(da pagina 10) :
Prima di iniziare il nostro cammino desideriamo
proporre due storie roveredane, quella del 'gialut', un episodio
curioso e simpatico, e quella dei 'pindoi', un gioco che appassiòna
la nostra comunità e ricorda anche l'antica suddivisione
in 'borghi'. Certi che al lettore piacerà conoscerne la
storia.
PINDOI
Questo gioco ci riporta molto indietro
nel tempo, quando ai 'villici' non era concesso l'uso della spada
riservata per l'investitura ai nobili e ai cavalieri; ed allora
nei casi di necessità per difendersi il popolo comune
faceva ricorso alle pietre, ai bastoni e agli attrezzi da lavoro;
ecco allora che questo "gioco" serviva egregiamente
alla bisogna, per l'addestramento in lanci di precisione di grosse
pietre che, una volta colpito il cavaliere, questi sarebbe stato
facilmente disarcionato, anche perchè privo di staffa.
E queste pietre 'pindoi' (voce longobarda) a forma di pera, venivano
collocate in fila una accanto all'altra sulla sommità
delle cinte murarie, che con la loro precaria stabilità
costituivano (quale segnalatore acustico) una trappola per eventuali
intrusioni e incursioni.
Oggi questo 'gioco' lo si ripropone nell'apposita
"sagra" agostana
nella quale si scontrano a turno i rappresentanti dei dodici
'borghi' roveredani: Borgonuovo, Còdes, Forcjates, Moro,
Platha, Puart, Run cadei, Sacon, Sant'Anna, San Bastian, Tavieles
e Villotes.
Si gioca per eliminazione finchè abbattuti tutti i 'pindoi'
(le pietre collocate in fila, in fondo al campo di gara) ne resta
'in piedi' uno soltanto; ecco l'elenco dei vincitori dalla prima
'disfida' roveredana nel 1983 a oggi :
Sante De Marchi, borgo Codes 1983; Egidio Zuccato, Sacon 1984;
Antonio Presotto, Borgonuovo-Mamaluch 1985; Renato Pigatto, Villotes
1986; Pierluigi De Mattia, Run cadei 1987; Omar Pajer, Platha
1988; Pierluigi de Mattia, Run cadei 1989; Omar Pajer, Platha
1990; nel 1991 Antonio Presotto, Borgonuovo-Mamaluc e nel torneo
di rivincita Sergio De Mattia, Codes; Lorenzo Benedet, Platha
1992; Fabio Todaro, Codes 1993; Lorenzo Benedet, Platha 1994;
Maurizio Colusso, Run cadei 1995; Maurizio Colusso, Run cadei
1996; Claudio Milovic, Run cadei 1997; Aniello Ceolotto, San
Bastian 1998;
Dario Uliana, Tavieles 1999; Enzo Re, Platha nel 2000 e nel 2001
(19^ edizione) ha vinto Renato Pigatto, Villotes.
* Il gioco è molto semplice e consiste nel collocare a
debita distanza dalla linea di tiro i grossi sassi a forma di
pera, i "pindoi", da abbattere negli scontri dagli
avversari dei campioni dei 12 borghi roveredani; il gioco affonda
le sue radici nelle antiche rivalità che opponevano le
contrade raggruppate fino a qualche decennio fa in "chei
de la platha" e "chei de Còdes", i primi
a nord e i secondi a sud, divisi da una linea di demarcazione
rappresentata dalla strada di Sacon (attuale via Julia) fino
alla zona denominata Runces.
Per i temerari che avessero osato varcare questa sorta di confine
immaginario erano dolori, specialmente se sorpresi dagli avversari
nelle ore notturne.
Da qui risse vere e proprie e spesso anche scontri a base di
'sassate' per confermare la supremazia territoriale, in primis
nel campo amoroso!
Durante il Regno Lombardo-Veneto queste violenze provocarono
anche un 'coprifuoco notturno' durato per anni per tenere a freno
i giovani ' focosi' del tempo e por fine ai disordini che spesso
finivano, stando alle cronache del tempo, 'con spargimento di
sangue' e talvolta, purtroppo, ci scappava il morto.
Tempi passati, si dirà, infatti oggi lo 'scontro' avviene
in maniera più 'gentile' con tanto di sfilata di cavalieri
in costume,
in una bella cornice di folla curiosa e attenta, in occasione
della disputa del 'torneo dei pindoi'.
