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Niente di
nuovo sotto il sole |
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È certamente la proposta di lettura biblica più
ampia tra quelle finora suggerite in questa
rubrica.
La stiamo dedicando già dalla scorsa settimana a
Qohelet - Ecclesiaste, il sapiente
dellAntico Testamento che fa balenare
idealmente davanti ai nostri occhi sette malattie
dello spirito che sono ancor oggi attuali.
La prima riguarda il linguaggio: «Tutte le
parole sono logore e luomo non può più
usarle» (1,8). Lidea è straordinariamente
moderna, se pensiamo allattuale crisi del
linguaggio, alle parole malate, a
quelle nere, cioè prive di senso e
abusate, alle ragnatele della chiacchiera e dei
luoghi comuni. In ebraico, però, considerata
lefficacia del termine, debarim,
parole, significa anche
fatti: le cose sono stanche, si
disfanno, «tutto nella vita diventa logoro:
parole e situazioni.
Tutte le parole sono già state dette» - così
il romanziere ebreo austriaco Joseph Roth nel
Mercante dei coralli. E la parola stampata corre
lo stesso rischio: «Si fanno libri e libri senza
fine» (12,12). Lo scrittore ebreo di lingua
tedesca Elias Canetti nel suo romanzo "Auto
da fé" introduce Qohelet: «Una voce
annuncia - questa voce sa tutto ed è la voce di
Dio -: Qui non ci sono libri. Tutto è vanità».
Persino il linguaggio visivo e musicale si
stempera: «Mai locchio è sazio di vedere,
mai lorecchio è sazio di sentire. Eppure
quel che è stato sarà, quel che si è fatto si
rifarà: assolutamente niente di nuovo sotto il
sole!» (1,8-9).
La seconda malattia è quella del fare o, come
ama dire Qohelet, dellamai, del
faticare, per cui il lavoro è labor,
cioè fatica, alienazione, travaglio
(il travail francese!). Siamo ben lontani
dallentusiasmo mostrato dalla sapienza
biblica tradizionale nel descrivere le capacità
eccezionali delluomo lavoratore. La domanda
davvio del libro è lapidaria: «Quale
valore ha tutta la fatica che affatica
luomo sotto il sole?» (1,3). Sembra di
sentire il Petrarca del Trionfo della morte: «O
ciechi, e il tanto affaticar che giova?». Di
nuovo in 2,18: «Io ho in odio ogni fatica di cui
io ho faticato sotto il sole», parole messe in
bocca a Salomone! E poche righe dopo: «Io ho il
cuore invaso dalla disperazione per tutta la
fatica con cui ho faticato sotto il sole»
(2,20), fatica destinata a dissolversi nello
spreco degli eredi. E ancor più forte la domanda
diviene in 5,15: «Che valore ha faticare per il
vento?». A confessarlo è Salomone, delle cui
spoglie si ammanta Qohelet, che aveva fatto
«opere magnifiche, si era eretto palazzi, si era
piantato vigne, preparato giardini e parchi,
piantandovi alberi dai mille frutti, si era
scavato canali dacqua per irrigare quelle
piantagioni lussureggianti, si era allevato
mandrie di buoi e di pecore più numerose di
tutte quelle dei suoi predecessori in
Gerusalemme, aveva accumulato anche argento e
oro, tesori di regni e di province» (2,4-8).
Terza malattia: la crisi dellintelligenza.
Qohelet è un sapiente, uno scriba, un
intellettuale, come dice anche lepigrafe
finale (12,9-10), disprezza la stupidità; per
ben ottantacinque volte introduce le sue
riflessioni in prima persona, consapevole di una
sua originalità di pensiero. Eppure il risultato
finale del conoscere è amaro: «La mia mente è
penetrata profondamente nella sapienza e nella
scienza. Sì, la mia mente è penetrata nella
sapienza e nella scienza, nella follia e nella
stupidità e ho capito che anche questo è fame
di vento. Infatti, grande sapienza è grande
tormento; chi più sa più soffre»(1,16-18).
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Tratto da Famiglia Cristiana |
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