maggio 2002     da RASSEGNA SINDACALE

FIAT.........La crisi più grave

di Piero Pessa

 

I recenti avvenimenti che hanno interessato il gruppo di corso Marconi, con le notizie giornalistiche su una prossima vendita di Fiat Auto, pongono inquietanti interrogativi sulla dimensione della crisi dell’azienda torinese e sull’avvenire della principale realtà industriale italiana. Innanzitutto, è opportuno precisare che questa probabilmente è una crisi ancora più grave di quella che ha interessato la Fiat nel ’93-94, che comportò un processo di ristrutturazione con il licenziamento di oltre 3.000 tra impiegati e quadri. Un confronto sulla dimensione del debito aziendale può rendere bene la situazione: nel ’93 il gruppo aveva un debito che era pari al 140 per cento del proprio patrimonio, nel 2001 il debito è pari al 238 per cento. Nel corso degli anni novanta, la Fiat ha attuato una serie di strategie per incrementare la propria redditività, come la mondializzazione della propria presenza, che ha determinato una modifica strutturale della distribuzione occupazionale (’90: Italia, 78,2 per cento dell’occupazione complessiva; 2001: Italia, 48,1 per cento).

Il nuovo piano di ristrutturazione
Tutto ciò, però, non ha risolto i problemi dell’azienda e per rispondere al processo d’accumulazione progressiva del debito e ai negativi risultati di bilancio la Fiat annunciò, lo scorso 10 dicembre, un nuovo piano di ristrutturazione che, in sintesi, si basava sui seguenti interventi: • Chiusura di 18 stabilimenti (2 in Italia e 16 nel resto del mondo) nel periodo 2002-2004, di cui molti della Case New Holland (gruppo recentemente acquisito dalla Fiat nel settore della produzione di trattori), dove il piano di ristrutturazione già in corso subirà un’estensione e un acceleramento (complessivamente la Case scenderà da 60 stabilimenti a 36). Oltre a questo, è prevista la cessazione delle produzioni di veicoli industriali in Argentina, con il trasferimento in Brasile. La stessa sorte dovrebbero seguire le produzioni argentine di autoveicoli, mentre in Italia le produzioni automobilistiche dello stabilimento di Rivalta sono trasferite a Mirafiori, con il conseguente trasferimento della Fiat Avio di Torino a Rivalta. • Riorganizzazione di Fiat Auto in quattro Business unit (Fiat-Lancia, Alfa, Sviluppi internazionali, Servizi per i clienti), ognuna delle quali avrà strutture proprie e precise responsabilità dei risultati produttivi, economici e di mercato. • Dismissioni per circa due miliardi di euro nel 2002. In particolare, quella della Magneti Marelli, anche se alcune fonti aziendali hanno riportato, come altre possibili cessioni, quella della Teksid, della Fiat Engineering, del Comau, delle produzioni militari. • Aumento del capitale sociale per un miliardo di euro e collocazione di un prestito obbligazionario per 2,2 miliardi di dollari.

Per gli attenti osservatori del gruppo Fiat l’annuncio della nuova ristrutturazione non rappresentò una sorpresa, proprio perché erano ormai evidenti i segni del deterioramento della situazione aziendale. L’accumulo complessivo di 6.000 milioni di euro di debito netto, alla fine del 2001, è infatti il risultato di più fattori negativi che si sono accumulati nel corso degli ultimi anni e che a loro volta sono la conseguenza di scelte strategiche compiute dall’azienda. Innanzitutto, una quota consistente del debito deriva dalle politiche di acquisizioni realizzate alla fine degli anni novanta: in particolare, la Pico (settore dei beni strumentali) e la Case (macchine per l’agricoltura). L’acquisizione di questi gruppi industriali ha dato una posizione di preminenza mondiale della Fiat in questi settori, ma contemporaneamente ha determinato un consistente indebitamento e la necessità di nuove risorse per ristrutturare le produzioni acquisite, che erano in parte scarsamente efficienti o tecnologicamente superate.  

