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Continuiamo la nostra lettura di Qohelet -
Ecclesiaste, un libro biblico dalla bellezza
tenebrosa e inquietante.
Delle sette malattie dello spirito che egli
sembra presentarci già tre sono sfilate davanti
a noi: quelle del parlare, dellagire e del
sapere.
Quarta malattia: intacca lessere intero,
cioè quel cosmo e quella storia sui quali il
sapiente biblico tradizionale si gettava con
grande passione, convinto di poterli penetrare,
studiare, plasmare. Cominciamo con la natura, per
scoprire come la considerava Qohelet. È una
strofa di grande bellezza, una perla del
libro, secondo la definizione di uno
studioso, Thomas K. Cheyne. Leggiamola: «... La
terra è eternamente ferma. Sorge il sole;
tramonta il sole affannandosi verso quel luogo da
cui rispunterà. Soffia il vento dal sud, gira a
settentrione, passa girando e rigirando il vento
e sui suoi giri ritorna il vento. Tutti i fiumi
scorrono verso il mare, eppure mai il mare si
colma; alla foce scorrono i fiumi e di là essi
riprendono a scorrere» (1,4-7).
Significativo è il segno del vento che ben
illustra questo girare (il verbo
risuona quattro volte) a vuoto del creato che non
è più capace di parlarci di Dio o di un
progetto cosmico, come voleva la sapienza biblica
tradizionale (vedi il Salmo 19).
La creazione non è più una pergamena miniata,
ma un palinsesto perpetuo su cui si scrivono e
cancellano ininterrottamente ghirigori
ripetitivi.
E dopo la natura, la storia. Il rimando classico
è a una delle pagine più popolari di Oohelet.
Essa è potente nella sua povertà stilistica,
affidata allarida e litanica brutalità del
parallelismo ripetuto in modo rigido, vero e
proprio rosario di «tempi e stagioni» (3,1-9).
Su un asse predeterminato ruota il disco uniforme
degli eventi, il suo inesorabile svolgersi è
monotono come un suono ripetuto, è implacabile
come il fluire di una colata, è stridente come
un intervento di demolizione. Su questo gorgo
circolare infinito si leva la domanda
radicale: Che valore ha tutto ciò?
Qohelet ci presenta quattordici coppie di estremi
che, di loro natura, vogliono indicare una
totalità, secondo la simbolica dei numeri cara
allOriente. Si tratta di 28 elementi,
scomponibili in due numeri perfetti, il 7 che
suggerisce pienezza e il 4 che rimanda alla
totalità dei 4 punti cardinali (o anche a un
giuoco di 7 e di 2: 7x2; 14x2=28). Ecco la
litania dei tempi nel suo risultato finale.
«Tutto ha la sua stagione, ogni evento ha il suo
tempo sotto il cielo: / il tempo di nascere e il
tempo di morire, / il tempo di piantare e il
tempo di sradicare, / il tempo di uccidere e il
tempo di medicare, / il tempo di demolire e il
tempo di costruire, Il tempo di piangere e il
tempo di ridere, / il tempo di gemere e il tempo
di ballare, / il tempo di gettare pietre e il
tempo di raccoglierle, / il tempo di abbracciarsi
e il tempo di allontanarsi, / il tempo di cercare
e il tempo di perdere, / il tempo di conservare e
il tempo di buttar via, / il tempo di strappare e
il tempo di cucire, / il tempo di tacere e il
tempo di parlare, / il tempo di amare e il tempo
di odiare, / il tempo di guerra e il tempo di
pace» (3,1-8).
La storia è, dunque, malata; non ha nessuna
traiettoria finalizzata, si curva su sé stessa
senza sosta in modi ripetuti.
Non ha più una direzione e una meta messianica,
come insegnava tutto lAntico Testamento.
Essa è un cerchio chiuso in sé stesso, nel suo
ripetersi senza fine.
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