UMILTA'
Padre Raniero Cantalamessa
Inizio questo insegnamento
richiamando un brano della Parola di Dio che si trova in Luca, cap. 14; si
tratta della parabola sulla scelta dell'ultimo posto a tavola, che termina con
la frase: "Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato " (Le
14,7-11).
Noi siamo convenuti qui, oggi, pieni di gioiosa attesa, perché vogliamo fare la
nostra Pentecoste. La Pentecoste è un evento grande per la Chiesa. Ma che cosa
possiamo mettere noi, di nostro, per fare la Pentecoste? Assolutamente niente!
La Pentecoste la decide solo Dio; la Potenza che scende dall'alto, scende
dall'alto e basta; non la si può strappare a forza dalla terra. Tutto ciò che
c'è di positivo, di dono, nella Pentecoste, ci viene da Dio; è il Padre che
stabilisce il modo, il tempo e la misura per ognuno.
Che cosa possiamo fare noi, allora, per avere la nostra Pentecoste, se non
possiamo fare nulla di "positivo"? Possiamo fare il vuoto, che permetta allo
Spirito Santo di venire! Creare il vuoto significa metterci in atteggiamento di
profonda, sincera umiltà davanti a Dio. In questo, Maria preparò gli apostoli a
ricevere la prima Pentecoste: li aiutò a farsi piccoli, umili e docili. Basta
saper leggere tra le righe. Quando gli apostoli si erano trovati insieme
l'ultima volta, in quello stesso cenacolo, prima della passione del Signore,
sappiamo che discutevano ancora tra loro chi fosse il più grande (cfr. Le
22,24ss). Ora che Maria, "l'umile ancella", ha fatto loro scuola di umiltà,
durante quella memorabile "novena", ritroviamo gli stessi uomini nello stesso
posto, nel cenacolo, ma non discutono più su chi è il più grande; sono invece
"assidui e concordi nella preghiera".
Parliamo
dunque dell'umiltà poiché essa appare la migliore preparazione a ricevere lo
Spirito Santo. Con questo insegnamento intendo anche completare il discorso
fatto a Rimini sulla "sobria ebbrezza dello Spirito", sviluppando un punto che
in quell'occasione fu appena accennato. e precisamente il significato
dell'aggettivo "sobria". Che ci sia una "ebbrezza" dello Spirito, come ci fu il
giorno stesso di Pentecoste, questo dipende da Dio; ma da noi dipende l'essere
sobri",e oggi vediamo che questo vuol dire anche essere "umili".
L'umiltà di Gesù
Gesù terminava la sua parabola degli invitati al banchetto dicendo che chi si
esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. Ma cosa significa
"umiliarsi"? Sono sicuro che se domandassi a varie persone cos'è per loro
l'umiltà, otterrei tante risposte diverse, ognuna contenente una parte di
verità, ma incomplete. Se lo domandassi a un uomo che è portato per temperamento
alla violenza, a far valere il proprio punto di vista con forza, forse mi
risponderebbe: "l'umiltà è non alzare la voce, non fare il prepotente in casa,
essere più mite e arrendevole Se lo domandassi a una ragazza, forse mi
risponderebbe: "l'umiltà è non essere vanitosa, non volere attirare
lo sguardo degli altri, non vivere solo per se stessi o per la facciata..." Un
sacerdote mi risponderebbe: "Essere umili significa riconoscersi peccatore,
avere un sentimento basso di se stesso Ma è facile capire che così non si è
toccata ancora la radice dell'umiltà.
Per scoprire la vera radice dell'umiltà bisogna, come sempre, rivolgersi
all'unico Maestro che è Gesù. Egli ha detto: "Imparate da me che sono mite ed
umile di cuore " (Mt 11,29). Per un po' di tempo, confesso che questa frase di
Gesù mi ha molto stupito. Infatti: dov'è che Gesù si mostra umile? Leggendo il
vangelo non si incontra mai la benché minima ammissione di colpa da parte di
Gesù. Questa è anzi una delle prove più convincenti dell'unicità e della
divinità di Cristo: Gesù è l'uníco uomo che è passato sulla faccia della terra,
ha incontrato amici e nemici senza dover mai dire: "Ho sbagliato!", senza
chiedere mai perdono a nessuno, neppure al Padre. La sua coscienza ci appare un
cristallo: nessun senso di colpa la sfiora. Di nessun altro uomo, di nessun
fondatore di religione, si legge una cosa simile.
