La riforma del mercato del lavoro

Il nuovo collocamento

Con il decreto legislativo 297 del 2002, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15 gennaio 2003, si compie un altro passo del processo di riforma del sistema del collocamento che, avviato oramai da qualche decennio, aveva subito una brusca accelerata circa 5 anni fa con la legge 196 del 1997, il cosiddetto «pacchetto Treu», dal nome dell’allora ministro del lavoro del governo di centrosinistra. Con la legge 196/97 è stata infatti regolamentata in Italia l’attività delle «agenzie di lavoro interinale», con le quali, per la prima volta si è permesso a dei soggetti privati di esercitare la funzione del collocamento, ossia di favorire, a scopo di lucro, l’incontro tra domanda (imprese) e offerta (lavoratori). Beninteso, non che prima della 196 i privati non svolgessero tale attività, ma lo facevano in modo non regolamentato. Oggi l’attività svolta dalle agenzie private può essere di «intermediazione» e di «interposizione» di manodopera. Tecnicamente tra i due termini c’è una differenza di un certo rilievo: nel primo caso l’intermediario si limita a favorire l’incontro tra l’offerta e la domanda (è il caso del collocamento puro e semplice). Nel secondo caso invece «l’interpositore» conserva la titolarità del rapporto di lavoro con il lavoratore, il quale viene inviato in missione presso l’impresa che ne ha fatto richiesta. E’ questo il caso, appunto, del lavoro interinale, detto anche lavoro temporaneo in prestito. Entrambe le attività erano vietate dalla normativa italiana, l’intermediazione dalla legge 264 del 1949, con la quale era stato istituito il collocamento pubblico; l’interposizione dalla legge 1369 del 1960 che regolava l’istituto dell’appalto, vietandolo quando questo si limitava nei fatti alla mera fornitura di manodopera. Nonostante questa diversità, che non è certo di poco conto, tra interposizione e intermediazione c’è una componente essenziale in comune, ossia l’attività di gestione delle informazioni relative all’offerta e alla domanda di lavoro in modo da favorirne l’incontro. In entrambi i casi si tratta di raccogliere curricula, gestire ed aggiornare banche dati, captare le richieste delle imprese ed eseguire le giuste «interrogazioni» sui software di gestione delle banche dati. E’ fuori dubbio che l’incremento di informazione è assolutamente necessario per far funzionare in modo accettabile l’incontro tra domanda e offerta in Italia.

 

Il vecchio collocamento
Alla fine degli anni Ottanta, infatti, era dell¹ordine del 2 o 3 percento la quota di posti di lavoro nella cui intermediazione il collocamento pubblico svolgeva un’effettiva funzione di promozione, limitandosi, per il resto, alla mera registrazione di assunzioni che avevano avuto luogo attraverso altri canali, quali il passa parola o le agenzie di reclutamento specializzate. La funzione del collocamento si esauriva, di fatto, nella gestione di smisurate graduatorie di disoccupati alle quali le imprese quasi mai ricorrevano. Ma per quale motivo ­ viene spontaneo chiedersi - questo spreco di risorse umane e materiali? perché dedicare tanto lavoro alla gestione di liste che le imprese non utilizzano? La risposta sta nell’evoluzione del mercato del lavoro (la legge che istituisce il collocamento è del 1949!) e delle normative che lo regolano. Originariamente infatti il sistema del collocamento si basava sul meccanismo della «chiamata numerica». In base a tale meccanismo le imprese che intendevano assumere lavoratori non avevano la facoltà di scegliere chi assumere ma erano tenute a comunicare al collocamento il numero e la qualifica delle posizioni vacanti. Era il collocamento che individuava gli aventi diritto in base alla posizione in graduatoria e li avviava al lavoro. La posizione in graduatoria, a sua volta, veniva calcolata sulla bas della lunghezza del periodo di disoccupazione e di altri fattori, come ad esempio la condizione familiare. Questo meccanismo aveva un sostanziale scopo equitativo, assegnando posti di lavoro a chi ne aveva maggiormente bisogno. Se inoltre si considera che i posti disponibili nel mercato del lavoro del dopoguerra erano scarsamente differenziati e a basso profilo professionale (braccianti, operai generici etc.) anche il carattere vincolistico, che oggi appare insostenibile, perde molto della sua drammaticità. Con il passare degli anni e con la crescente differenziazione del mercato del lavoro, le nuove professioni e la crescita delle specializzazioni l’ambito di obbligatorietà della chiamata numerica è stato progressivamente ridotto, lasciando spazio alla «chiamata nominativa», fino ad essere abolito completamente. Oggi tutti i datori di lavoro possono assumere chi vogliono senza alcun riguardo per la posizione in graduatoria. Il principio di equità che stava a fondamento della chiamata numerica non viene però necessariamente meno. Questo, infatti, può essere mantenuto in una prospettiva completamente trasformata, nella misura in cui il collocamento, o i centri per l’impiego, come oggi si chiamano, sono in grado di offrire servizi ad alto contenuto informativo anche e soprattutto a quei soggetti che, in conseguenza della loro posizione sociale, sono esclusi o comunque tenuti al margine delle «reti relazionali» che contano e che, come una abbondante letteratura in materia dimostra, sono i canali prevalenti attraverso cui i meglio posizionati trovano lavoro. Si tratta delle reti familiari e parentali (laddove ovviamente ci sono risorse professionali e conoscenze importanti), delle università più prestigiose, spesso private, e via dicendo. In altre parole, una rete di collocamento informato, composta di nodi pubblici e di nodi privati (comunque gratuiti per il lavoratore), può servire a controbilanciare le differenze di opportunità prodotte dalla stratificazione sociale e dai conseguenti squilibri informativi.

