I recenti avvenimenti che hanno interessato il
gruppo di corso Marconi, con le notizie giornalistiche su una
prossima vendita di Fiat Auto, pongono inquietanti interrogativi
sulla dimensione della crisi dell’azienda torinese e
sull’avvenire della principale realtà industriale italiana.
Innanzitutto, è opportuno precisare che questa probabilmente è una
crisi ancora più grave di quella che ha interessato la Fiat nel
’93-94, che comportò un processo di ristrutturazione con il
licenziamento di oltre 3.000 tra impiegati e quadri. Un confronto
sulla dimensione del debito aziendale può rendere bene la
situazione: nel ’93 il gruppo aveva un debito che era pari al 140
per cento del proprio patrimonio, nel 2001 il debito è pari al 238
per cento. Nel corso degli anni novanta, la Fiat ha attuato una
serie di strategie per incrementare la propria redditività, come la
mondializzazione della propria presenza, che ha determinato una
modifica strutturale della distribuzione occupazionale (’90:
Italia, 78,2 per cento dell’occupazione complessiva; 2001: Italia,
48,1 per cento).
Il nuovo piano di ristrutturazione
Tutto ciò, però, non ha risolto i problemi dell’azienda e
per rispondere al processo d’accumulazione progressiva del debito
e ai negativi risultati di bilancio la Fiat annunciò, lo scorso 10
dicembre, un nuovo piano di ristrutturazione che, in sintesi, si
basava sui seguenti interventi: • Chiusura di 18 stabilimenti (2
in Italia e 16 nel resto del mondo) nel periodo 2002-2004, di cui
molti della Case New Holland (gruppo recentemente acquisito dalla
Fiat nel settore della produzione di trattori), dove il piano di
ristrutturazione già in corso subirà un’estensione e un
acceleramento (complessivamente la Case scenderà da 60 stabilimenti
a 36). Oltre a questo, è prevista la cessazione delle produzioni di
veicoli industriali in Argentina, con il trasferimento in Brasile.
La stessa sorte dovrebbero seguire le produzioni argentine di
autoveicoli, mentre in Italia le produzioni automobilistiche dello
stabilimento di Rivalta sono trasferite a Mirafiori, con il
conseguente trasferimento della Fiat Avio di Torino a Rivalta. •
Riorganizzazione di Fiat Auto in quattro Business unit (Fiat-Lancia,
Alfa, Sviluppi internazionali, Servizi per i clienti), ognuna delle
quali avrà strutture proprie e precise responsabilità dei
risultati produttivi, economici e di mercato. • Dismissioni per
circa due miliardi di euro nel 2002. In particolare, quella della
Magneti Marelli, anche se alcune fonti aziendali hanno riportato,
come altre possibili cessioni, quella della Teksid, della Fiat
Engineering, del Comau, delle produzioni militari. • Aumento del
capitale sociale per un miliardo di euro e collocazione di un
prestito obbligazionario per 2,2 miliardi di dollari.
Per gli attenti osservatori del gruppo Fiat
l’annuncio della nuova ristrutturazione non rappresentò una
sorpresa, proprio perché erano ormai evidenti i segni del
deterioramento della situazione aziendale. L’accumulo complessivo
di 6.000 milioni di euro di debito netto, alla fine del 2001, è
infatti il risultato di più fattori negativi che si sono accumulati
nel corso degli ultimi anni e che a loro volta sono la conseguenza
di scelte strategiche compiute dall’azienda. Innanzitutto, una
quota consistente del debito deriva dalle politiche di acquisizioni
realizzate alla fine degli anni novanta: in particolare, la Pico
(settore dei beni strumentali) e la Case (macchine per
l’agricoltura). L’acquisizione di questi gruppi industriali ha
dato una posizione di preminenza mondiale della Fiat in questi
settori, ma contemporaneamente ha determinato un consistente
indebitamento e la necessità di nuove risorse per ristrutturare le
produzioni acquisite, che erano in parte scarsamente efficienti o
tecnologicamente superate.