Dunque Gesù non è stato umile, se per umiltà intendiamo parlare o sentire
bassamente di sé, ammettere di avere sbagliato. "Chi di voi - egli può dire con
sicurezza - può convincermi di peccato?" (Gv 8,46). Eppure questo stesso Gesù
dice con altrettanta sicurezza: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore
" (Mt 11,29). Allora vuol dire che l'umiltà non è proprio quella cosa che il più
delle volte noi pensiamo, ma qualcos'altro che dobbiamo scoprire dai vangeli.
Che cosa ha fatto Gesù per essere e dirsi "umile"? Una cosa semplicissima: si è
abbassato, è sceso. Ma non con i pensieri o con le parole. No, no; con i fatti!
Con i fatti Gesù è sceso, si è umiliato. Trovandosi nella condizione di Dio,
nella gloria, cioè in quella condizione in cui non si può né desiderare né avere
niente di meglio, è sceso; ha preso la condizione di servo, si è umiliato
facendosi obbediente fino alla morte (cfr. Fil 2,6ss). Una volta iniziata questa
discesa vertiginosa da Dio a schiavo, non si è fermato ancora; ha continuato a
scendere, tutta la vita. Si mette in ginocchio per lavare i piedi ai suoi
apostoli; dice: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). Non si
arresta finché non tocca il punto oltre il quale nessuna creatura può andare,
che è la morte, Ma proprio là, nel punto estremo del suo abbassamento, lo
raggiunge la potenza del Padre, cioè lo Spirito Santo, afferra il corpo di Gesù
nella tomba, lo vivifica, lo risuscita e lo innalza alla sommità dei cieli, gli
dà il Nome che è al di sopra di ogni altro nome e ordina che ogni ginocchio si
pieghi davanti a lui. Ecco un esempio concreto, la realizzazione massima della
parola: "Chi si umilia sarà esaltato".
Vista in questo specchio, che è Gesù, l'umiltà ci appare dunque non una
questione di sentimenti, cioè un sentire se stessi in modo basso, ma una
questione di fatti. di gesti concreti; non una questione di parole, ma di
realtà, di azioni. L'umiltà è la disponibilità a scendere, a farsi piccoli e a
servire i fratelli; è la volontà di servizio. E tutto questo, fatto per amore,
non per altri scopi. Ci può essere un'attitudine al servizio dei fratelli anche
in persone non credenti; dobbiamo ammettere onestamente che ci sono intorno a
noi persone che non si dicono cristiane e tuttavia, in certi casi, ci danno
l'esempio nel collocarsi accanto ai poveri, agli emarginati. La differenza sta
nel fatto che, in un cristiano, tale disponibilità al servizio deve essere
ispirata e come sostanziata di amore.
In un certo senso, possiamo dire che l'umiltà è gratuità, è abbassarsi senza
alcun interesse proprio o calcolo. La parabola degli invitati al banchetto
prosegue con queste parole di Gesù: "Quando dai un banchetto, invita poveri,
storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti" (Le
14,13ss). Questo è un servizio gratuito, perché non ci si aspetta nulla in
cambio. In questo l'umiltà si rivela come la sorella gemella della carità, come
un aspetto di quella agape, di cui S. Paolo tesse l'elogio nel capitolo 13 della
prima lettera ai Corinzi. Quando l'Apostolo dice che la carità "non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto ...", intende dire che la carità è umile e
l'umiltà è caritatevole.
Essere umile secondo il modello di Gesù significa dunque spendersi
gratuitamente, non vivere solo per se stessi (cfr. 2 Cor 5,15). Quando noi
cerchiamo il plauso, i riconoscimenti, manchiamo di umiltà perché rompiamo la
gratuità. In quel momento stiamo ricercando la nostra ricompensa. lo posso
andare in un posto a parlare e tornare a casa con una duplice ricompensa: o in
soldi, o in compiacenza di me stesso. In tutti e due i casi Gesù mi dice: Hai
ricevuto la tua ricompensa.
