CJAMINANT

 

(strade , nomi e santi, pindoi e gialut
a Roveredo in Piano )
di Sergio GENTILINI

con il patrocinio
dell' Amministrazione Provinciale di Pordenone,
della Società Filologia Friulana,
in collaborazione
con il Circolo culturale e artistico "Antonio Gentilini"
di Roveredo in Piano

Tipografia Sartor Pordenone 2001

235 pagine, 54 immagini (molte inedite), 497 note

 

(da pagina 10) :

Prima di iniziare il nostro cammino desideriamo proporre due storie roveredane, quella del 'gialut', un episodio curioso e simpatico, e quella dei 'pindoi', un gioco che appassiòna la nostra comunità e ricorda anche l'antica suddivisione in 'borghi'. Certi che al lettore piacerà conoscerne la storia.

PINDOI

Questo gioco ci riporta molto indietro nel tempo, quando ai 'villici' non era concesso l'uso della spada riservata per l'investitura ai nobili e ai cavalieri; ed allora nei casi di necessità per difendersi il popolo comune faceva ricorso alle pietre, ai bastoni e agli attrezzi da lavoro; ecco allora che questo "gioco" serviva egregiamente alla bisogna, per l'addestramento in lanci di precisione di grosse pietre che, una volta colpito il cavaliere, questi sarebbe stato facilmente disarcionato, anche perchè privo di staffa.
E queste pietre 'pindoi' (voce longobarda) a forma di pera, venivano collocate in fila una accanto all'altra sulla sommità delle cinte murarie, che con la loro precaria stabilità costituivano (quale segnalatore acustico) una trappola per eventuali intrusioni e incursioni.

Oggi questo 'gioco' lo si ripropone nell'apposita "sagra" agostana
nella quale si scontrano a turno i rappresentanti dei dodici 'borghi' roveredani: Borgonuovo, Còdes, Forcjates, Moro, Platha, Puart, Run cadei, Sacon, Sant'Anna, San Bastian, Tavieles e Villotes.
Si gioca per eliminazione finchè abbattuti tutti i 'pindoi' (le pietre collocate in fila, in fondo al campo di gara) ne resta 'in piedi' uno soltanto; ecco l'elenco dei vincitori dalla prima 'disfida' roveredana nel 1983 a oggi :
Sante De Marchi, borgo Codes 1983; Egidio Zuccato, Sacon 1984; Antonio Presotto, Borgonuovo-Mamaluch 1985; Renato Pigatto, Villotes 1986; Pierluigi De Mattia, Run cadei 1987; Omar Pajer, Platha 1988; Pierluigi de Mattia, Run cadei 1989; Omar Pajer, Platha 1990; nel 1991 Antonio Presotto, Borgonuovo-Mamaluc e nel torneo di rivincita Sergio De Mattia, Codes; Lorenzo Benedet, Platha 1992; Fabio Todaro, Codes 1993; Lorenzo Benedet, Platha 1994; Maurizio Colusso, Run cadei 1995; Maurizio Colusso, Run cadei 1996; Claudio Milovic, Run cadei 1997; Aniello Ceolotto, San Bastian 1998;
Dario Uliana, Tavieles 1999; Enzo Re, Platha nel 2000 e nel 2001 (19^ edizione) ha vinto Renato Pigatto, Villotes.
* Il gioco è molto semplice e consiste nel collocare a debita distanza dalla linea di tiro i grossi sassi a forma di pera, i "pindoi", da abbattere negli scontri dagli avversari dei campioni dei 12 borghi roveredani; il gioco affonda le sue radici nelle antiche rivalità che opponevano le contrade raggruppate fino a qualche decennio fa in "chei de la platha" e "chei de Còdes", i primi a nord e i secondi a sud, divisi da una linea di demarcazione rappresentata dalla strada di Sacon (attuale via Julia) fino alla zona denominata Runces.
Per i temerari che avessero osato varcare questa sorta di confine immaginario erano dolori, specialmente se sorpresi dagli avversari nelle ore notturne.
Da qui risse vere e proprie e spesso anche scontri a base di 'sassate' per confermare la supremazia territoriale, in primis nel campo amoroso!
Durante il Regno Lombardo-Veneto queste violenze provocarono
anche un 'coprifuoco notturno' durato per anni per tenere a freno i giovani ' focosi' del tempo e por fine ai disordini che spesso finivano, stando alle cronache del tempo, 'con spargimento di sangue' e talvolta, purtroppo, ci scappava il morto.
Tempi passati, si dirà, infatti oggi lo 'scontro' avviene in maniera più 'gentile' con tanto di sfilata di cavalieri in costume,
in una bella cornice di folla curiosa e attenta, in occasione della disputa del 'torneo dei pindoi'.

