APPENDICE

  

Le tecniche per aumentare la dissipazione

 

Quando le potenze da dissipare superano il watt in genere è necessario utilizzare dispositivi specifici per smaltire il calore verso l'ambiente, con dimensioni spesso ragguardevoli.

Durante la progettazione elettrica e del circuito stampato, e quindi prima di procedere al progetto termico, è opportuno tenere presenti i seguenti punti:

  • Scegliere un dispositivo realmente adeguato allo scopo. Spesso infatti la Rth(j-c) è relativamente troppo elevata, tale da rendere necessario un dissipatore eccessivamente grande affinché la somma di tutte le resistenze termiche sia sufficientemente bassa. Come linea guida si potrebbe affermare che la se la Rth(j-c) è maggiore della Rth(h-a), il dispositivo probabilmente è sotto-dimensionato.
  • Verificate con attenzione la disposizione meccanica dei corpi di raffreddamento: una aletta montata verticalmente fa guadagnare diversi gradi rispetto alla stessa in posizione orizzontale, visto il maggior flusso naturale di aria (l'aria calda tende a spostarsi verso l'alto. Se ne ha la possibilità…).
  • Evitare di avvicinare troppo tra di loro componenti di potenza: la dissipazione per irraggiamento è possibile solo se i corpi circostanti sono freddi.
  • Se possibile montare il dispositivo e/o il dissipatore all'esterno del contenitore che facilmente è qualche decina di gradi più fresco.

Montaggio senza dissipatore

Non sempre è richiesto l'utilizzo di un dissipatore.

Per esempio se voglio utilizzare un integrato in contenitore TO220, caso frequente per i dispositivi di potenza, posso garantire il funzionamento corretto fino ad una temperatura ambiente di 50°C alle seguenti condizioni:

  • Rth(j-a) senza dissipatore intorno ai 50°C/W, valore fornito dal costruttore
  • Dissipazione inferiore ai 2W
  • Tj massima pari a 150°C

Spesso è inoltre possibile, soprattutto nel caso di circuiti integrati con molti pin, usare una porzione della superficie in rame del circuito stampato per smaltire il calore, sfruttando la buona conducibilità termica dei piedini metallici del dispositivo. A volte i grafici con indicate le superfici da dedicare a questo scopo sono forniti dal costruttore.

I dissipatori

Un dissipatore è una massa metallica destinata a smaltire il calore generato da un semiconduttore. Per favorire la massima dispersione di calore i dissipatori

  • sono forniti di alettature che ne aumentano la superficie
  • sono in genere costituiti da alluminio, caratterizzato da buona conducibilità termica e dal peso contenuto
  • sono color nero (anodizzati) per favorire la dispersione per irraggiamento

Il parametro principale è la Rth ed in genere è anche l'unico noto. La resistenza termica è corretta solo se il dissipatore è montato come prescritto dal produttore in quanto, soprattutto quelli per potenze più elevate, sfruttano le correnti d'aria causate dal riscaldamento per migliorare il trasferimento termico.

In genere la Rth è inversamente proporzionale al peso, al volume e, soprattutto, alla superficie delle alette ed al disegno delle stesse; è ovviamente necessario consultare i cataloghi, almeno per trovare un modello simile a quello che si intende usare. Valori normali di resistenza termica sono compresi tra gli 0.5°C/W e la decina di °C/W.

Nelle tre fotografie ho accostato, senza rispettare la scala, un piccolo dissipatore per transistor in contenitore TO220, un grosso dissipatore tipicamente usato per moduli ad alta dissipazione ed uno usato per processori di modesta potenza. Si noti la finitura di color nero e, nei primi due, la presenza di fori o scanalature per il fissaggio dei componenti tramite viti (con il terzo tipo sono usati collanti o clips).

Nell'effettuare il montaggio del dissipatore occorre seguire, se possibile, le indicazioni del costruttore relativamente al montaggio verticale o orizzontale e alla pressione da esercitare tra dissipatore e semiconduttore (se eccessiva causa deformazioni e stress al dispositivo, se scarsa impedisce una buona conducibilità termica).

Normalmente tra il componente ed il dissipatore è spalmato un materiale biancastro simile al grasso detto pasta di silicone (in inglese silicon grease oppure, più correttamente, thermal compound): si tratta di un conduttore di calore a base di silicone ed ossidi metallici, zinco in particolare, destinato a favorire il massimo trasferimento termico in quanto elimina l'aria presente tra il dissipatore ed il circuito integrato.

Va usato con molta parsimonia perché da una parte tende a sporcare e dall'altra, se eccessivo, finisce col peggiorare il trasferimento di calore: lo spessore corretto è tale che, premendo con forza componente e dissipatore, non si ha praticamente fuoriuscita di materiale.

L'uso corretto del silicone su superfici a buona finitura superficiale dimezza circa la Rth(c-h), che passa, per esempio nel caso del TO220, da circa 1°C/W a 0.5°C/W.

Una necessità è spesso ottenere l'isolamento elettrico tra dissipatore e dispositivo a semiconduttore. La soluzione tradizionale prevede l'uso di apposite lamine in mica e di bussole in materiale plastico. Purtroppo questo metodo di montaggio peggiora le caratteristiche termiche; è infatti cosa normale che un isolante elettrico sia anche un isolante termico.