Umiltà e sobrietà
In noi, quasi mai l'umiltà è questa cosa così limpida e pura, cioè abbassarsi a
servire per amore. Essa comporta sempre anche qualcosa di negativo, cioè un
rinnegarsi, uno sconfessare ciò che c'è di distorto nelle nostre intenzioni e
nelle nostre azioni. Un discendere da noi stessi, prima che andare verso gli
altri. Quando è Gesù che "scende", lo fa da un'altezza reale, oggettiva, perché
è il Santo di Dio (cfr. Gv 6,69). Quando invece siamo noi uomini a "scendere",
non ci abbassiamo da un'altezza reale, vera, ma da una pseudo-altezza, da una
altezza falsa; ci abbassiamo da un'altezza alla quale ci siamo indebitamente
innalzati con l'orgoglio, con la vanità, con l'ira... In noi perciò l'umiltà è
sempre anche una virtù "negativa", che serve a rinnegare qualcosa di cattivo che
c'è in noi per cui tendiamo a elevarci al di sopra del prossimo.
In questo senso si dice giustamente che l'umiltà è verità. E' ripristinare la
verità circa noi stessi, è riconoscere che il nostro posto non è stare sopra gli
altri, ma sotto. S. Teresa d'Avila ha scritto: "Mi chiedevo una volta perché il
Signore ama tanto l'umiltà, e mi venne in mente d'improvviso, senza alcuna mia
riflessione, che ciò deve essere perché egli è somma Verità e l'umiltà è
verità". Anche S. Paolo parla in questi termini dell'umiltà quando dice: "Se
infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso" (Gal
6,3). Per l'Apostolo, si potrebbe dire che l'umiltà è soprattutto sobrietà
spirituale, cioè un sentire in modo sobrio, sano, non eccessivo, non esaltato,
di se stessi. Dice: "Non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma
valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione" (Rm 12,3).
Nell'originale greco, la frase suona: "Valutatevi in modo sobrio". Poco dopo
insiste dicendo: "Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi" (Rm 12,16).
Quest'umiltà-sobrietà consiste dunque in un sano realismo che ci permette di
essere nella verità dinanzi a Dio. Noi non perseguiamo una verità astratta, non
vogliamo essere come lo psicanalista che cerca di portare l'uomo alla verità su
di sé, in modo che egli si liberi dai suoi complessi. Noi perseguiamo un'altra
verità; la verità che cerchiamo è quella che permette di essere veri davanti a
Dio, prima ancora che davanti a se stessi e agli altri, anche se queste cose ne
derivano di conseguenza. t scritto di Dio che egli è buono e generoso con l'uomo
sincero, ma diventa l'astuto" con il perverso, cioè con chi ha il cuore
menzognero (cfr. Sal 18,27). Una cosa Dio esige sopra tutte da chi si accosta a
lui: 1a sincerità del cuore" (cfr. Sal 5 1,8)
L'umiltà di Dio
Dicevo che l'umiltà presenta in noi degli aspetti negativi, di rinnegamento, di
sacrificio, di croce, proprio perché noi siamo peccatori e abbiamo bisogno di
togliere il male che c'è in ogni nostra azione. Ma se è cosi, dove trovare
quell'umiltà allo stato puro che non finirà neppure con la morte e che non dice
alcuna relazione con il peccato?
La prima risposta che viene spontanea alle labbra è: in Gesù di Nazareth! Ma, a
pensarci bene, dobbiamo dire che neppure in lui si trova quell'umiltà allo stato
puro, senza alcuna relazione con il peccato. E' vero infatti che Gesù è l'uomo
senza peccato, innocente e santo; è vero che non aveva peccati propri, tuttavia
aveva preso su di sé i peccati degli altri uomini e davanti a Dio figurava come
"il peccato". Anche in Gesù, dunque, il suo umiliarsi facendosi obbediente fino
alla morte presenta un aspetto di espiazione, cioè di riferimento al peccato.
Solo nella seconda venuta, alla fine dei tempi - dice l'epistola agli Ebrei -
egli verrà senza più alcuna relazione con il peccato (cfr. Eb 9,28).
Allora - insisto - dove troviamo l'umiltà allo stato puro, quel puro e gratuito
abbassarsi a servire per amore? Abbiamo bisogno di arrivare a toccare questo
fondamento perché da esso la virtù dell'umiltà trae tutta la sua forza e il suo
fascino. La troviamo in Dio, nella Trinità!