GIALUT

"Qualche riflessione semiseria (scrive Ezio Pellizer) sull'agostana Sagre dal Gialùt di Roveredo in Piano: il pennuto sacro a Ermes, Apollo e Asclepio: le credenze popolari e le truffe. (E parla anche della "alectryomanzìa" ovvero divinazione attraverso i galletti). Come informa il dotto Sergio Gentilini, fu chiamato così un paesano, certo Redivo, che acquisto' a carissimo prezzo un galletto del quale gli era stato detto che era capace di produrre denaro... tema assai diffuso nelle tradizioni dette folcloriche e non poteva mancare in Friuli... dunque non c'è da stupirsi se crederà al gallo che in qualche modo, con uova e con meno poetici "sbìts", rende ricco il suo fortunato possessore... (poi) istituirono perfino un Premio Gialut per onorare ogni anno non già il più credulone, ma il più generoso benefattore della loro comunità".
L'origine del soprannome "gialut" a suo tempo affibbiato ad un certo Redivo, originario di Roveredo: dal certificato di morte del 17 dicembre 1849 si sa che l'appellativo è stato dato a Redivo perchè costui avrebbe acquistato, dagli abitanti di Porcia (Pn) e di Palse, un galllo, pagato caro perchè avrebbe dovuto "produrre" denaro!
Un tempo i roveredani si... vergognavano, adirandosi se venivano chiamati 'gialut' intendendolo come un insulto: oggi non solo hanno rivalutato la figura del 'gialut' ma ne hanno fatto un simbolo del paese. Non mancano infatti abitazioni con il galletto in ferro, sulla sommità del tetto, che svetta anche sulla punta del campanile. Non dimenticando anche la sagra del 'gialut' inserita nel programma
dei tradizionali festeggiamenti agostani in onore del patrono san Bartolomeo (24 agosto) il santo apostolo, scorticato.
Merita anche ricordare che nel 1981 in occasione del decennale di fondazione della Pro Roveredo, si è dato il via al conferimento annuale del "Premio gialut" a un paesano che si sia distinto e abbia operato in maniera disinteressata e senza scopo di lucro per la comunità: premio che affianca l'altro, il "Roveredo con te" che la pro Loco conferisce ogni anno in occasione del santo Natale. Ricordiamo anche il locale Gruppo corale Gialuth che opera da un quindicennio, diretto da Lorenzo Benedet (presidente Silvano Redivo).
Ed ecco qui di seguito riprodotto il documento in questione: 17 dicembre 1849, n.33. Natale del fu Pietro Redivo d(ett)o Gialut e della fu Lucia Del Piero d(ett)o Caporal marito di Domenica Maietti d'anni 74 munito dei spirituali soccorsi di S. Chiesa ieri mancò a vivi (lasciando eredi perpetuamente tutti gli abitanti del paese del soprannome di GIALUT che questi meritò al proprio paese ad acquistare dagli abitanti di Porcia e di Palse un gallo che gli costò molto denaro e più cibaria perchè bonariamente lusingato avesse la virtù di evacuare soldi), ed oggi fu seppolto in questo cimitero assistente l'Econ(omo) Spir(ituale).

 