GIALUT
"Qualche riflessione semiseria (scrive
Ezio Pellizer) sull'agostana Sagre dal Gialùt di Roveredo
in Piano: il pennuto sacro a Ermes, Apollo e Asclepio: le credenze
popolari e le truffe. (E parla anche della "alectryomanzìa"
ovvero divinazione attraverso i galletti). Come informa il dotto
Sergio Gentilini, fu chiamato così un paesano, certo Redivo,
che acquisto' a carissimo prezzo un galletto del quale gli era
stato detto che era capace di produrre denaro... tema assai diffuso
nelle tradizioni dette folcloriche e non poteva mancare in Friuli...
dunque non c'è da stupirsi se crederà al gallo
che in qualche modo, con uova e con meno poetici "sbìts",
rende ricco il suo fortunato possessore... (poi) istituirono
perfino un Premio Gialut per onorare ogni anno non già
il più credulone, ma il più generoso benefattore
della loro comunità".
L'origine del soprannome "gialut" a suo tempo affibbiato
ad un certo Redivo, originario di Roveredo: dal certificato di
morte del 17 dicembre 1849 si sa che l'appellativo è stato
dato a Redivo perchè costui avrebbe acquistato, dagli
abitanti di Porcia (Pn) e di Palse, un galllo, pagato caro perchè
avrebbe dovuto "produrre" denaro!
Un tempo i roveredani si... vergognavano, adirandosi se venivano
chiamati 'gialut' intendendolo come un insulto: oggi non solo
hanno rivalutato la figura del 'gialut' ma ne hanno fatto un
simbolo del paese. Non mancano infatti abitazioni con il galletto
in ferro, sulla sommità del tetto, che svetta anche sulla
punta del campanile. Non dimenticando anche la sagra del 'gialut'
inserita nel programma
dei tradizionali festeggiamenti agostani in onore del patrono
san Bartolomeo (24 agosto) il santo apostolo, scorticato.
Merita anche ricordare che nel 1981 in occasione del decennale
di fondazione della Pro Roveredo, si è dato il via al
conferimento annuale del "Premio gialut" a un paesano
che si sia distinto e abbia operato in maniera disinteressata
e senza scopo di lucro per la comunità: premio che affianca
l'altro, il "Roveredo con te" che la pro Loco conferisce
ogni anno in occasione del santo Natale. Ricordiamo anche il
locale Gruppo corale Gialuth che opera da un quindicennio, diretto
da Lorenzo Benedet (presidente Silvano Redivo).
Ed ecco qui di seguito riprodotto il documento in questione:
17 dicembre 1849, n.33. Natale del fu Pietro Redivo d(ett)o Gialut
e della fu Lucia Del Piero d(ett)o Caporal marito di Domenica
Maietti d'anni 74 munito dei spirituali soccorsi di S. Chiesa
ieri mancò a vivi (lasciando eredi perpetuamente tutti
gli abitanti del paese del soprannome di GIALUT che questi meritò
al proprio paese ad acquistare dagli abitanti di Porcia e di
Palse un gallo che gli costò molto denaro e più
cibaria perchè bonariamente lusingato avesse la virtù
di evacuare soldi), ed oggi fu seppolto in questo cimitero assistente
l'Econ(omo) Spir(ituale). |
(da pagina 12): LE STRADE
Le strade ci dicono la storia dell'uomo
perchè lungo lo strade corre la storia degli uomini.
Sollecitato dagli amici ho raccolto una serie di appunti sulle
strade che quotidianamente percorriamo, anche per soddisfare
la loro legittima curiosità su nomi e personaggi che compaiono
sulle 'tabelle' che indicano le vie a Roveredo: è nata
quindi questa 'storia'
nell'intento di accompagnare il lettore-viandante nel suo cammino
quasi come un racconto, facendogli talvolta scoprire anche qualche
curiosità.
E cominciamo dalla parola "strada" per capire donde
nasce questa parola.
Strada, dal latino tardo "via strata" via massicciata,
lastricata con lenizione (mutamento consonantico) settentrionale
della "t" in "d". Strato, dal latino "stratum",
forma sostantivata di "stratus" da 'sternere' che significa
"stendere, lastricare".
'Via (lapidibus) strata', via lastricata; e ancora 'strata saxeas
viarum' lastrico della strada; e quindi 'stratura' lastrico.