Fiat Auto

1990

2001

Fatturato in milioni di euro

14.293

24.440

Occupati nel mondo

133.431

70.233

Occupati in Italia in %

87%

60,9%

Quota di mercato in Italia

52,8%

34,7%

Quota di mercato in Europa

14,3%

9,6%

Redditività del capitale investito

17,1%

-

Successivamente, lo stesso piano di rientro del debito non ha funzionato, soprattutto per i limiti dimostrati dalla principale società del gruppo, Fiat Auto, che negli ultimi anni ha avuto risultati economici progressivamente negativi. Il ’97 è l’ultimo anno in cui Fiat Auto è riuscita ad avere un risultato di bilancio positivo, per effetto del provvedimento di “rottamazione”, emesso dal governo Prodi, per le automobili più vecchie: è tuttavia opportuno aggiungere che, anche in quella circostanza, l’incremento di mercato favorì gli altri produttori, mentre Fiat Auto continuò a perdere quote del mercato nazionale ed europeo. I pochi dati illustrati nella tabella in pagina, danno un’idea di massima di qual è la situazione dell’azienda e della sua progressiva perdita di competitività nel corso del tempo. In particolare, si può notare come nel ’90 Fiat Auto “tirasse” la redditività del gruppo, mentre il valore negativo del 2001 contribuisce a comprimerla. I conti economici dimostrano, in definitiva, come Fiat Auto sia il “buco nero” del gruppo.


L’alleanza con General Motors 
Le ragioni di questa perdita di competitività sono molte e la stessa alleanza con la General Motors non contribuisce, per il momento, a risolverle. Si può osservare, infatti, che questa presenta caratteristiche uniche nel panorama mondiale, poiché lascia alle due case la possibilità di farsi concorrenza reciproca, mentre si ricercano delle sinergie nella riduzione dei costi di produzione. Ciò viene realizzato attraverso l’avvenuta costituzione di due società a composizione paritaria (pacchetto azionario suddiviso al 50 per cento) nella produzione di motopropulsori (Powertrain) e nell’acquisto dei componenti (Purchasing), oltre che nella realizzazione di importanti parti strutturali della carrozzeria, comuni a più modelli di vetture. Come si può osservare, si tratta di un’alleanza legata esclusivamente al contenimento dei costi di produzione, mentre risulta meno efficace per quanto riguarda gli altri aspetti su cui l’azienda torinese denuncia un’evidente debolezza: la capacità di reggere la competizione di mercato e i processi d’innovazione, in particolare il lancio dei nuovi prodotti, su cui gli altri industriali del settore hanno dimostrato un maggior dinamismo rispetto alla Fiat.

In realtà, all’interno del gruppo molti sostengono che quest’alleanza sia stata prescelta proprio perché non metteva in discussione l’autonomia e la proprietà di Fiat Auto, mentre altre alleanze, che erano possibili, prevedevano una strategia gestionale con intrecci molto più stretti e, alla fine, il cambiamento degli assetti proprietari. Tuttavia, è opportuno aggiungere che l’accordo con la General Motors prevede anche la possibilità della cessione della maggioranza del pacchetto azionario di Fiat Auto (la cosiddetta “opzione put”), dopo il 2004, se l’azienda di corso Marconi riterrà non più conveniente la continuazione delle produzioni autoveicolistiche. In questo caso, si aprirebbero rilevanti problemi d’integrazione tra le due aziende, per le evidenti sovrapposizioni nell’ambito delle stesse categorie di modelli di vetture prodotte, che si sono accentuate dopo l’acquisto della Daewoo da parte di General Motors.


L’evoluzione della crisi negli ultimi giorni 
La crisi aziendale ha subito in questi giorni un’ulteriore evoluzione, per effetto dell’andamento cedente del titolo Fiat nei mercati borsistici e per un articolo del Financial Times, che ha sembrato indicare una prossima vendita di Fiat Auto. E, in effetti, il piano di ristrutturazione sopra descritto sembra non convincere molto i mercati e gli analisti finanziari, anche perché il previsto aumento di capitale è pari alla metà di quello effettuato nella crisi del ’93, in cui il debito era nettamente inferiore: in questo modo, l’esborso per la proprietà è limitato a 300 milioni di euro. Un altro elemento che pesa in modo rilevante nel giudizio negativo dei mercati sulla situazione aziendale è rappresentato dalle evidenti divisioni emerse nella famiglia Agnelli subito dopo l’annuncio del piano di ristrutturazione: in tal senso, le dichiarazione di Umberto Agnelli del 14 dicembre 2001 (“aspetto con trepidazione i risultati che ci hanno promesso”) lasciano intendere un atteggiamento polemico nei confronti degli obiettivi del piano stesso.

