RICONSEGNATE LE ASSEMBLEE 

AI  LAVORATORI

 

LA FIOM AVEVA RAGIONE - LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI  HANNO DIRITTO A 3 ORE  ALL’ANNO DI ASSEMBLEA, COSI’ DECIDONO I GIUDICI DI TORINO,  SULLE CAUSE PROMOSSE DALLA FIOM CGIL CONDANNANDO LE AZIENDE CHE AVEVAMO IMPEDITO LE ASSEMBLEE PER ATTIVITA’ ANTISINDACALE

 

Questo consente alla Fiom di tornare a fare le assemblee in importanti fabbriche torinesi, a partire dalla Fiat Mirafiori, per riprendere l’iniziativa sul contratto nazionale, per affrontare insieme ai lavoratori e le lavoratrici le crisi industriali e dare un futuro allo stabilimento di Mirafiori, all’automobile, al suo indotto a Torino, ed infine, per votare sì all’estensione dell’articolo 18 nel referendum del 15 e 16 giugno.

La Fiom Cgil si impegna a richiedere, da subito,  le assemblee in tutte le aziende nel quale questo diritto  era stato bloccato e ad esercitare il proprio diritto di informazione e di assemblea in tutte le aziende metalmeccaniche, ove sarà necessario, in conformità a ciò che hanno stabilito i giudici del Tribunale del Lavoro di Torino.

Torino, 27 maggio 2003

 
Sentenza ore assemblea

 

CAUSE RIUNITE RGL nn. 3079 e 3128/2003

PROCEDURA EX ART. 28 L.N. 300/1970

IL GIUDICE DEL TRIBUNALE ORDINARIO Di TORINO

- SEZIONE LAVORO -

  • Sciogliendo la riserva assunta all’udienza dei 13 maggio 2003;

  • visto l'art. 134 cpc, che prevede per le ordinanze e i decreti una motivazione succinta;

  • visto l'art. ART. 28 L.N. 300/1970,

  • formula le seguenti osservazioni.

La questione si impernia sulla controversa interpretazione dell'art. 4 comma 5 lati a) dell'Accordo Interconfederale 20 dicembre 1993 (correlato all'art. 1 dei Contratto Collettivo disciplina generale Sez. Il dei Contratto Collettivo dell'Industria Metalmeccanica Privata, anche con riferimento all'art. 20 della Legge n. 30011970), nella parte in cui prevede che siano: “.... fatti salvi in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti in CCNL applicato nell'unità produttiva. i seguenti diritti: a) diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente, l'assemblea dei lavoratori durante l'orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20 Legge 300/1970‑'.

Pacifico essendo che delle complessive 10 ore, l'accordo ne attribuisce 7 alle RSU, si tratta di valutare se le “residue” 3 ore di assemblea su base annua debbano essere riconosciute a ciascuna O.S., o non piuttosto costituiscano un monte complessivo (pari appunto e 3) che le OO.SS. aventi diritto devono dividersi fra di loro o utilizzare singolarmente e liberamente, senza alcun coordinamento con altri sindacati, ma comunque solo fino ad esaurimento delle tre ore complessive.

Le aziende convenute sono state accusate di attività antisindacale per non aver riconosciuto al sindacato ricorrente il diritto dì tenere un'assemblea, avendo già esaurito la CISL, con sue precedenti richieste, il tetto previsto, e cioè le tre ore complessive; e poiché il sindacato ricorrente non ha ancora tenuto assemblee. ritiene di aver diritto ad indirle fine ad un massimo annuo di 3 ore, considerando quindi antisindacale il rifiuto posto dal datore di lavoro.

La questione, di indubbia rilevanza, sicuramente prospettabile anche prima della costituzione delle RSU, ed anzi riconducibile ad una maldestra formulazione dell'art. 20 della Legge 300/1970, sembra emergere solo negli ultimi tempi, essendo rimasta quiescente fino a quando l'indizione di assemblee veniva effettuata in un contesto unitario dei sindacati, almeno di quelli più rappresentativi. Col venir meno di tale 'concordia cordium" si pone quindi il problema di valutare a quante ore di assemblea abbia diritto ciascun sindacato tra quelli stipulanti il CCNL, o comunque tra quelli individuati dal legislatore con la Legge n. 300/70.