 

 

Servizi pubblici e privati
La nuova architettura del sistema del collocamento prevede quindi la compresenza di servizi pubblici e di servizi privati la cui funzione dovrebbe consistere nel raccogliere e far circolare le informazioni rilevanti sui posti vacanti e sui disoccupati in cerca di lavoro. Per quanto riguarda la parte pubblica, in particolare, già un decreto legislativo del 1997 sostituisce ai vecchi uffici di collocamento, i centri per l’impiego, gestiti dalle amministrazioni provinciali. Con differenze tra provincia e provincia e tra città e città, nei centri per l’impiego vanno nascendo sportelli specializzati e si sviluppano competenze professionali in grado di sostenere colloqui individuali con le persone in cerca di lavoro, personalizzati sulle caratteristiche di specifiche fasce d’utenza, come ad esempio: donne che vogliono rientrare nel mercato del lavoro dopo esserne uscite per fare fronte agli impegni familiari, giovani alla ricerca del primo impiego, disoccupati di lunga durata, coloro che perdono il lavoro in età non più giovane e via dicendo. La funzione degli sportelli è quella di fornire informazioni particolareggiate sui posti di lavoro disponibili, orientamento in materia di formazione professionale o di analizzare le tendenze del mercato del lavoro locale così da fornire utili indicazioni a chi deve scegliere un corso di studi. Allo stesso tempo vengono potenziati i canali comunicativi con il mondo delle imprese non solo allo scopo di raccogliere le informazioni relative alla domanda di lavoro, ma anche di offrire indicazioni e assistenza sulle misure di assunzione agevolate. La missione dei centri per l’impiego, così come anche l’architettura complessiva del sistema, è dunque completamente nuova e in conseguenza di questa innovazione viene abolita anche la «lista di disoccupazione». 

Ci sono tuttavia tre eccezioni di un certo rilievo, con delle precise ragioni d’essere:

- Le liste dei lavoratori dello spettacolo (orchestrali, corali, ballerini, artisti e tecnici della produzione cinematografica, degli spettacoli teatrali, delle case da gioco). Per questo genere di lavoratori l’iscrizione alle liste di collocamento continua ad essere una condizione indispensabile per essere assunti. Non che per i lavoratori dello spettacolo i datori di lavoro non possano ricorrere alla chiamata nominativa, ma in alcuni casi la chiamata numerica può continuare ad essere uno strumento efficace. E’ questo, per esempio, il caso delle produzioni che impiegano occasionalmente un numero elevato di «comparse generiche». In questi casi una procedura di selezione ad hoc sarebbe senz’altro più costosa e del tutto inutile. L’ufficio centrale del collocamento dello spettacolo si trova a Roma, altre sezioni distaccate si trovano a Napoli, Milano e Palermo; 

- Liste di mobilità. Sono liste dove vengono iscritti i lavoratori che hanno perso il lavoro in seguito ad un licenziamento collettivo regolamentato dalla cosiddetta «procedura di mobilità». Si tratta di norma di lavoratori che percepiscono una indennità economica superiore alla normale indennità di disoccupazione e per i quali sono previste azioni speciali per agevolarne il ricollocamento lavorativo e la riqualificazione professionale. I datori di lavoro che assumono lavoratori iscritti alle liste di mobilità fruiscono di particolari agevolazioni. Le liste di mobilità sono gestite, così come anche le azioni di riqualificazione e di promozione del reimpiego, dalle Agenzie regionali del lavoro, un ufficio che appartiene all’amministrazione di ciascuna regione;