C'è una preghiera di S. Francesco d'Assisi, sicuramente autentica (si conserva
in Assisi, nella basilica del Santo, scritta di suo pugno); in questa preghiera
intitolata "Laudi di Dio Altissimo", il Poverello intreccia una lode magnifica
del Dio Uno e Trino, dicendo tra l'altro: "Tu sei carità, tu sei sapienza, tu
sei umiltà, tu sei pazienza, tu sei bellezza, tu sei sicurezza, tu sei
giustizia, tu sei temperanza Quando lessi la prima volta quell'espressione: "Tu
sei umiltà", dissi fra me: "Padre mio S. Francesco, qui non ti capisco più!
Forse ti sei lasciato prendere la mano; stavi facendo un elenco delle virtù che
si trovano in Dio e vi hai messo dentro anche l'umiltà, senza pensare che
l'umiltà è una virtù che non può trovarsi nella Trinità che è tutta
gloria, santità, splendore". Ma sbagliavo io! Il Santo aveva ragione. Anzi egli
ci ha dato, con quelle parole, una delle definizioni più delicate e più sublimi
di Dio: Dio è umiltà!
Se umiltà significa scendere da se stessi per amore, Dio è umiltà perché, dalla
posizione in cui si trova, non può far altro che scendere; sopra di lui non c'è
nulla, perciò egli non può salire, innalzarsi. Quando fa qualcosa "fuori di sé"
(ad extra), Dio non può che "abbassarsi", umiliarsi. Ed è quello che ha sempre
fatto dalla creazione del mondo. La storia della salvezza non è che la storia
delle successive "umiliazioni" di Dio. Così la vede infatti S. Francesco: "Ecco
- scrive - ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel
grembo della Vergine; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l'altare"
(FF n. 144); e parlando dell'eucaristia esclama: "Guardate, frati, l'umiltà di
Dio!" (FF n. 221).
In seguito, mi sono accorto che questa era stata già un'idea familiare ai Padri
della Chiesa. Essi parlavano della synkatábasis di Dio, parola che, tradotta,
vuol dire "condiscendenza", cioè farsi piccolo per potersi accostare all'uomo e
scendere al suo livello. S. Giovanni Crisostomo - a cui tale termine era
particolarmente caro - dice che già la creazione è un atto della condiscendenza
di Dio; che la rivelazione biblica - il fatto che Dio si adatti a balbettare il
linguaggio umano - è un atto della condiscendenza di Dio; tale è pure e
soprattutto l'Incarnazione.
Ma anche la Pentecoste che stiamo celebrando è un atto di umiltà di Dio. Perché
parliamo di "discesa" dello Spirito Santo, se non per lo stesso motivo, e cioè
che ogni intervento di Dio a favore dell'uomo è una condiscendenza, un
umiliarsi? Nel caso della Pentecoste, lo Spirito Santo si abbassa, assumendo dei
poveri segni come sono il fuoco, il vento, le lingue. Si abbassa ad abitare in
povere creature di carne facendone il suo tempio.
(Soffermiamoci un istante in preghiera su questa scoperta; ringraziamo il
Signore perché ha voluto "uscire" da se stesso per amore nostro, dandoci un
meraviglioso esempio di umiltà).
Dopo ciò ho capito perché S. Francesco, nel "Cantico delle creature", scrive: "Laudato
si', mi' Signore, per sora aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et
casta". Uacqua è umile perché, come Dio, dalla posizione in cui si trova non
sale mai, ma sempre scende, scende, fino a raggiungere il punto più basso; tende
sempre ad occupare l'ultimo posto.
Dio è umiltà: che cosa abbiamo scoperto con ciò? Solo un'idea teologica in più?
No, abbiamo scoperto il vero motivo per cui dobbiamo essere umili. Noi dobbiamo
essere umili per essere figli del Padre nostro, per "riprendere" dal nostro
legittimo Padre. Perché se non siamo umili, noi non riprendiamo dal Padre nostro
che è nei cieli, ma da un altro padre ben diverso. Chi è, nell'universo, colui
che ha come suo movimento proprio il salire, il dare la scalata? Chi è colui che
dice: "Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il mio trono... mi farò
uguale all'Altissimo?" (Is 14,13-14). Non lo nominiamo neppure, per non fargli
questo onore nel giorno di Pentecoste, tanto sappiamo bene di chi si tratta.