La soluzione potrebbe essere l'uso di dispositivi internamente isolati, anche se in genere più costosi. Occorre prestare attenzione al fatto che nei dispositivi ad altissime prestazioni l'isolamento è ottenuto con ossido di berillio, ottimo isolante elettrico e conduttore termico ma anche altamente tossico e quindi pericoloso se il contenitore viene aperto.

A volte l'uso dell'isolante in mica e del grasso al silicone è sostituito da materiali solidi di aspetto spugnoso, in genere leggermente peggiori dal punto di vista termico ma decisamente più pratici.

L'efficienza termica del dissipatore può essere di molto aumentata utilizzando un flusso d'aria forzato che ne lambisce le alettature. La resistenza termica in questi casi scende anche ad un quinto, permettendo di risparmiare sulle dimensioni e sui costi; come contropartita occorre però tener conto di un certo aumento di rumorosità (penso che tutti una volta o l'altra sono stati irritati dal rumore della ventola del PC) e del rischio di guasti alla ventola, soprattutto quando è di bassa qualità o viene usata in ambienti ostili.

Molti dissipatori sono appositamente progettati per il montaggio diretto di ventole: osservando, per esempio, la conformazione del modello rappresentato al centro nella fotografia più sopra riportata, facilmente si può immaginare la presenza di una ventola che assorbe aria calda o soffia aria fresca nella direzione delle alette. In questo caso il produttore fornisce generalmente un grafico che riporta l'andamento della resistenza termica in funzione del flusso d'aria.

Una precisazione: l'uso di una ventola non "abbassa la temperatura" ma semplicemente diminuisce la resistenza termica del dissipatore: non è quindi in nessun caso possibile avere dissipatori con una temperatura inferiore a quella ambiente. Occorre inoltre tenere presente che usare una ventola non ha alcuna influenza né sulla Rth(j-c) né sulla Rth(c-h).

Raffreddamento a liquido

In caso di necessità si può partire dalla considerazione che con un liquido stagnante la trasmissione del calore tra dissipatore ed ambiente migliora di un ordine di grandezza rispetto all'aria; se il liquido è in movimento anche di 50 volte.

Questo metodo è quindi utile soprattutto quando occorre asportare molto calore da una zona molto piccola. Il problema principale è ovviamente legato alla necessità di realizzare un adeguato sistema idraulico: come minimo occorre prevedere una pompa ed uno scambiatore di calore verso l'esterno (infatti l'acqua non fa altro che spostare il calore che, comunque, deve essere poi rilasciato all'ambiente).

Un "liquido speciale" è quello utilizzato per gli "heat pipe" (tubi di calore). In essi si sfrutta la grande quantità di calore che può essere immagazzinata da appositi sali durante il cambiamento di fase: in questo caso si ha un trasporto di calore anche due ordini di grandezza maggiore di quello ottenibile con qualunque metallo o liquido, per di più in assenza di parti meccaniche in movimento: sono ideali per spostare il calore in quantità verso zone in cui è più facile lo smaltimento, anche distanti decine di centimetri. Come difetto hanno una costruzione meccanica complessa (a causa per esempio delle notevoli pressioni che devono sopportare) e dimensioni e costi elevati. Per una trattazione approfondita si rimanda agli indirizzi più avanti citati.

Anche per il raffreddamento a liquido valgono le stesse considerazioni fatte per i dissipatori a proposito delle temperature raggiungibili e delle resistenze termiche interne.

Le cella di peltier

La cella di peltier è un dispositivo statico che permette di trasferire il calore da un oggetto freddo ad uno più caldo, migliorando notevolmente la situazione in problemi termici particolarmente critici ed magari altrimenti non risolvibili.

La situazione tipica è costituita da apparecchiature che devono funzionare in ambienti particolarmente ostili in cui per esempio la temperatura ambiente è superiore ai 70-80 °C.

In sostanza funziona come un frigorifero sfruttando fenomeni fisici di tipo elettrico.

Occorre tenere comunque presente che un elemento peltier può solo "spostare" il calore, in genere di pochi mm: è quindi necessario disporre comunque di dissipatori o altri metodi di raffreddamento convenzionali.

L'idea è sostanzialmente quella di prelevare calore da un corpo per esempio a 60°C, alzarne la temperatura a 100°C e sfruttare in modo migliore la resistenza termica di un dissipatore (o magari cedere calore all'aria che si trova a 70°C).

Tra i difetti:

  • richiede correnti e potenze elevate per funzionare, anche decine di ampere e di watt: quindi una cella di peltier oltre che trasferire calore ne produce anche di suo. E' situazione normale che per assorbire un watt da un dispositivo occorre cederne un paio all'ambiente
  • richiede circuiti anche complessi di gestione per evitare raffreddamenti eccessivi: infatti non sempre è positiva una temperatura molto bassa. Inoltre il pericolo vero è costituito dalla possibile formazione di condensa che, essendo acquea, potrebbe creare problemi di natura elettrica.
  • togliendo l'alimentazione alla cella di peltier si rischia di scaricare sul dispositivo da raffreddare un calore eccessivo accumulato sul dissipatore, con qualche rischio dovuto a rapidi sbalzi di temperatura.
  • può gestire solo potenze relativamente basse, soprattutto quando la differenza di temperatura comincia a salire. In pratica sono abbastanza normali potenze fino a poche decine di watt per salti di temperatura di poche decine di gradi.

