29.01.2002
Si ferma l'85% dei lavoratori. Maroni:
"Quanto clamore, l'articolo 18 non lo merita"
Bologna più Firenze più Milano più Napoli più...
messe insieme tutte le manifestazioni sindacali di stamani hanno dato
questo risultato: oltre 600.000 lavoratori in piazza per dire no alle
proposte del Governo sul lavoro e sulla previdenza. Oggi si sono fermati
per quattro ore i lavoratori di otto regioni, tra quelle economicamente più
forti del Paese. Altissima ovunque le adesioni. Con percentuali che
oscillano tra l'85% e il 100% in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna,
Toscana, Campania, Basilicata, Val d'Aosta e Trentino.
Le piazze più gremite sono state quelle dove hanno parlato i leader
sindacali. A Milano hanno sfilato in 50.000, così come a Napoli e Bologna
erano in 60 mila. Cinquantamila anche a Torino mentre a Firenze la
partecipazione alla manifestazione ha sfiorato le 40.000 unità. Cortei e
presidi si sono tenute comunque non solo nelle grandi aree metropolitane
ma in tutte le principali città italiane con migliaia di partecipanti:
20.000 a Modena, 15.000 a Brescia, 20.000 a Reggio Emilia, 10.000 a
Caserta, 13.000 a Salerno.
Il segnale di questa giornata? "Il sindacato starà in campo
unitariamente fino a che il governo non ritirerà le deleghe su mercato
del lavoro e previdenza". Sono le parole che ha usato Sergio
Cofferati in piazza Maggiore a Bologna concludendo la manifestazione delle
tre confederazioni. "L'idea che basti un po' di flessibilità per
rilanciare l'occupazione è assolutamente peregrina", ha detto ancora
il segretario della Cgil, "tanto più che mettendo mano all'articolo
18 si fa il contrario di quanto avviene in Europa". Il leader della
più grande fra le tre confederazioni ha poi ribadito che sull'articolo 18
non esistono "spazi per intervenire sul testo: l'articolo deve
restare così come è e non siamo interessati a modificarlo. Qualche anima
bella fa circolare la voce di una possibile modifica per il Mezzogiorno:
è solo un tentativo penoso di dividerci".
Davanti a Cofferati, s'è detto, una piazza stracolma. Gli organizzatori
parlano di sessantamila persone. Un grande striscione, fondo rosso con
scritta in bianco, ha aperto il corteo: "No all'abrogazione
dell'articolo 18 - no a svendere la previdenza".
E il tema dei diritti è il leit motiv di questa giornata di
mobilitazione. Obiettivo: battere il governo e la Confindustria. Obiettivi
riassunti benissimo da un immenso cartellone, portato a mano dai
lavoratori, con sù disegnati Maroni e Berlusconi, con l'aria da vampiri,
che succhiano il sangue di un povero operaio, mentre sullo sfondo si vede
il Presidente della Confindustria, Antonio D'Amato che dice "grazie
amici".
E dall'Emilia alla Toscana. Dei trentamila in piazza a Firenze, s'è
detto. In piazza SS.Annunziata - dopo un saluto del prof. Paul Ginzborg,
promotore della protesta dei docenti universitari svoltasi giovedì scorso
- ha preso la parola Guglialmo Epifani, segretario nazionale della Cgil.
Egli ha chiesto "il ritiro della delega sui licenziamenti e la
revisione del posizioni del Governo sulla previdenza".
Parole simili a quelle utilizzate dal leader della Cisl, Savino Pezzotta.
Anche per , in un momento dove serviva uno sforzo solidale a sostegno
dell'occupazione, "è arrivata come un macigno la modifica
dell'articolo 18. Non è certo togliendo il diritto al reintegro che si fa
un favore alle imprese".
Dal Nord al Sud. Cortei,
manifestazione e quasi ovunque "presidi" davanti alle sedi delle
Associazioni degli industriali hanno caratterizzato le quattro ore di
sciopero in Basilicata. Forti manifestazioni a Potenza, Matera e Melfi
(Potenza). E qui, nello stabilimento Fiat, le adesioni sembrano molto più
alte che nelle occasioni precedenti. Fino a ieri l'azienda aveva sempre
parlato di astensioni sull'ordine del 18/20 per cento (cifra massima).
Stamane, la stessa azienda nel suo comunicato parla di adesioni di poco
inferiori al quaranta per cento.
Che comunque la mobilitazione abbia colpito nel segno lo rivela anche un
altro particolare. Una frase del ministro Maroni. Dove dice che questi
scioperi sono "un rumore eccessivo per una vicenda come quella
dell'articolo 18". Il rumore, però, l'ha sentito.
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