Bisogna dunque essere umili per riprendere dal Padre nostro, altrimenti Gesù
deve dire anche a noi quello che diceva ai farisei che si credevano figli di
Abramo: '"Voi fate le opere di un padre che non è Abramo..." (cfr. Gv 8,38ss).
Umili con chi?
L'esercizio dell'umiltà
Adesso possiamo porci la domanda iniziale: "Che cos'è l'umiltà", ma da un altro
punto di vista, molto più profondo. L'umiltà è un atteggiamento verso noi
stessi, verso gli altri, o verso Dio? Anni addietro, feci una meditazione
sull'umiltà in cui sostenevo che essa non è un atteggiamento verso se stessi o
verso gli altri, ma solo verso Dio. Adesso devo correggermi: l'umiltà è tutto
questo insieme: è un modo di stare davanti a sé, davanti agli altri e davanti a
Dio, pur rimanendo qualcosa di profondamente unitario.
Ho detto sopra che l'umiltà è sorella gemella della carità; come la carità si
esprime in due atteggiamenti legati intimamente tra di loro: "Ama il Signore Dio
tuo con tutto il cuore e il prossimo tuo come te stesso", così è dell'umiltà.
L'umiltà vera consiste nell'essere umili con Dio e umili con il prossimo: le due
cose insieme. Non si può essere umili dinanzi a Dio, nella preghiera, se non lo
si è con i fratelli. Essere umili davanti a Dio significa essere bambini, essere
gli anawin biblici, cioè i poveri che non hanno nessuno su cui
appoggiarsi se non Dio solo; significa non confidare né nei carri né nei
cavalli, né sulla propria intelligenza, né sulla propria giustizia. E tutto
questo va benissimo. Ma se tu non sei umile con il fratello che vedi, come puoi
dire di essere umile con Dio che non vedi? Se tu non lavi i piedi al fratello
che vedi, cosa significa il tuo voler lavare i piedi a Dio che non vedi? I piedi
di Dio sono i tuoi fratelli! Come si vede, si possono dire dell'umiltà le
medesime cose che Giovanni dice della carità (cfr. I Gv 4,20).
Ci sono persone (io sono certamente tra queste), le quali sono capaci di dire di
se stesse tutto il male possibile e immaginabile; che, in preghiera, fanno delle
autoaccuse di una schiettezza e di un coraggio ammirevoli. Dunque, sono umili
davanti a Dio e verso se stessi. Ma appena un fratello accenna a prendere sul
serio le loro confessioni, o si azzarda a dire, di essi, una piccola parte di
quello che si son detti da soli, sono scintille! Non era vera umiltà la loro. Il
vero umile è colui che si guarda in Dio, in lui scopre ciò che è, e poi
trasfonde questa verità nel rapporto con i fratelli.
L'umiltà che stiamo scoprendo è un bene che scende dal cielo; essa è quel "dono
perfetto che viene dall'alto e discende dal Padre della luce" (cfr. Ge 1, l 7).
Non è una pianta che spunta naturalmente sulla nostra terra; il mondo non la
conosce. Questa è la sapienza dei Vangelo che confonde la sapienza del mondo. Su
questo terreno le due sapienze si scontrano frontalmente, tanto che S. Paolo può
dire: "Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia
stolto per diventare sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza
davanti a Dio" (1Cor 3,18ss).
Lo vediamo chiaramente intorno a noi: il mondo, invece di coltivare l'umiltà,
esalta l'orgoglio; quando si vuol fare un comiplimento a qualcuno, si dice che
"ha dell'orgoglio". Il mondo è strutturato sul valore dell'arrivismo, del fare
carriera, cioè salire più in alto nella scala sociale. Dalla scuola in su, che
cosa si inculca ai giovani se non di fare carriera, di affermarsi al di sopra
degli altri, di primeggiare?
