"Da quando ha lasciato le gare, il vicecampione del mondo di Formula 1 asseconda, assieme alle figlie, la sua grande passione: l'equitazione.

Avreste mai detto che possono esistere emozioni più forti di quelle che si provano su un bolide di Formula Uno lanciati a 300 all'ora sull'asfalto di un Gran Premio di Campionato del Mondo? Quando magari gli avversari incalzano, le curve e i rettilinei si susseguono in diabolica successione, addosso si ha una pressione tremenda e per un'ora e mezza si è soli dentro quell'angusto abitacolo...
Ebbene sì, emozioni più forti esistono: stando in piedi, fermi, attaccati alla staccionata di un campo ostacoli.
«L'anno scorso, a Chioggia per il campionato regionale, prima dell'ultima prova le mie due figlie erano una in testa e l'altra terza: ogni ostacolo per me è stato un infarto, sono arrivato a fine gara che non respiravo più, mi mancava l'aria, davvero un'ansia tremenda, parola mia... ». Parola di Riccardo Patrese: 256 Gran Premi in Formula Uno, vicecampione del mondo nel '92, trentasette volte sul podio. Per intendersi: non una persona che ha passato la vita a fare la calza...

Ma via, sia sincero: davvero più emozionato di quando era in pista?
«Senza dubbio. In macchina la situazione l'avevo io sotto controllo, stava nelle mie mani, a meno di guasti tecnici: ma lì siamo nel campo degli incidenti e gli incidenti in Formula Uno sono talmente veloci che non si ha nemmeno il tempo di spaventarsi, ammettendo di uscirne... Non dico che correre non fosse emozionante, ma le emozioni le ho sempre controllate bene. Quando guardo le mie figlie in gara, invece, mi sento inerme, posso solo stare attaccato alla staccionata senza fare nulla. Una tensione altissima, mai provata prima. I piloti adesso sono loro... ».
Riccardo Patrese, padovano, 45 anni, parla stando seduto in scuderia. Ma in questa scuderia non ci sono meccanici e lubrificanti, carburanti e motori: i profumi sono quelli della paglia e del truciolo, i rumori quelli dei cavalli che soffiano perché è l'ora della profenda.

«Quando ho smesso di correre la mia vita è cambiata radicalmente» - racconta Patrese. «Prima stavo undici mesi in apnea, finito di correre ho cominciato a respirare e adesso non riesco più a sopportare la pressione di impegni forti come quelli che ho vissuto per vent'anni. Lasciata la Formula Uno ho provato ad avvicinarmi alle corse minori, ma avevo ormai le batterie scariche, avevo esaurito tutto quello che potevo dare, quindi ho troncato i rapporti con il mondo dell'automobilismo, definitivamente. Mi sono organizzato per seguire molto di più e molto meglio le cose che avevo trascurato prima: la mia famiglia e me stesso. Adesso sono molto felice qui, con i cavalli, con le mie figlie che vanno ai concorsi, anche se con qualche patema d'animo... ».