- Le liste dei lavoratori disabili. Si possono iscrivere le persone in età lavorativa che sono affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e i portatori di handicap intellettivo. L’iscrizione a questa lista ­ gestita dai centri per l’impiego - permette di accedere al collocamento mirato, ossia a programmi particolari per l’inserimento lavorativo, che i centri per l’impiego organizzano congiuntamente ai servizi sociali. E’ questo l’unico caso in cui esiste un obbligo normativo per i datori di lavori di assumere i lavoratori iscritti alle liste, in proporzione variabile a seconda della dimensione dell’azienda. Il datore può procedere alle assunzioni di propria iniziativa, nominativamente o ricorrendo ai programmi di inserimento mirato e assistito. Se non lo fa, il centro per l’impiego provvede d’ufficio ad avviare gli iscritti alle liste secondo l’ordine di graduatoria.  

Abolite le liste, lo stato di disoccupazione viene comprovato dal disoccupato sulla base di una semplice autocertificazione sottoscritta direttamente al centro per l’impiego. Con essa si attesta di non avere un lavoro, l’eventuale attività lavorativa precedentemente svolta e l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. Presentando tale dichiarazione il disoccupato obbliga il centro per l’impiego a fornirgli i seguenti servizi: a) un colloquio di orientamento al lavoro entro tre mesi b) una proposta di adesione ad una iniziativa di inserimento lavorativo, o di formazione o di riqualificazione professionale entro 4 mesi nel caso di «donne in reinserimento lavorativo», «adolescenti», «giovani»; non oltre sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione nei confronti degli altri soggetti a rischio di disoccupazione di lunga durata. Particolare molto interessante, l’autocertificazione dello stato di disoccupazione può essere fatta valere non solo nei confronti del centro per l’impiego, ma anche nei confronti di qualsiasi altra amministrazione pubblica e dei concessionari e dei gestori dei servizi pubblici. Dunque niente più modello C1 o cedolino rosa, come si usava chiamare l’attestato di disoccupazione rilasciato dal collocamento e che si era obbligati a richiedere e presentare per poter accedere ad alcuni servizi o benefici di legge. Comprovato lo stato di disoccupazione sulla base di una autocertificazione, sta poi al centro per l’impiego aggiornarlo e verificarlo. Ciò avviene innanzi tutto sulla base della comunicazione che le aziende sono tenute a trasmettere al centro per l’impiego all’atto dell’assunzione. Lo stato di disoccupazione si perde però, oltre che nell’ovvio caso di un’assunzione, anche nel caso in cui il disoccupato non partecipi alle misure di reinserimento lavorativo, di orientamento, riqualificazione che offre il servizio pubblico. Chi non partecipa alle iniziative proposte e concordate con il centro per l’impiego, o non risponde alle convocazioni o addirittura rifiuta una offerta di lavoro dimostra ­ almeno nell’intendimento del legislatore ­ di non essere sufficientemente interessato a trovare un’occupazione.  

Definitivamente abolito il libretto di lavoro, che non deve pertanto essere più consegnato al datore di lavoro all’atto dell’assunzione né esibito al centro per l’impiego nel momento in cui ci si dichiara disoccupati. Nella fase di transizione è opportuno però che ogni lavoratore conservi il proprio libretto, in quanto è sulla base delle registrazioni in esso contenute che può essere ricostruito lo stato di disoccupazione di lunga durata che permette al datore di lavoro che assume di usufruire di interessanti sgravi fiscali e contributivi. Al posto del libretto appare oggi la "scheda professionale del lavoratore", che viene aggiornata dal centro per l’impiego sulla base delle comunicazioni che arrivano dai datori di lavoro, della documentazione esibita dal lavoratore relativa a titoli di studio ed esperienze professionali e delle dichiarazioni dello stesso in merito a preferenze, attitudini, disponibilità. Mentre la scheda professionale rimane al lavoratore che la fa aggiornare quando necessario dal centro per l’impiego, negli archivi dell’ufficio rimane una "scheda anagrafica" informatizzata contenente più o meno gli stessi dati che, in modo anonimo, vengono messi a disposizione su internet di tutti gli operatori (servizi pubblici e privati per l¹impiego e datori di lavoro) che li vogliono utilizzare per le selezioni.