(da pagina 12): LE STRADE

Le strade ci dicono la storia dell'uomo perchè lungo lo strade corre la storia degli uomini.
Sollecitato dagli amici ho raccolto una serie di appunti sulle strade che quotidianamente percorriamo, anche per soddisfare la loro legittima curiosità su nomi e personaggi che compaiono sulle 'tabelle' che indicano le vie a Roveredo: è nata quindi questa 'storia'
nell'intento di accompagnare il lettore-viandante nel suo cammino quasi come un racconto, facendogli talvolta scoprire anche qualche curiosità.
E cominciamo dalla parola "strada" per capire donde nasce questa parola.
Strada, dal latino tardo "via strata" via massicciata, lastricata con lenizione (mutamento consonantico) settentrionale della "t" in "d". Strato, dal latino "stratum", forma sostantivata di "stratus" da 'sternere' che significa "stendere, lastricare".
'Via (lapidibus) strata', via lastricata; e ancora 'strata saxeas viarum' lastrico della strada; e quindi 'stratura' lastrico.
Al tempo di Roma, per assicurare le comunicazioni all'interno dell'immenso territorio le strade romane erano compatte e ben costruite impiegando diversi materiali, con una massicciata di pietre battute, coperta di ghiaia e rivesttita da un altro strato di pietre; per farle diritte si scavavano perfino gallerie e si tagliavano anche le montagne (come ad esempioil passo del Furlo sulla via Flaminia, la Montagna Spaccata tra Capua e Pozzuoli).
E dal basso verso l'alto, ecco com'era la sezione di una strada: ciottoli/roccia, massicciata, malta ghiaino-sabbia fine, pietre piatte e quindi i lastroni (il lastricato): lateralmente lo scolo e quindi il marciapiede, pure lastricato.
All'interno della città le strade erano lastricate e ancor oggi conservano (a Pompei ad esempio, la via di Nola) i segni profondi delle carreggiate e al centro della strada tre grosse pietre (blocchi sporgenti) che permettevano ai passanti di attraversarle anche quando nei periodi di pioggia le vie si trasformavano in torrenti: e questo senza impedire nello stesso tempo il passaggio dei carri.
* Ecco come i Romani tracciavano le strade: usavano la "groma", uno strumento che serviva loro per tracciare gli allineamenti ortogonali; era formata da quattro listelli di legno ortogonali fra loro che reggevano quattro fili a piombo: facendo coincidere il centro della groma con il centro del cerchio inciso nella pietra sottostante, si otteneva l'indicazione della direzione cercata.
* Interessante anche notare la parola "strada" espressa nelle varie lingue, ad esempio: strada in italiano; strada e strade in friulano; strasse in tedesco e street in inglese.
E iniziamo il nostro cammino lungo le vie di Roveredo, non senza sostare di tanto in tanto dinanzi a qualche capitello, "glisiùt" o edicola sacra (ce ne sono diversi) e alle molte immagini e affreschi devozionali che compaiono sui muri delle case, da dove questi 'Santi alla finestra' ci guardano e ci 'proteggono', secondo la "pietas" di chi li ha effigiati con semplicità e devozione: mani forse non sempre esperte, ma pie senz'altro.
Immagini e capitelli che ci accolgono da qualunque strada si entri in paese e ci accompagnano via via, fino a congedarci con un aluto augurale al momento di lasciare Roveredo.

(da pagina 13): ALFIERI Vittorio ... e così via

 

(da pagina 28): ARMENTARESSA, strada un tempo
percorsa dagli armenti e dalle greggi: si diparte da via IV Novembre e si dirige verso Ceolini.
Qui sorge l'antico capitello di "San Bastiàn" (del secolo XII) sul crocicchio di antiche strade andando verso Ceolini: oggi, sito in fondo all'attuale via Armentaressa.
All'interno vi sono raffigurati i due Santi martiri Fabiano (papa) e Sebastiano (patrono dei vigili urbani e invocato a protezione contro la peste).
La figura accanto a san Sebastiano è stata identificata (qualche anno fa, dallo scrivente) come quella di "san Fabiano".
* Armentaressa (anche armentarezza, mintaretha, armentarezze, armentarece, armentaresse, mentaressa): dal latino
"armentum" gregge, armento di bestiame (animali grossi come buoi, cavalli...), che sta a indicare la via, meglio il tratturo, percorso dal gregge; dal transito di bestiame condotto al pascolo.
* Fra le comugne (o pascoli comunali) e il villaggio che poteva disporne, correva la strada 'armentaressa' (in friulano: menteresse)
così chiamata perchè su di essa era consentito il transito dei bovini o armenti, e di altri grossi animali: strada dunque che conduceva al pascolo, percorsa dagli animali destinati al pascolo.
Armentum è parola latina (come armentarius) usato per indicare il pastore pubblico (armentàr) che conduceva le bestie al pascolo comunale; arment, armento (buoi cavalli etc.) da cui armentàr, ormentàr: pastore armentario, vaccaro, vaccaio; e
armentarut: mandriano.
* A proposito di 'armentar' nel 1426 a Palazzolo dello Stella tra i mestieri troviamo "Dominicus armentarij" cioè 'mandriano'.
Invece saltàr (in friulano) era il guardiano di boschi, dal latino saltus e saltarius/saltuarius; saltus: bosco e saltuosus: nevoso, boscoso, boschereccio, con boschetti o foreste, terreno montuoso, ma anche terreno selvoso, usato come pascolo, pastura.
Saltarius/saltuarius dunque, guardaboschi, custode dei boschi.
A Gemona del Friuli fine secolo XIV troviamo: armentarius (guardiano di armenti); cavalarius (guardiano di cavalli); e poi rotarius, arotarius e rodar (fabbricante di ruote); feripedator e pediferator (maniscalco); spatarius (spadaio), spetiarius e stationarius (negoziante) etc.