In casi piuttosto complessi vengono realizzati veri e propri sistemi di condizionamento o refrigerazione con compressori meccanici, ingombranti e costosi ma con una resa energetica migliore delle celle di peltier.

Per una trattazione approfondita si rimanda agli indirizzi più avanti citati.

Il raffreddamento dei processori

Il problema del raffreddamento dei microprocessori ed in genere degli integrati digitali ad alta integrazione è piuttosto importante a cause del fatto che nei circuiti CMOS la potenza dissipata è direttamente proporzionale alla frequenza di funzionamento e, oggi, si tende a correre.

L'uso di un dissipatore e di una ventola è praticamente obbligato con processori che facilmente dissipano decine di watt. Già per raffreddare un Pentium 166 MMX senza ventola era necessario un dissipatore grande oltre il doppio della base del soket7 ed alto circa 5 cm; il vantaggio era una grande affidabilità (nulla che si può rompere!) e la silenziosità. Usando una ventola le dimensioni fisiche diminuiscono nettamente ed è quindi possibile raffreddare anche i processori moderni, notoriamente ben più "caldi".

Nei fogli tecnici dei processori viene specificata in genere la massima temperatura del case Tc; conoscendo la Rth(j-c) è possibile comunque risalire alla massima Tj, attraverso la formula dell'equivalenza elettrica. Da notare che, aumentando la frequenza operativa, aumenta anche la potenza dissipata e quindi, a parità di Tj e di Rth(j-c) è necessario diminuire la temperatura superficiale.

Per un esempio numerico si consideri un vecchio AMD/K6-300 model 8 (sul sito AMD si trovano i seguenti dati: alimentazione di 2.2V, potenza massima dissipata di15.4W, Tc(max) 70°C, Rth(j-c) = 1.7 °C/W). La Tj(max) è quindi circa 96°C (70 + 15.4 * 1.7) valore ragionevole per un dispositivo a semiconduttore complesso come un processore. Supponendo una temperatura ambente di 50°C (cosa normale all'interno del case del PC in estate, se non è troppo caldo), serve quindi un dissipatore da circa

Ho ovviamente tenuto conto anche della resistenza termica tra processore e dissipatore, pari a circa 0.2°C/W se si usa grasso di silicone (particolarmente consigliato, soprattutto con i processori con maggiori problemi termici).

Se per esempio a causa di un overclock del processore la frequenza aumenta a 340MHz, la potenza sale a circa 17.5W (la cosa ovviamente non è documentata da AMD ma facilmente calcolabile tenendo conto che esiste una sostanziale proporzionalità diretta tra frequenza di funzionamento e potenza dissipata, ovviamente a parità di tecnologia); per mantenere la Tj a 96°C è necessario usare un dissipatore con una Rth(h-a) di 0.75°C/W cioè molto grande che nel caso precedente. Si tenga inoltre presente che, se garantire il funzionamento del processore a maggiore frequenza fosse necessario aumentare la tensione di alimentazione, la potenza dissipata salirebbe ulteriormente.

I sensori di temperatura da applicare ai processori e presenti su alcune schede madri sono in genere inaffidabili per le ragioni più sopra esposte relativamente alla misura della temperatura. Purtroppo molti ragionamenti fatti, anche da persone competenti, non tengono conto di questo fatto, traendo conclusioni spesso errate.

Queste informazioni sono comunque utili per tenere sotto controllo la temperatura media interna al PC ed evidenziare il blocco della ventola o l'eccessivo accumulo di polvere su di essa, situazioni abbastanza comuni nei computer di qualche anno di vita.

Sono invece utilissimi i diodi che misurano la temperature interna del processore, purtroppo disponibili per esempio solo a partire dal P3 o dagli Athlon costruiti dopo il 2001: usandoli è possibile sfruttare appieno un processore, sia diminuendo le prestazioni richieste al sistema di raffreddamento al minimo indispensabile (nulla dà sollievo come la ventola del PC che rallenta quando non serve, almeno in inverno) sia aumentando la frequenza di funzionamento pur mantenendola temperatura in zona di sicurezza (overclock).

Ho sentito numerose osservazioni preoccupate sui dati rilevati da questi sensori: leggendo questa nota ci si rende invece conto che temperature di giunzione di 100°C o aumenti rapidi di temperatura sono perfettamente normali se correttamente interpretati.

Occorre dire infine che un modesto aumento di temperatura, oltre i limiti consentiti dal costruttore, non è gravissimo nel caso dei processori: ad esempio un aumento di 20°C oltre il massimo causa la diminuzione ad ¼ della vita operativa media ma difficilmente un computer ha la durata "utile" dei 5 o 10 anni di uso effettivo tipicamente previsti per un semiconduttore.