Da
ottobre Mirafiori perderà la “Marea”. Poi, a metà del prossimo
anno, la Panda, con un altro nome, migrerà in Polonia: sulle due
linee lavorano oggi, a Torino, 3.000 addetti. La Powertrain,
l’altro pezzo di Mirafiori, non investirà più sul suo unico
motore, il Tor.que, che andrà così a esaurimento. Con questo
bollettino di guerra in testa, e tanta rabbia dentro, i lavoratori
della Fiat di Torino inaugurano, il 13 settembre, lo sciopero
nazionale articolato proclamato dalla Fiom. Uno sciopero contro
l’accordo del 24 luglio scorso (firmato dall’azienda con Fim,
Uilm e Fismic) che, insieme a quello per Powertrain e Purchasing del
4 settembre, taglia 3.462 posti di lavoro. Insieme a Torino si
fermano altri due pezzi importanti di Fiat: l’Iveco di Suzzara e
la New Holland di Jesi.
Questa l'agenda degli stop: a Mirafiori tre ore di sciopero
(8.00-11.00). Due ore all'Iveco e alla Fiat Hitachi. Quattro ore
alla Marelli, alla Comau e alla Teksid. Due ore e mezzo all'Avio. La
Fiom ha già comunicato le prime stime sulle adesioni: il 90% dei
lavoratori alla Teksid, l'80-90% alla Marelli, il 70% alle
Carrozzerie-Presse, il 70-80% alla Comau. Alla manifestazione,
secondo il sindacato, hanno partecipato circa 3 mila persone (per la
Digos 600).
I due accordi separati hanno già “rubato” a Torino 2.300 posti
di lavoro. Ma per far bene i conti, bisogna aggiungere le duemila
persone messe in mobilità nel 2001: “In tutto – tira le somme
Claudio Stacchini, della segreteria Fiom di Torino – fanno 4.300
posti di lavoro. L’equivalente di una grande impresa che chiude i
battenti e lascia la città”. E Torino senza Fiat sarebbe, per
Luciano Gallino, una città senz’anima. Una provocazione? No: per
la Cgil tra le righe delle intese separate sottoscritte da Fim, Uilm
e Fismic con l’azienda è nascosta la parola “fine” sul futuro
dell’auto. In quell’accordo non c’è neanche una parola sulla
nuova frontiera dell’automobile. Niente sulle tecnologie
ecocompatibili, per tutti gli esperti di politiche industriali il
futuro dell’auto. Nel 2003 la Toyota commercializzerà le prime
vetture a idrogeno nell’area di Tokyo, la Daimler Chrysler ha già
presentato un prototipo di auto sempre a idrogeno, “Fuel Cell”,
che con 37 cavalli di potenza può viaggiare fino a 130 chilometri
orari; su motori a idrogeno o “ibridi” (gas, benzina, metano,
idrogeno) sta puntando anche la Ford. E sull’idrogeno come
rivoluzionaria fonte di energia ha appena scritto un libro Jeremy
Rifkin. “Bene, in un contesto di questo tipo, la Fiat –
polemizza Stacchini – riesce a presentare un piano industriale che
non dice nulla sulle nuove vetture e presenta investimenti per 2,4
miliardi di euro l’anno: la metà di quanto spendono in media le
altri grandi dell’auto. Si può, in queste condizioni, parlare di
futuro”?
Ammortizzatori sociali, o quel che ne resta
E allora non restano che gli ammortizzatori sociali. Ma anche qui
siamo agli sgoccioli: a ottobre le Carrozzerie di Mirafiori avranno
raggiunto le 42 settimane di cassa integrazione, su 52 disponibili.
Ancora peggio, se possibile, stanno i cugini lombardi di Arese: qui
le settimane di Cig disponibili finiranno in autunno. Cosa succederà,
poi? È una crisi, quella torinese, che non risparmia neanche
l’indotto dell’auto: il 65 per cento dipendente direttamente da
Fiat: “Sono arrivati i primi esuberi, per centinaia di persone –
aggiunge Stacchini – e le prime chiusure. E poi c’è un altro
segnale inquietante: le ore di cassa integrazione nel primo
quadrimestre hanno già raggiunto quota 8 milioni”.
Una situazione disperata, cui però il sindacato contrappone
richieste precise: “La Fiat e i suoi alleati devono investire e
recuperare il ritardo tecnolgico accumulato negli anni – elenca il
sindacalista –. Il governo, in una partita di questa importanza,
non può limitarsi a offrire una sede di monitoraggio per la crisi:
servono politiche di sostegno e incentivazione allo sviluppo. Le
amministrazioni locali, infine, devono far valere la capacità di
rappresentanza dei cittadini: non si può pensare che per il futuro
di Torino bastino le Olimpiadi”. Intanto, però, bisogna
fare i conti con una crisi sempre più nera: la Fiat Auto continua a
perdere quote di mercato in Italia ed Europa e anche il terzo
semestre di bilancio, sembra certo, andrà male. Il primo semestre
2002 ha chiuso con un risultato operativo in negativo per 426
milioni di euro: lo scorso anno l’utile era stato di 528 milioni
di euro. Negli stabilimenti di Mirafiori circola una voce
inquietante: il prossimo licenziamento di 300 dirigenti. Il prodromo
di una fase ancora più drammatica.
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