 

( da pagina 83):

GORTANUTTI

Si tratta della strada che è stata intitolata nel 1986 a Osvaldo (Osgualdo) Gortanutti (Piano d'Arta 1646-1691) intagliatore e pittore carnico del Seicento, morto all'età di 48 anni e quivi sepolto. Del suo soggiorno a Roveredo, con la sua famiglia (nel 1673) troviamo traccia nell'Archivio parrocchiale, nei tomi di battesimo e di morte: qui dimorarono nel XVII secolo per un lungo periodo, ben tre famiglie di artisti carnici del pennello e dello scalpello: quella di Culan Florida cargnello (senz'altra indicazione); quella di Gio. Battista Gortenuti (Gortanutti, Gortanutto, Gortanuto, Cortenuti, Gortanuti) pittore da Tolmezzo di Cargna; e quella del m.o Herico Riangens (scultor tredesco d'anni 36) proveniente da Niderdorfo (intagliador da Niederdorf).
Ad essi probabilmente risalgono i dipinti murali sulle facciate di numerose abitazioni e nei capitelli roveredani.
Troviamo indicato il cognome Gortanutti anche nella Confraternita (o Congregazione) del Rosario, fondata nella chiesa di San Bartolomeo in Roveredo il 24 agosto 1667: nel "libro-registro" in cui sono iscritti i nomi dei "fratelli et sorelle del SS.mo Rosario" le annotazioni cessano nell'anno 1820: tra le famiglie iscritte, troviamo anche quella (al completo) del conte di Porcia, da cui dipendeva Roveredo. Come detto, c'è anche il nome di "Gortanutti Osvaldo, della Carnia" che risiedeva a Roveredo per dipingere le immagini sacre sui muri delle case e specialmente all'esterno lungo le strade: vi è iscritto lui (intagliatore e pittore "di Cargna"), la moglie Barbara e la figlia Domenica.
Ricordiamo anche l'esistenza in Roveredo della Congregazione al Sacro Cuore Immacolato di Maria Vergine Santissima, eretta in data 8 dicembre 1858 (l'anno prima delle apparizioni a Lourdes).
Il Gortanutti ha laciato sue opere in diverse località che ricordiamo: nella chiesa di Piano d'Arta, di Vigo di Cadore, ad
Andreis (probabile intaglio e doratura dell'altar maggiore, del tabernacolo etc.), nel duomo di Tolmezzo, a Giais (la pala del Rosario), nella chiesa di Cavasso Nuovo, a Vivaro, Lestans, Colle, Fossalta, Teglio Veneto; e la pala del Rosario a Palse di Porcia.

(pagina 14O):
San Sebastiano

E' il più antico capitello roverdano (del tardo periodo romano); il capitello di "san Bastiàn" è dedicato ai Santi martiri Fabiano (papa) e Sebastiano che la Chiesa ricorda il 20 gennaio.
San sebastianio testimone della sua fede in Cristo è stato martirizzato ai tempi di Diocleziano nel 3O4, trafitto dalle frecce: è il più famoso fra i santi soldati e martiri: patrono dei vigili, viene invocato contro la peste come i santi Giobbe e Rocco.
Il "glisiùt" costruito con carattere tardo romano è il più antico capitello della zona: è stato rimesso a nuovo dai nostri 'bravi' Alpini qualche anno fa.
Qui fin pochi anni fa anche i Vigili dei Comuni limìtrofi confluivano ogni anno per una breve cerimonia religiosa (il 20 gennaio) portando una corona d'alloro per onorarlo, quale omaggio al loro Santo Protettore; e ricordiamo anche il proverbio friulano "san Bastiàn cu la viole in man": infatti nei prati e sui rivi iniziavano a fiorire le prime viole, gentile e profumato segnale di Primavera.
Leggi anche alla voce "Armentaressa".

 

Ulteriori notizie nella pubblicazione dell'Autore: "Testimonianze della devozione popolare a Roveredo in Piano" (Tipografia Sartor Pordenone 1996).