E come è nato il rapporto tra l'equitazione e la sua famiglia?
«In maniera del tutto casuale. Un'estate a Cortina, in vacanza, Beatrice e Maddalena (gemelle oggi quattordicenni, n.d.r.) sono andate a fare una passeggiata a cavallo e da lì è cominciato tutto. Direi quattro anni fa, più o meno... Però, il primo vero contatto con il cavallo risale a molto prima. Una mia nipote, infatti, montava e aveva cercato di coinvolgermi in questa sua passione: è finita che lei ha cominciato a fare le gare con l'Alfa Romeo... ».
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Comunque, tra una passeggiata a Cortina e cinque cavalli in scuderia c'è un po' di differenza...
«Eh sì, anche se le cose sono andate piuttosto velocemente. Tornate da quella vacanza, Beatrice e Maddalena hanno cominciato a montare alla Scuola Padovana di Equitazione; prima con i soggetti della scuola, poi abbiamo comperato una cavalla che ha fatto da "maestra" a loro e anche a me. Poi ci siamo impegnati di più per essere competitivi, ovviamente nella categoria frequentata dalle ragazze. Così ci siamo messi nella condizione di avere più cavalli, per poterli alternare. Sono quindi arrivati Orient Express, un belga di 9 anni, e Tagir, russo di 15. Poi è arrivata Eolia du Garem, francese nata nel '92, e infine un mio amico ha pensato di regalarmi due puledri ungheresi di 5 anni: con loro c'è da lavorare molto, ma è un regalo e, visto che siamo in tema, a caval donato... «.
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Quali sono i tecnici che vi hanno accompagnato in questa evoluzione?
«Alla Scuola Padovana di Equitazione abbiamo avuto Piero Ferraro che ha messo a cavallo le bambine dando loro la prima impostazione. Una volta terminato il programma della fascia brevetti e ottenuto il primo grado ci siamo trasferiti nella scuderia di Marcello Carraro (la Scuderia del Santo, alle porte di Padova, n.d.r.) sotto la guida tecnica di Massimo Maggiore».
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I risultati ottenuti la soddisfano?
«Direi di sì. Nel '98 Maddalena è stata ottava nel Campionato d'Italia della sua categoria a Castelvolturno con Orient Express e quarta nel campionato regionale; nel '99 nel campionato regionale Beatrice ha vinto con Tagir e Maddalena è arrivata seconda con Orient Express. Poi ancora Beatrice con Tagir è andata ai Giochi della Gioventù con il Veneto e si è piazzata terza sia a squadre sia individuale. Insomma, i risultati mi sembrano buoni«.
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Per le sue figlie è un handicap o un aiuto avere un padre campione, seppure in un'altra disciplina sportiva?
«Beh, spero sia un aiuto. Io da parte mia cerco di mettere a loro disposizione la mia esperienza per cercare di avere una buona organizzazione, presupposto indispensabile per qualunque pratica sportiva a livello agonistico. Sono un novellino nel mondo dell'equitazione, però sacrificio, concentrazione, applicazione sono presupposti comuni a qualunque sport. Come padre sono un tifoso, è chiaro, vorrei che loro vincessero sempre, ma so bene che non è possibile».
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Da sportivo e da campione che percezione ha dello sport equestre e del mondo che lo circonda?
«Beh, è uno sport bellissimo, tanto che mi ci sono appassionato anch'io. Ho trovato la possibilità di instaurare un buon rapporto con l'animale-cavallo, al di là della pratica sportiva in se stessa. Grazie a Maddalena e Beatrice ho potuto constatare quanto sia impegnativo montare a cavallo seguendo un programma di crescita tecnica e agonistica: lo sport equestre è duro, ci vuole gran passione e disponibilità al sacrificio. Solo gli anni a venire diranno se le mie figlie potranno diventare brave e continuare, visto che al momento si trovano ancora nella fase del grande entusiasmo iniziale».
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Da tempo si sente ripetere che lo sport equestre ad alto livello diventerà sempre più simile alla Formula Uno: anche se non si capisce se questo è un timore o un auspicio, lei che cosa ne pensa?
«Francamente non lo so, non conosco ancora bene l'alto livello dello sport equestre. Io so solo che in Formula Uno c'è il massimo dell'organizzazione: nella programmazione di una macchina che deve nascere, a livello di team intendo, ogni minuto è scandito con assoluta precisione. Per quel poco che ho potuto constatare di persona non mi sembra che la stessa cosa accada nello sport equestre, quanto meno al livello frequentato dalle mie figlie: sia nella preparazione dei binomi, cosa ovvia del resto, visto che si ha a che fare con esseri viventi e non con pezzi meccanici; sia nell'organizzazione dell'attività agonistica, con orari che non si riescono mai a sapere in anticipo, gare cancellate o posticipate all'ultimo momento, un calendario agonistico che all'inizio dell'anno è sempre in forse».
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Una delle innegabili analogie con la Formula Uno è proprio quella delle scuderie: così come il pilota non è il proprietario della propria scuderia, anche il cavaliere di alto livello si trova nella stessa situazione. Come vede il problema economico, adesso che i costi stanno lievitando sempre più?
«Eh, non è un problema piccolo. In effetti da quello che ho visto credo che questo sia uno tra gli sport in assoluto più cari in circolazione, e questo non è positivo per la divulgazione. Quando poi andiamo ai livelli massimi è inarrivabile per un privato "normale". E anche per chi in qualche modo riesce ad avere un certo ritorno in termini di immagine, pubblicità, promozione non c'è equilibrio, perché i costi sono davvero sempre molto più alti di qualunque ritorno possibile».
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In quest'ottica lei, da sportivo e campione da una parte e da padre dall'altra, lo vede come sport che propone valori positivi per i giovani?
«Sì, senza dubbio, anche se però a un certo punto è sicuramente difficile andare avanti. O sei tanto bravo e qualcuno ti affida i cavalli, oppure... Al di là di questo io vedo che per le mie figlie l'equitazione rappresenta qualcosa di davvero importante. Lo sport è già valido di per sé perché uno sta bene fisicamente, in questo caso per di più sta a contatto con la natura e con i cavalli; l'agonismo inoltre aggiunge stimoli per la formazione della personalità. Insomma, una scuola di vita che per i giovani si rivelerà utilissima più avanti. Quando si arriva ad alto livello nello sport equestre il discorso agonistico diventa complicato: perché non basta essere bravi, ci vuole anche il cavallo all'altezza. In altri sport se tu sei bravo emergi perché sei tu e basta: qui no, e se non hai le risorse per andare avanti da solo rischi, a malincuore, di doverti fermare. In questo senso la Formula Uno è simile: chissà quanti grandi campioni non sono mai emersi perché nessuno li ha mai messi in condizione di farlo... Ecco, possiamo dire così: nell'equitazione come nella Formula Uno il talento non è sufficiente per diventare campioni».