È ormai una voce diffusa tra i lavoratori e i dirigenti Fiat che dietro questa polemica c’è la volontà di una parte della famiglia Agnelli di cedere definitivamente Fiat Auto, per le continue perdite che comporta e per un’assenza di prospettive reali in questo settore. Una lettura possibile del caso giornalistico, circa la supposta vendita di Fiat Auto, può essere il risultato dello scontro aperto ai massimi livelli dell’azienda sugli assetti del portafoglio azionario. Al momento, l’intervento immediato di Giovanni Agnelli, che ha respinto qualsiasi ipotesi di vendita, con l’annuncio del riazzeramento del capitale sociale di Fiat Auto per coprire i debiti accumulati e la sua ricostituzione a 1,8 miliardi di euro, ha messo una “toppa” alla caduta del titolo, che tuttavia mantiene un andamento altalenante, probabilmente nell’attesa di scelte più consistenti. Quel che è certo, in ogni modo, è che la Fiat è sottoposta a un processo di trasformazione rilevante, dov’è prevista da una parte la cessione di una serie di attività industriali e, dall’altra, l’acquisizione di una serie di attività di servizio alle imprese e ai clienti dei prodotti Fiat. Per realizzare, in questo modo, un riposizionamento complessivo del gruppo verso attività che hanno una redditività superiore e una minore ciclicità del prodotto autoveicolistico.


Le conseguenze per i lavoratori 
Questi processi hanno inevitabilmente delle conseguenze gravi per i lavoratori dipendenti della Fiat e, probabilmente, anche per quelli di molte aziende dell’indotto. Innanzitutto, se stiamo alle cifre ufficiali, il piano di ristrutturazione annunciato alla fine del 2001 avrà come effetto la riduzione di 6.000 lavoratori. L’azienda dichiara che tali riduzioni avverranno negli stabilimenti fuori dall’Italia: tacendo però sulla portata della cassa integrazione, che riguarda sempre più frequentemente i lavoratori di Fiat Auto (alcune linee di prodotto effettuano anche 2 settimane di cig al mese) e che incide fortemente sulle retribuzione degli interessati. In definitiva, sembra proprio che il conto maggiore degli errori commessi dal management Fiat (errori ammessi implicitamente con la rimozione dell’amministratore delegato di Fiat Auto, Roberto Testore) sia presentato proprio ai lavoratori. Questi sono sempre più preoccupati, non solamente per le voci, che ormai sono largamente diffuse negli stabilimenti, circa alcune migliaia di possibili eccedenti che la Fiat si appresterebbe a dichiarare, ma anche per l’evidente assenza di prospettive, per la mancanza di indicazioni e di piani d’investimento nei principali stabilimenti di Fiat Auto (tutto ciò genera una situazione di sbandamento che riguarda anche i dirigenti aziendali).

A fronte di un quadro così complesso e carico di problemi, un ulteriore elemento negativo riguarda proprio le relazioni sindacali: il progetto di ristrutturazione presentato dall’azienda non ha avuto un momento di trattativa con le organizzazioni dei lavoratori. In questi frangenti, la Fiat ha proceduto senza preoccuparsi di un esame approfondito del piano industriale e delle sue conseguenze sugli addetti. Sembra proprio che corso Marconi accentui sempre di più una sua caratteristica storica, già denunciata a suo tempo da Vittorio Foa: di chiusura in se stessa e di ragionare nel rapporto con la società e il mondo esterno in termini di rapporti di forza. Da questo punto di vista, si deve registrare il fallimento del sistema di relazioni partecipative introdotto con l’accordo del 18 marzo ’96: era un sistema largamente incompiuto per molti aspetti, ma alla prova dei fatti, nel momento di una vasta e grave crisi di mercato e di prospettiva, si rivela assolutamente inutile. In conclusione, tutto fa ritenere che molte nubi si stiano addensando sui lavoratori della Fiat: per questo, è necessaria una forte iniziativa sindacale, che sappia aggregare forze politiche e istituzioni locali. La stessa eccezionalità dei problemi da affrontare favorisce la costruzione di un vasto movimento per tentare di condizionare i processi in corso; fondamentali diventano, però, gli obiettivi e l’elaborazione di politiche industriali adeguate.