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L'amore ha sempre qualcosa
di misterioso. Ne era già consapevole il
sapiente biblico del libro dei Proverbi che si
fermava stupito davanti a «quattro realtà
misteriose: la via dell'aquila nel cielo, la via
del serpente sulla roccia, la via della nave in
alto mare e la via dell'amore tra un giovane e la
sua ragazza» (30,18-19). La scorsa settimana
abbiamo iniziato a raccontare la storia d'amore
tra un profeta, Osea, e una donna, Gomer. Una
storia drammatica che è stata ripresa anche da
un poeta israeliano contemporaneo, S. Ginsburg,
in una sua poesia, Ahavat Hoshea, cioè
"L'amore di Osea", e da un drammaturgo
suo connazionale, J. Kahn, in un testo che è
stato rappresentato per la prima volta nel 1956 e
che recava come titolo il nome ebraico del
profeta, Hoshea'.
L'amore va oltre la logica della ragione. Anche
se tradito e umiliato, Osea non può fare a meno
della donna che egli ama. E, allora, nel capitolo
2 del suo libro egli sogna e spera: Gomer, delusa
dai suoi amanti, ritornerà e riprenderà il suo
posto accanto al focolare rimasto deserto,
all'interno della casa, coi tre figli avuti dal
matrimonio col profeta. «Tornerò dal mio primo
marito», dirà, «perché con lui ero ben più
felice di adesso!» (2,9). Osea immagina, allora,
di riabbracciare la sua donna e di celebrare con
lei un nuovo fidanzamento e una nuova luna di
miele.
La corteggerà ancora, insieme ritorneranno nei
luoghi della loro giovinezza, saranno uniti,
apportati negli spazi immensi del deserto,
abbracciati l'uno sul cuore dell'altra (in
ebraico Osea dice letteralmente: «le parlerò
sul cuore»): «Ecco, la sedurrò di nuovo, la
porterò nel deserto, parlerò al suo cuore...
Là mi risponderà come nei giorni della
giovinezza» (2,16-17). Gomer, allora,
pronunzierà la parola tanto attesa: solo tu sei
il mio uomo, mio marito: «In quel giorno mi
chiamerai: Marito mio! E non più: Padrone mio!
dalla bocca le strapperò i nomi degli idoli,
nomi ormai dimenticati» (2,18-19).
In questa dichiarazione della donna si cela il
valore spirituale della parabola autobiografica
narrata dal profeta: '"padrone" in
ebraico è ba'al, il terinine con cui si indicava
il dio pagano della fertilità. Sulla bocca di
Israele non risuonerà più la parola
dell'invocazione idolatrica del dio Baal, ma
quella dell'intimità col Signore, lo sposo, il
Il marito" della comunità di Israele. Si
capisce, allora, che il profeta voleva far
balenare nella sua storia personale un'altra
storia, quella del popolo che aveva tradito Dio
per rincorrere gli idoli, illudendosi di ottenere
da essi benessere e felicità.
Uno scrittore inglese, N. Nichelano, nel 1955 ha
ripreso la vicenda di Ossea e Gore nella sua
opera Una lotta per il diavolo per scoprirvi il
costante duello tra amore e infedeltà, tra bene
e male, tra lealtà e tradimento, tra Dio e
Satana, a cui siamo destinati nella nostra vita.
Ossea, in finale, spera che l'ultima parola sia
quella dell'amore e dell'abbraccio. Non per nulla
conclude il capitolo 2 ripetendo per tre volte la
formula matrimoniale: «Per sempre sarai mia
sposa; mia sposa sarai nella giustizia e nel
diritto, nell'affetto e nell'amore. Sarai mia
sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore»
(2,21-22). |
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