L’uccisione di Mussolini

 

Come è noto Mussolini fu arrestato il giorno 27 a Musso, nei pressi di Dongo sul lago di Como e ucciso il giorno successivo. Non è certo, però, il luogo della morte. E non sono certe neppure le modalità dell’uccisione e l’identità degli assassini.

 

Secondo la versione ufficiale che fu data subito dopo l’uccisione di Mussolini, egli, dopo la cattura avvenuta presso Dongo e dopo una breve sosta in quel municipio, fu condotto prima a Germasino nella caserma della Guardia di Finanza e poi a Bonzanigo nella casa dei De Maria. Pare che a condurre Mussolini e la Petacci in quest’ultimo luogo durante una brutta serata di pioggia battente siano stati Luigi Canali (Neri), che era qui molto conosciuto, Gianna, la sua donna e Michele Moretti (Pietro). E fu il Neri che lasciò a guardia dei prigionieri due suoi uomini, Lino e Sandrino, cui pare che, poi, si sia aggiunto un terzo uomo dello stesso Neri. Qui nel pomeriggio di sabato 28 aprile fu prelevato con Claretta Petacci dal colonnello Valerio (Walter Audisio) e dagli uomini della sua scorta (Aldo Lampredi (Guido) e Michele Moretti (Pietro)), condotto davanti al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra ove fu ucciso insieme alla donna, intorno alle ore 16,25.

 Tale versione, imposta, pare, dal partito comunista, è ormai considerata da tutti poco attendibile.

 

Fabrizio Bernini nel suo “Così uccidemmo il Duce”, avvalendosi di testimonianze di partigiani presenti nella zona, conferma quasi tutto ma non il luogo dell’uccisione. Egli infatti sostiene che l’uccisione avvenne in una stradetta laterale poco sotto casa De Maria, nel primo pomeriggio o addirittura al mattino. Dopo di che a Villa Belmonte furono trasportati i cadaveri e fu inscenata qui la fucilazione.

 

Secondo Pisanò Mussolini e la Petacci furono uccisi nel cortile di Casa De Maria addirittura al mattino, intorno a mezzogiorno. Esiste una testimone oculare che vide trascinare fuori dal cortile il corpo di Mussolini e vide uccidere la Petacci nella stradina, subito fuori dal cortile. Essa, il cui nome è Dorina Mazzola (ma anche Giuseppina Mazzola pare abbia visto), udì poi le raffiche della falsa fucilazione davanti a Villa Belmonte alle ore 16,25. Ma si fa pure l’ipotesi che l’uccisione potrebbe essere avvenuta addirittura al mattino verso le ore 8, a seguito di un tentativo di violenza della Petacci al quale Mussolini si sarebbe opporto energicamente.

 

La versione di Urbano Lazzaro (Bill) è simile: gli uccisori sarebbero stati Valerio, che sarebbe salito a Bonzanigo unendosi, presso il bivio di Azzano, a Lampredi e Moretti (che erano partiti prima da Como, non si sa bene perché, suscitando le ire di Valerio) e, pare, anche ad Alfredo Mordini (Riccardo) e allo stesso Bill, mentre Neri e Gianna, forse con altri, si sarebbero trovati già sul posto. E l’uccisione sarebbe avvenuta subito fuori dal cortile, quasi per sbaglio  e contro la volontà di Valerio che avrebbe voluto portare tutti a Milano per fucilarli pubblicamente a Piazzale Loreto. Secondo questa versione, quindi, Valerio avrebbe fatto questo prima di arrivare a Dongo, dove poi giunse alle ore 14,10. Sarebbe poi risalito a Giulino di Mezzegra per la sceneggiata della fucilazione davanti a Villa Belmonte.

 

 Secondo la versione di Orfeo Landini (Piero), invece, l’uccisione sarebbe avvenuta nella stradina laterale poco sotto casa De Maria e sarebbero stati presenti lui stesso, Valerio, Mordini, Moretti e anche Neri. Il primo a sparare fu Moretti che colpì il Duce prima al braccio e poi al petto, quindi Mordini si accinse a sparare alla Petacci che cercò di deviare la canna del mitra afferrandola con una mano, per cui Mordini, per liberare l’arma, la colpì al volto. Poi sparò alla schiena della donna che si era gettata contro Mussolini a fargli da scudo e la uccise. I due caddero insieme.

 

Non appare molto convincente l’ipotesi, pure avanzata, che il colonnello Valerio non fosse il ragionier Walter Audisio ma lo stesso Luigi Longo (Gallo). D’altra parte c’era nel gruppo dei presenti all’uccisione quell’Aldo Lampredi, personaggio notevole del partito comunista e uomo di Longo, che rendeva superflua la presenza di Longo stesso. Molto probabilmente fu Lampredi il vero esecutore degli ordini di Longo e del partito comunista e, quindi, il vero regista di tutta l’operazione.

 

Recentemente, poi, in un programma televisivo l’ex partigiano Bruno Lonati (Giacomo) ha affermato di avere lui ucciso il duce nella stradina laterale sotto la casa dei De Maria insieme ad un ufficiale inglese che avrebbe sparato a Claretta. Dice che, saliti a Casa De Maria, disarmarono i due (o tre) partigiani di guardia, condussero fuori i due prigionieri e li uccisero poco sotto, in una stradina laterale, la stessa della ricostruzione del Bernini, alle ore 11 circa.

 Questo accadde prima dell’arrivo di Valerio e degli altri e i corpi senza vita furono abbandonati sul luogo dell’uccisione.