Fiat
Auto
|
1990
|
2001
|
Fatturato
in milioni di euro
|
14.293
|
24.440
|
Occupati
nel mondo
|
133.431
|
70.233
|
Occupati
in Italia in %
|
87%
|
60,9%
|
Quota
di mercato in Italia
|
52,8%
|
34,7%
|
Quota
di mercato in Europa
|
14,3%
|
9,6%
|
Redditività
del capitale investito
|
17,1%
|
-
|
Successivamente, lo stesso piano di rientro del
debito non ha funzionato, soprattutto per i limiti dimostrati dalla
principale società del gruppo, Fiat Auto, che negli ultimi anni ha
avuto risultati economici progressivamente negativi. Il ’97 è
l’ultimo anno in cui Fiat Auto è riuscita ad avere un risultato
di bilancio positivo, per effetto del provvedimento di
“rottamazione”, emesso dal governo Prodi, per le automobili più
vecchie: è tuttavia opportuno aggiungere che, anche in quella
circostanza, l’incremento di mercato favorì gli altri produttori,
mentre Fiat Auto continuò a perdere quote del mercato nazionale ed
europeo. I pochi dati illustrati nella tabella in pagina, danno
un’idea di massima di qual è la situazione dell’azienda e della
sua progressiva perdita di competitività nel corso del tempo. In
particolare, si può notare come nel ’90 Fiat Auto “tirasse”
la redditività del gruppo, mentre il valore negativo del 2001
contribuisce a comprimerla. I conti economici dimostrano, in
definitiva, come Fiat Auto sia il “buco nero” del gruppo.
L’alleanza con General Motors
Le ragioni di questa perdita di competitività sono molte e la
stessa alleanza con la General Motors non contribuisce, per il
momento, a risolverle. Si può osservare, infatti, che questa
presenta caratteristiche uniche nel panorama mondiale, poiché
lascia alle due case la possibilità di farsi concorrenza reciproca,
mentre si ricercano delle sinergie nella riduzione dei costi di
produzione. Ciò viene realizzato attraverso l’avvenuta
costituzione di due società a composizione paritaria (pacchetto
azionario suddiviso al 50 per cento) nella produzione di
motopropulsori (Powertrain) e nell’acquisto dei componenti (Purchasing),
oltre che nella realizzazione di importanti parti strutturali della
carrozzeria, comuni a più modelli di vetture. Come si può
osservare, si tratta di un’alleanza legata esclusivamente al
contenimento dei costi di produzione, mentre risulta meno efficace
per quanto riguarda gli altri aspetti su cui l’azienda torinese
denuncia un’evidente debolezza: la capacità di reggere la
competizione di mercato e i processi d’innovazione, in particolare
il lancio dei nuovi prodotti, su cui gli altri industriali del
settore hanno dimostrato un maggior dinamismo rispetto alla Fiat.
In realtà, all’interno del gruppo molti sostengono che
quest’alleanza sia stata prescelta proprio perché non metteva in
discussione l’autonomia e la proprietà di Fiat Auto, mentre altre
alleanze, che erano possibili, prevedevano una strategia gestionale
con intrecci molto più stretti e, alla fine, il cambiamento degli
assetti proprietari. Tuttavia, è opportuno aggiungere che
l’accordo con la General Motors prevede anche la possibilità
della cessione della maggioranza del pacchetto azionario di Fiat
Auto (la cosiddetta “opzione put”), dopo il 2004, se l’azienda
di corso Marconi riterrà non più conveniente la continuazione
delle produzioni autoveicolistiche. In questo caso, si aprirebbero
rilevanti problemi d’integrazione tra le due aziende, per le
evidenti sovrapposizioni nell’ambito delle stesse categorie di
modelli di vetture prodotte, che si sono accentuate dopo
l’acquisto della Daewoo da parte di General Motors.
L’evoluzione della crisi negli ultimi giorni
La crisi aziendale ha subito in questi giorni un’ulteriore
evoluzione, per effetto dell’andamento cedente del titolo Fiat nei
mercati borsistici e per un articolo del Financial Times, che ha
sembrato indicare una prossima vendita di Fiat Auto. E, in effetti,
il piano di ristrutturazione sopra descritto sembra non convincere
molto i mercati e gli analisti finanziari, anche perché il previsto
aumento di capitale è pari alla metà di quello effettuato nella
crisi del ’93, in cui il debito era nettamente inferiore: in
questo modo, l’esborso per la proprietà è limitato a 300 milioni
di euro. Un altro elemento che pesa in modo rilevante nel giudizio
negativo dei mercati sulla situazione aziendale è rappresentato
dalle evidenti divisioni emerse nella famiglia Agnelli subito dopo
l’annuncio del piano di ristrutturazione: in tal senso, le
dichiarazione di Umberto Agnelli del 14 dicembre 2001 (“aspetto
con trepidazione i risultati che ci hanno promesso”) lasciano
intendere un atteggiamento polemico nei confronti degli obiettivi
del piano stesso.
