Il salto di qualità si ha con l’avvento della bottiglia di vetro, contenitore che assieme al tappo di sughero è in grado di man tenere la pressione al suo interno, favorendo la conservazione dell’anidride carbonica del vino originata dalla fermentazione naturale degli zuccheri dell’uva. Il “boom” del lambrusco – coinciso con quello economico del nostro paese – ha preso avvio negli anni ‘50. Grazie ad un interessamento senza precedenti dei mercati esteri, milioni di bottiglie del rosso frizzante hanno invaso gli scaffali dei market e delle enoteche dei cinque continenti, consentendogli di divenire il vino italiano più bevuto nel mondo.

Oggi esistono varie tipologie di lambrusco, che differiscono sia per la zona di produzione che per la varietà di uva utilizzata. Nel modenese – il comprensorio “storico” del rosso frizzante – vengono prodotte le Doc Lambrusco di Sorbara (detto anche “lambrusco del la viola”, per il suo caratteristico profumo), Lambrusco Salamino di Santa Croce (il più coltivato), e Lambrusco Grasparossa di Castelvetro. In provincia di Reggio Emilia,come a San Martino in Rio e Correggio  invece, si ottiene la Doc Reggiano Lambrusco, mentre in quella di Mantova si ha la Doc Lambrusco Mantovano, con le sottozone Viadanese-Sabbionetano e Oltrepò Mantovano.
La spiccata nota acida, assieme all’effervescenza, rendono il lambrusco ideale nell’abbinamento con piatti ricchi di grassi: salumi, tortellini in brodo, riso con la salsiccia, zampone e cotechino, bollito misto e chi più ne ha più ne metta.

UEPPA!!! E' chiaro però che se te ne bevi 6 bottiglie da solo ... insomma ... poi ridi meno! bai bai

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