Il modo di pensare di Gesù è semplicemente diverso di novanta gradi. E tuttavia
bisogna non cadere in errore. A che cosa mira l'umiltà evangelica? Forse a
creare una comunità di rassegnati, di gente inerte, priva di slancio, che non
traffica i talenti? Assolutamente no! Il filosofo che affermava questo (Nietzsche),
non aveva capito niente del Vangelo. L'umiltà evangelica non significa che tu
non devi trafficare i talenti ricevuti; al contrario. La differenza rispetto al
mondo è che questi tuoi talenti tu non li impieghi solamente per te stesso, per
porti al di sopra degli altri e dominarli, ma li impieghi per il servizio degli
altri; non per essere servito, ma per servire,
Umiltà nel matrimonio
Vorrei ora accennare ad alcuni ambiti particolari in cui l'umiltà si rivela
particolarmente necessaria. Anzitutto quello della famiglia: come e perché
essere umili nel matrimonio.
lo dico che l'urniltà è stata inventata da Dio anche per salvare i matrimoni. Il
matrimonio, inteso come l'amore tra l'uomo e la donna, nasce dall'umiltà.
Innamorarsi di un'altra persona - quando si tratta di un vero fatto di
innamoramento - è il più radicale atto di umiltà che si possa immaginare.
Significa andare da un altro e dirgli: lo non mi basto, io non sono sufficiente
a me stesso; ho bisogno del tuo essere. E' come stendere la mano e chiedere in
elemosina a un'altra creatura un po' del suo essere. Ripeto: è l'atto di umiltà
più radicale. Dio ha creato l'uomo bisognoso, mendicante; ha inscritto l'umiltà
nella sua stessa carne, quando li ha creati maschio e femmina, cioè incompleti.
Ne ha fatto, fin dall'origine, due esseri in movimento, in ricerca l'uno
dell'altro, "insoddisfatti" ognuno di se stesso. Ha posto così la creatura umana
come su un piano inclinato verso l'alto, non verso il basso, perché l'unione
doveva elevarlo dall'altro sesso, all'Altro per eccellenza che è Dio stesso.
Dunque, il matrimonio nasce dall'umiltà, e se nasce dall'umiltà della condizione
umana non può sopravvivere che nell'umiltà. S. Paolo diceva ai coniugi
cristiani: "Rivestitevi... di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà,
di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi
scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri"
(Col 3,12ss). L'umiltà e il perdono sono come il lubrificante che permette,
giorno per giorno, di sciogliere ogni principio di ruggine, di abbattere i
piccoli muri di incomprensione e di risentimento, prima che diventino grandi
muri che non si possono più abbattere. Gli sposi devono vigilare a che 1`altro
padre", quello spurio, non instauri tra di loro la logica della ripicca, della
rivincita... Non bisogna dare ascolto alla voce che grida dentro: Perché devo
essere sempre io a cedere, a umiliarmi? Cedere non è perdere, ma vincere,
vincere il vero nemico dell'amore che è il nostro egoismo, il nostro "io".
Umiltà nel Rinnovamento
Il Rinnovamento ha bisogno di famiglie rinnovate e le famiglie, abbiamo visto,
si rinnovano anche con l'umiltà. à l'amore, certo, che rinnova le famiglie, ma è
l'umiltà che rende possibile l'amore.
Ma in questa circostanza, devo dire una parola anche a proposito dell'umiltà nel
"Rinnovamento". Se il Rinnovamento, come è stato detto molto giustamente, è
"restituire il potere a Dio", allora Si capisce quanto l'umiltà sia urgente nel
Rinnovamento nello spirito. L'umiltà è ciò che preserva il Rinnovamento dallo
sciuparsi in cosa umana. Bisogna che periodicamente noi rimettiamo il, potere
nelle mani di Dio, e questo si fa con l'umiltà. Bisogna che impariamo a dire,
con l'Apocalisse e con la liturgia della Chiesa: "Tuo è il regno, tua la potenza
e la gloria nei secoli!".
Ogni volta che dimentichiamo questo e facciamo centro sulle persone, sono
disastri, come a Corinto. I nostri incontri di preghiera talvolta soffrono di
questo: non c'è abbastanza pulizia di tutto l'elemento umano. L'umiltà nel
Rinnovamento è importante quanto è importante l'isolante nell'elettricità. Più
alta è la tensione della corrente che passa in un filo, più deve essere spesso
ed efficiente l'isolante; altrimenti: corto circuito! Ricordo vagamente le
nozioni che ci inculcava, a questo proposito, il mio vecchio professore di
fisica al liceo: "L'isolante - diceva - è una materia inerte e vile, ma è
assolutamente indispensabile, come lo sono i fili di rame che trasportano la
corrente. Questi servono a trasportare la corrente, quello a non disperderla. I
progressi che si fanno nella tecnica della conduzione dell'elettricità devono
sempre essere accompagnati da un proporzionato progresso nella tecnica
dell'isolamento. Altrimenti, corto circuito!".