È ormai una voce diffusa tra i lavoratori e i
dirigenti Fiat che dietro questa polemica c’è la volontà di una
parte della famiglia Agnelli di cedere definitivamente Fiat Auto,
per le continue perdite che comporta e per un’assenza di
prospettive reali in questo settore. Una lettura possibile del caso
giornalistico, circa la supposta vendita di Fiat Auto, può essere
il risultato dello scontro aperto ai massimi livelli dell’azienda
sugli assetti del portafoglio azionario. Al momento, l’intervento
immediato di Giovanni Agnelli, che ha respinto qualsiasi ipotesi di
vendita, con l’annuncio del riazzeramento del capitale sociale di
Fiat Auto per coprire i debiti accumulati e la sua ricostituzione a
1,8 miliardi di euro, ha messo una “toppa” alla caduta del
titolo, che tuttavia mantiene un andamento altalenante,
probabilmente nell’attesa di scelte più consistenti. Quel che è
certo, in ogni modo, è che la Fiat è sottoposta a un processo di
trasformazione rilevante, dov’è prevista da una parte la cessione
di una serie di attività industriali e, dall’altra,
l’acquisizione di una serie di attività di servizio alle imprese
e ai clienti dei prodotti Fiat. Per realizzare, in questo modo, un
riposizionamento complessivo del gruppo verso attività che hanno
una redditività superiore e una minore ciclicità del prodotto
autoveicolistico.
Le conseguenze per i lavoratori
Questi processi hanno inevitabilmente delle conseguenze gravi per i
lavoratori dipendenti della Fiat e, probabilmente, anche per quelli
di molte aziende dell’indotto. Innanzitutto, se stiamo alle cifre
ufficiali, il piano di ristrutturazione annunciato alla fine del
2001 avrà come effetto la riduzione di 6.000 lavoratori.
L’azienda dichiara che tali riduzioni avverranno negli
stabilimenti fuori dall’Italia: tacendo però sulla portata della
cassa integrazione, che riguarda sempre più frequentemente i
lavoratori di Fiat Auto (alcune linee di prodotto effettuano anche 2
settimane di cig al mese) e che incide fortemente sulle retribuzione
degli interessati. In definitiva, sembra proprio che il conto
maggiore degli errori commessi dal management Fiat (errori ammessi
implicitamente con la rimozione dell’amministratore delegato di
Fiat Auto, Roberto Testore) sia presentato proprio ai lavoratori.
Questi sono sempre più preoccupati, non solamente per le voci, che
ormai sono largamente diffuse negli stabilimenti, circa alcune
migliaia di possibili eccedenti che la Fiat si appresterebbe a
dichiarare, ma anche per l’evidente assenza di prospettive, per la
mancanza di indicazioni e di piani d’investimento nei principali
stabilimenti di Fiat Auto (tutto ciò genera una situazione di
sbandamento che riguarda anche i dirigenti aziendali).
A fronte di un quadro così complesso e carico
di problemi, un ulteriore elemento negativo riguarda proprio le
relazioni sindacali: il progetto di ristrutturazione presentato
dall’azienda non ha avuto un momento di trattativa con le
organizzazioni dei lavoratori. In questi frangenti, la Fiat ha
proceduto senza preoccuparsi di un esame approfondito del piano
industriale e delle sue conseguenze sugli addetti. Sembra proprio
che corso Marconi accentui sempre di più una sua caratteristica
storica, già denunciata a suo tempo da Vittorio Foa: di chiusura in
se stessa e di ragionare nel rapporto con la società e il mondo
esterno in termini di rapporti di forza. Da questo punto di vista,
si deve registrare il fallimento del sistema di relazioni
partecipative introdotto con l’accordo del 18 marzo ’96: era un
sistema largamente incompiuto per molti aspetti, ma alla prova dei
fatti, nel momento di una vasta e grave crisi di mercato e di
prospettiva, si rivela assolutamente inutile. In conclusione, tutto
fa ritenere che molte nubi si stiano addensando sui lavoratori della
Fiat: per questo, è necessaria una forte iniziativa sindacale, che
sappia aggregare forze politiche e istituzioni locali. La stessa
eccezionalità dei problemi da affrontare favorisce la costruzione
di un vasto movimento per tentare di condizionare i processi in
corso; fondamentali diventano, però, gli obiettivi e
l’elaborazione di politiche industriali adeguate.
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