Al tempo di Roma, per assicurare le comunicazioni all'interno
dell'immenso territorio le strade romane erano compatte e ben
costruite impiegando diversi materiali, con una massicciata di
pietre battute, coperta di ghiaia e rivesttita da un altro strato
di pietre; per farle diritte si scavavano perfino gallerie e
si tagliavano anche le montagne (come ad esempioil passo del
Furlo sulla via Flaminia, la Montagna Spaccata tra Capua e Pozzuoli).
E dal basso verso l'alto, ecco com'era la sezione di una strada:
ciottoli/roccia, massicciata, malta ghiaino-sabbia fine, pietre
piatte e quindi i lastroni (il lastricato): lateralmente lo scolo
e quindi il marciapiede, pure lastricato.
All'interno della città le strade erano lastricate e ancor
oggi conservano (a Pompei ad esempio, la via di Nola) i segni
profondi delle carreggiate e al centro della strada tre grosse
pietre (blocchi sporgenti) che permettevano ai passanti di attraversarle
anche quando nei periodi di pioggia le vie si trasformavano in
torrenti: e questo senza impedire nello stesso tempo il passaggio
dei carri.
* Ecco come i Romani tracciavano le strade: usavano la "groma",
uno strumento che serviva loro per tracciare gli allineamenti
ortogonali; era formata da quattro listelli di legno ortogonali
fra loro che reggevano quattro fili a piombo: facendo coincidere
il centro della groma con il centro del cerchio inciso nella
pietra sottostante, si otteneva l'indicazione della direzione
cercata.
* Interessante anche notare la parola "strada" espressa
nelle varie lingue, ad esempio: strada in italiano; strada e
strade in friulano; strasse in tedesco e street in inglese.
E iniziamo il nostro cammino lungo le vie di Roveredo, non senza
sostare di tanto in tanto dinanzi a qualche capitello, "glisiùt"
o edicola sacra (ce ne sono diversi) e alle molte immagini e
affreschi devozionali che compaiono sui muri delle case, da dove
questi 'Santi alla finestra' ci guardano e ci 'proteggono', secondo
la "pietas" di chi li ha effigiati con semplicità
e devozione: mani forse non sempre esperte, ma pie senz'altro.
Immagini e capitelli che ci accolgono da qualunque strada si
entri in paese e ci accompagnano via via, fino a congedarci con
un aluto augurale al momento di lasciare Roveredo.
(da pagina 13): ALFIERI Vittorio
... e così via
(da pagina 28): ARMENTARESSA,
strada un tempo
percorsa dagli armenti e dalle greggi: si diparte da via IV Novembre
e si dirige verso Ceolini.
Qui sorge l'antico capitello di "San Bastiàn"
(del secolo XII) sul crocicchio di antiche strade andando verso
Ceolini: oggi, sito in fondo all'attuale via Armentaressa.
All'interno vi sono raffigurati i due Santi martiri Fabiano (papa)
e Sebastiano (patrono dei vigili urbani e invocato a protezione
contro la peste).
La figura accanto a san Sebastiano è stata identificata
(qualche anno fa, dallo scrivente) come quella di "san Fabiano".
* Armentaressa (anche armentarezza, mintaretha, armentarezze,
armentarece, armentaresse, mentaressa): dal latino
"armentum" gregge, armento di bestiame (animali grossi
come buoi, cavalli...), che sta a indicare la via, meglio il
tratturo, percorso dal gregge; dal transito di bestiame condotto
al pascolo.
* Fra le comugne (o pascoli comunali) e il villaggio che poteva
disporne, correva la strada 'armentaressa' (in friulano: menteresse)
così chiamata perchè su di essa era consentito
il transito dei bovini o armenti, e di altri grossi animali:
strada dunque che conduceva al pascolo, percorsa dagli animali
destinati al pascolo.
Armentum è parola latina (come armentarius) usato per
indicare il pastore pubblico (armentàr) che conduceva
le bestie al pascolo comunale; arment, armento (buoi cavalli
etc.) da cui armentàr, ormentàr: pastore armentario,
vaccaro, vaccaio; e
armentarut: mandriano.
* A proposito di 'armentar' nel 1426 a Palazzolo dello Stella
tra i mestieri troviamo "Dominicus armentarij" cioè
'mandriano'.
Invece saltàr (in friulano) era il guardiano di boschi,
dal latino saltus e saltarius/saltuarius; saltus: bosco e saltuosus:
nevoso, boscoso, boschereccio, con boschetti o foreste, terreno
montuoso, ma anche terreno selvoso, usato come pascolo, pastura.