In particolare, l'umiltà deve risplendere negli animatori e in chi svolge
qualche ministero, come me in questo momento. Bisogna che ci lasciamo contestare
senza reagire subito come chi si sente offeso, bisogna che ci lasciamo ammonire
e correggere dai fratelli; bisogna che ci lasciamo sostituire e, anzi, che
preveniamo in ciò i responsabili, senza che debbano dircelo più volte prima che
capiamo.
Una tentazione possibile nel Rinnovamento è quella di volersi sempre trovare in
quel punto preciso dove, secondo noi, "passa" la corrente dello Spirito, essere
sempre nell'occhio del ciclone, cioè, fuori metafora, là dove c'è la persona più
famosa, il gruppo più dotato... Se il Signore ci fa capire queste cose è perché
ci vuole liberare da esse. E' bene voler essere nel punto dove agisce lo Spirito
di Dio; solo che il punto dove agisce lo Spirito non è dove c'è la persona più
in vista, perché lo Spirito di Dio è di preferenza nel nascondimento. Se dunque
noi vogliamo essere veramente nell'occhio del ciclone dello Spirito, corriamo a
occupare l'ultimo posto. Lì, lo Spirito trovò Maria e la riempì della sua
potenza.
Il Rinnovamento ha bisogno di vocazioni al nascondimento. Chi oggi sente per sé
questa vocazione, dica subito il suo "si", insieme con Maria. Bisogna che ci
lasciamo tutti strappare a fatica dall'ultimo posto; i fratelli devono
incontrare resistenza a tirarci via dal l'ultimo posto, non dal primo.
Occorre poi umiltà anche nei rapporti tra noi del Rinnovamento e i fratelli che
servono il Signore in altri gruppi e realtà ecclesiali. Mai una mentalità da
"eletti", che sciupa tutto. Non sentiamoci "carismatici", nel senso di persone
dotate di particolari poteri, di trascinatori, ma solo nel senso di servitori
dello Spirito.
Abbiamo ricercato la radice dell'umiltà e l'abbiamo scoperta in Dio; abbiamo
considerato il suo tronco, i rami; adesso cerchiamo di coglierne i frutti. I
frutti dell'umiltà sono tantissimi, e uno più squisito dell'altro, ma a me piace
soffermarmi su questi due soli frutti: l'umiltà attira la compiacenza di Dio,
l'umiltà ci riconcilia con i fratelli.
L'umile è guardato da Dio con occhio di padre, con tenerezza e simpatia. Il
profeta Isaia ci fa seguire lo sguardo di Dio che si volge qua e là per
l'universo in cerca di un posto dove posarsi, e non lo trova perché tutto è suo,
tutto è uscito dalle sue mani; finché trova un "cuore contrito e umiliato" e in
esso si riposa (cfr. Is 66.2). E' scritto:"Eccelso è il Signore e guarda verso
l'umile, ma al superbo volge lo sguardo da lontano" (Sal 138,6). Come il
Signore, dalla posizione in cui è, non può salire sopra di sé, così, si direbbe,
non può guardare sopra di sé; come non può che scendere, così non può che
guardare in basso. "Se tu ti innalzi, egli si allontana da te, se invece ti
abbassi, egli si inchina verso di te" (S. Agostino, Ser. 21,2). Per questo Maria
dice: "Ha guardato l'umiltà della sua serva " (Lc 1,48).
L'altro frutto, dicevo, riguarda i fratelli. L'umiltà conquista gli uomini. à
una cosa curiosa: il mondo non coltiva l'umiltà, gli uomini in genere non sono
umili; tuttavia sanno riconoscere a prima vista chi è umile e non sanno
resistere all'umile. Non c'è difesa, né del Rinnovamento, né della Chiesa, che
valga tanto quanto un atto di vera umiltà.
Termino recitando con voi il Salmo 131 che canta proprio i frutti dell' umiltà:
"Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio
sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze (la
sobrietà!), lo sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua
madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia ".
Raniero Cantalamessa - La sobria ebbrezza dello Spirito - Edizioni RnS - Roma