 Questa versione verrebbe ad avvalorare l’ipotesi che a volere la morte di Mussolini fossero soprattutto gli inglesi, impegnati a recuperare le carte contenute nelle famose borse che Mussolini aveva con se. Il Lonati dice che l’inglese (che lui conosceva come John) scattò delle foto ai cadaveri e a lui stesso vicino ai cadaveri e dice anche che queste foto erano in possesso dell’ambasciatore inglese che gliele avrebbe in seguito mostrate ma si sarebbe rifiutato di consegnargliele. Dice anche, il Lonati, che molto tempo dopo riuscì a mettesi in contatto con John e ottenne un appuntamento con lui in Inghilterra. Ma quando andò per incontrarlo il fantomatico John non si fece trovare.

 Secondo questa ricostruzione il “colonnello Valerio” che giunse poco dopo, non sarebbe stato Walter Audisio ma Luigi Longo, venuto personalmente per eseguire la condanna a morte di Mussolini emessa dal Comintern (che questa condanna del Comintern fosse effettivamente stata emessa lo testimonia anche, in un’intervista televisiva, Massimo Caprara che fu a lungo segretario di Togliatti). Fu quindi lui che, trovati i cadaveri, organizzò la “sceneggiata” di Villa Belmonte, mentre Audisio, giunto a Dongo alle 14,10, organizzò la fucilazione degli altri fascisti.

 

Che agenti inglesi fossero presenti in Alta Italia durante questi avvenimenti è certo. Sul n. 5 Settembre-Ottobre 2004 di Nuova Storia Contemporanea, a pag.145 si trova il testo di una testimonianza che un agente dei servizi segreti inglesi di origine italiana, tale Massimo Salvadori-Paleotti, meglio noto come Max Salvadori, rilasciò a Renzo De Felice che si accingeva a scrivere il volume conclusivo delle biografia di Mussolini (cosa che, purtroppo, non ha fatto in tempo a portare a compimento). In tale intervista il Salvadori parla con esagerato disprezzo degli uomini della R.S.I. e dello stesso Mussolini, mostrando di non aver avuto, all’epoca, alcun interesse per lui. Ammette, però, di essere stato presente alla riunione del C.L.N.A.I. durante la quale si parlò del destino del Duce appena catturato e dice di aver preso la parola (cosa che non aveva fatto mai durante le precedenti riunioni) per sostenere che, fino a che l’Allied Military Government non si fosse insediato, tutte le decisioni spettavano al CLNAI. Non lo dice ma è come se esortasse il CLNAI a fare presto.

 In realtà De Felice era convinto che, mentre gli americani volevano il Duce vivo per processarlo, “senza preoccuparsi di quello che avrebbe potuto dire” (Vedi Rosso e Nero di Renzo De Felice – Baldini & Castoldi Milano 1995), gli inglesi non lo volevano affatto. Per cui l’ipotesi che gli agenti inglesi possano avere avuto un ruolo nella soppressione di Mussolini è tutt’altro che campata in aria.

 

CHURCHILL VOLEVA LA MORTE DEL DUCE

Ulteriore conferma a questa ultima tesi viene da un articolo di Eugenio Di Rienzo dal titolo L’idea di Churchill: eliminare Mussolini senza processo (il Giornale di mercoledì 10 marzo 2010 pag 31) In esso si riferisce di documenti conservati nei “National Archives” britannici dai quali emergono elementi di notevole interesse.

 Il primo documento di cui si parla è un promemoria consegnato il 24 aprile 1943 dal Ministro degli Esteri inglese Antony Eden ai membri del gabinetto. In esso viene evidenziata la perfetta consapevolezza delle condizioni sempre più drammatiche in cui versava l’Italia, con la popolazione martoriata dai “bombardamenti terroristici” personalmente voluti da Churchill, con l’esercito sfiduciato e senza più voglia di combattere, con l’opinione pubblica sempre più distaccata dal Fascismo a da Mussolini. Tale consapevolezza, derivante in larga misura dall’intercettazione e decrittazione (fatta dall’intelligence statunitense) della corrispondenza diplomatica che gli ambasciatori giapponesi inviavano da Roma, Berlino e paesi neutrali fra cui il Vaticano, consentiva all’Inghilterra di tenersi pronta a ogni tipo di evento come quello che, poi,  si verificò il 25 luglio.

 E, infatti, già il 26 luglio Churchill poteva presentare al gabinetto di guerra una prima bozza di un dettagliato piano di azione (Thoughts of The Fall of Mussolini). E’, questo, il secondo documento che si cita nell’articolo e che contribuisce, fra l’altro, a rafforzare la convinzione che Churchill desiderava e, forse, preparava, l’assassinio di Mussolini. E’ noto che già poco dopo lo sbarco in Sicilia il Maresciallo dell’aria Harris aveva proposto un piano per uccidere il Duce con un bombardamento chirurgico “sugli uffici del capo del governo italiano”, il che denuncia che il problema dell’eliminazione di Mussolini era all’ordine del giorno dei governanti inglesi. Ma, se ciò non bastasse, in questo documento è lo stesso Churchill che esplicitamente afferma che tutte le gerarchie fasciste dovranno essere imprigionate in attesa di essere processate come “criminali di guerra”, senza escludere, però, la più sbrigativa soluzione di “una loro esecuzione senza processo (a prompt execution without trial). Alla luce di questo documento, allora, il comportamento dell’agente inglese sopra citato acquista un ben preciso significato

 

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