Ritratto Di Un Campione

Si racconta così il campione veneto:

«Sono nato a Padova il 17 aprile 1954. Ho cominciato a correre a nove anni con i kart, vincendo poi il Campionato d'Italia assoluto e due volte il Campionato d'Europa a squadre; con i kart ho smesso nel '74 quando ho vinto il Campionato del Mondo assoluto all'Estoril. Lì sembrava che fossi destinato a smettere con l'attività motoristica: anche allora c'era il problema dei soldi, della macchina... La mia famiglia stava bene ma non era intenzionata a spendere cifre folli. Ma, a seguito del mondiale dell'Estoril, mi è stata messa a disposizione una macchina nella formula addestrativa di allora che si chiamava Formula Italia. Ho fatto il campionato, sono arrivato secondo, mi è stato chiesto di correre in Formula Tre: nel '76 con Trivellato di Vicenza ho vinto sia il Campionato d'Italia sia quello d'Europa di F3. Nel '77, sempre con Trivellato, ci siamo proposti in Formula Due: ho iniziato la stagione facendo pole position nelle prime gare del campionato, così venni notato e mi fu chiesto di iniziare in Formula Uno. Ho fatto il primo Gran Premio a Montecarlo e da allora sono rimasto in Formula Uno fino al '93, facendo diciassette stagioni, 256 Gran Premi di cui sei vinti, trentasette volte sul podio, otto pole position, trentasei giri più veloci, 281 punti mondiali. Nel '92 ho conquistato il secondo posto nel Camionato del Mondo, nel '93 in Australia ho fatto il mio ultimo Gran Premio. Ho corso per Shadow, Arrows, Brabham, Alfa Romeo, Brabham di nuovo, Williams, Renault e Benetton. Parallelamente alla Formula Uno ho fatto anche gare di durata con la Lancia dal 1979 al 1985 vincendo 9 gare e conquistando il titolo di vicecampione del mondo nel 1982»."

By Umberto Martuscelli
From: Cavallo Magazine (2000)

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