Tale ultima normativa, come già sottolineato, è formulata in maniera inadeguata, poiché quantifica le ore di assemblea nell'ottica dei singolo lavoratore, ignorando quella del sindacato che la indice; ed infatti, in un primo momento, il sindacato ricorrente ha addirittura ipotizzato il diritto ad un illimitato numero di ore di assemblea sul posto di lavoro, sino ad esaurimento delle 10 ore a cui avrebbe diritto ciascun lavoratore, con la conseguenza che sul posto di lavoro potrebbe teoricamente essere indetta una “assemblea continua", alla quale partecipassero piccoli gruppi di lavoratori, ciascuno fino all'ammontare delle 10 ore individuali, in tal modo potendosi agevolmente paralizzare qualunque attività produttiva; del paradosso e del suo contrasto con l'art. 41 Cost, si è reso conto, durante l’iter processuale, lo stesso sindacato ricorrente, che ha infatti più realisticamente limitato la sua pretesa alla possibilità di indire assemblee per le 3 ore previste dell'Accordo Interconfederale, senza che tale “entità oraria" possa risultare "consumato" da precedenti richieste di altri sindacati, ormai 'avversari".

Per quanto la legge ‑ improvvidamente, non ci si stancherà di sottolinearlo ‑ non regoli la gestione dei monte ore di assemblea pari a 10 (che, come già osservato, stando alla lettera della norma, sembrerebbe attribuito al "solo" lavoratore), è comunque certo che una interpretazione coordinata e ragionevole della normativa pattizia e legale sopra individuata non può che portare all'accoglimento delle tesi del sindacato ricorrente, cosi come precisate all'ultima udienza tenuta nell'ambito del presente procedimento.

1 Il fatto che nello stesso art. 4 si faccia riferimento alla possibilità che l'assemblea, al di fuori dell'attività delle RSU, possa essere indetto singolarmente o congiuntamente da parte dei sindacati stipulanti l'Accordo, implica senza possibilità di dubbia che le parti volevano riconoscere a ciascun sindacato contraente la possibilità di indire le assemblee per I suoi iscritti e per chi avesse voluto parteciparvi, senza veder pregiudicato tale loro diritto da una preventiva analoga indizione di assemblea da parte di un altro sindacato; del resto anche il diritto legislativamente riconosciuto al lavoratore dì poter partecipare alle assemblee implica a maggior ragione il diritto che tale lavoratore possa partecipare alle assemblee del sindacato a cui è iscritto: e la tesi datoriale determinerebbe il venir meno della possibilità di indire qualunque assemblea, da parte di qualunque sindacato, solo perché un altro sindacato, più sollecito dei "concorrenti«, abbia già indetto assemblee per un totale di 3 ore. Né è certo sostenibile che il datore di lavoro debba consentire l'assemblea a ciascun sindacato solo nella quota a quest'ultimo spettante, sulla base di una frazione che vede al numeratore le 3 ore di cui trattesi e al denominatore il numero dei sindacati stipulanti il contratto collettivo nazionale, infatti questa limitazione oraria, decisamente drastica, non h riscontrabile in alcuna statuizione pattizia e legale. E nemmeno contrasta con tale interpretazione il secondo comma dell'art. 20, che prevede che le riunioni siano indette, singolarmente o congiuntamente, " ... secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro". Tale disposizione, infatti, lungi dal creare una poziorità dei sindacato più sollecito sotto il profilo dell'utilIzzo dei monte ore, si riferisce al fatto che, potendo l'assemblea essere tenuta nell'ambito dell'unità produttiva, il datore dì lavoro, a fronte di due richieste di assemblee separate ma contemporanee indette da due distinti sindacati, deve dare la precedenza, nel mettere a disposizione i locali, al sindacato che abbia formulato per primo la richiesta.

Sulla base delle considerazioni di cui sopra, ritiene dunque il Giudice di dover dichiarare che il sindacato ricorrente ha diritto di svolgere assemblee secondo le modalità di cui all'art. 2,0 della Legge n. 30011970, per un ammontare annuo di complessive 3 ore. Poiché tale capienza nella fattispecie sussiste tutt'ora, deve essere dichiarato antisindacale il rifiuto datoriale impugnato con la presente procedura ex art. 28 L. n. 300170.

Tenuto conto dei caratteri peculiari della questione proposta e delle indubbie difficoltà ermeneutiche che essa pone, ritiene opportuno il Giudice compensare integralmente fra le parti le spese di lite.