Saltarius/saltuarius dunque, guardaboschi, custode dei boschi.
A Gemona del Friuli fine secolo XIV troviamo: armentarius (guardiano
di armenti); cavalarius (guardiano di cavalli); e poi rotarius,
arotarius e rodar (fabbricante di ruote); feripedator e pediferator
(maniscalco); spatarius (spadaio), spetiarius e stationarius
(negoziante) etc.
( da pagina 83):
GORTANUTTI
Si tratta della strada che è stata
intitolata nel 1986 a Osvaldo (Osgualdo) Gortanutti (Piano d'Arta
1646-1691) intagliatore e pittore carnico del Seicento, morto
all'età di 48 anni e quivi sepolto. Del suo soggiorno
a Roveredo, con la sua famiglia (nel 1673) troviamo traccia nell'Archivio
parrocchiale, nei tomi di battesimo e di morte: qui dimorarono
nel XVII secolo per un lungo periodo, ben tre famiglie di artisti
carnici del pennello e dello scalpello: quella di Culan Florida
cargnello (senz'altra indicazione); quella di Gio. Battista Gortenuti
(Gortanutti, Gortanutto, Gortanuto, Cortenuti, Gortanuti) pittore
da Tolmezzo di Cargna; e quella del m.o Herico Riangens (scultor
tredesco d'anni 36) proveniente da Niderdorfo (intagliador da
Niederdorf).
Ad essi probabilmente risalgono i dipinti murali sulle facciate
di numerose abitazioni e nei capitelli roveredani.
Troviamo indicato il cognome Gortanutti anche nella Confraternita
(o Congregazione) del Rosario, fondata nella chiesa di San Bartolomeo
in Roveredo il 24 agosto 1667: nel "libro-registro"
in cui sono iscritti i nomi dei "fratelli et sorelle del
SS.mo Rosario" le annotazioni cessano nell'anno 1820: tra
le famiglie iscritte, troviamo anche quella (al completo) del
conte di Porcia, da cui dipendeva Roveredo. Come detto, c'è
anche il nome di "Gortanutti Osvaldo, della Carnia"
che risiedeva a Roveredo per dipingere le immagini sacre sui
muri delle case e specialmente all'esterno lungo le strade: vi
è iscritto lui (intagliatore e pittore "di Cargna"),
la moglie Barbara e la figlia Domenica.
Ricordiamo anche l'esistenza in Roveredo della Congregazione
al Sacro Cuore Immacolato di Maria Vergine Santissima, eretta
in data 8 dicembre 1858 (l'anno prima delle apparizioni a Lourdes).
Il Gortanutti ha laciato sue opere in diverse località
che ricordiamo: nella chiesa di Piano d'Arta, di Vigo di Cadore,
ad
Andreis (probabile intaglio e doratura dell'altar maggiore, del
tabernacolo etc.), nel duomo di Tolmezzo, a Giais (la pala del
Rosario), nella chiesa di Cavasso Nuovo, a Vivaro, Lestans, Colle,
Fossalta, Teglio Veneto; e la pala del Rosario a Palse di Porcia.
(pagina 14O):
San Sebastiano
E' il più antico capitello roverdano
(del tardo periodo romano); il capitello di "san Bastiàn"
è dedicato ai Santi martiri Fabiano (papa) e Sebastiano
che la Chiesa ricorda il 20 gennaio.
San sebastianio testimone della sua fede in Cristo è stato
martirizzato ai tempi di Diocleziano nel 3O4, trafitto dalle
frecce: è il più famoso fra i santi soldati e martiri:
patrono dei vigili, viene invocato contro la peste come i santi
Giobbe e Rocco.
Il "glisiùt" costruito con carattere tardo romano
è il più antico capitello della zona: è
stato rimesso a nuovo dai nostri 'bravi' Alpini qualche anno
fa.
Qui fin pochi anni fa anche i Vigili dei Comuni limìtrofi
confluivano ogni anno per una breve cerimonia religiosa (il 20
gennaio) portando una corona d'alloro per onorarlo, quale omaggio
al loro Santo Protettore; e ricordiamo anche il proverbio friulano
"san Bastiàn cu la viole in man": infatti nei
prati e sui rivi iniziavano a fiorire le prime viole, gentile
e profumato segnale di Primavera.
Leggi anche alla voce "Armentaressa". |