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La torre che
sfida il Cielo |
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Costoro che parlano non
sono forse tutti Galilei?
E « comè che li sentiamo ciascuno parlare
nella nostra lingua nativa?» (Atti 2,7-8).
Tutti ricordano la cornice della Pentecoste
descritta da Luca negli Atti degli Apostoli: la
dispersione, la confusione babelica
sono cancellate dalla forza unificante e
illuminante dello Spirito Santo che nella Chiesa
fa a tutti professare la stessa fede
in Cristo, pur nella diversità delle lingue e
delle culture.
Ebbene, questo rimando allusivo a Babilonia ci
permette di presentare brevemente la celebre
pagina di Genesi 11,1-9.
La torre di Babele, infatti, è uno
dei soggetti che più prepotentemente si è
insediato nellimmaginazione popolare e
nella storia dellarte. Pensiamo solo
allintaglio in avorio del duomo di Salerno,
forse una delle prime rappresentazioni del tema
(XI sec.), ai mosaici della Cappella Palatina di
Palermo (XII sec.), del duomo di Monreale (XII
sec.), dellatrio di S. Marco a Venezia
(XIII sec.). Pensiamo alle infinite miniature,
allaffresco di Benozzo Gozzoli (XV sec.)
nel Camposanto di Pisa, alle tavole di H. van
Eyck (XV sec.) allAia e di P.Brueghel (XVI
sec.) a Vienna e così via.
Pensiamo alle numerosissime incisioni che
accompagnavano le Bibbie e, se si vuole, anche al
film Metropolis di F. Lang (1926).
Ma questa pagina biblica ha la sua forza
soprattutto nel messaggio religioso che propone.
Attraverso la prepotenza oppressiva che è
una nuova incarnazione del peccato
originale presentato nel capitolo 3 della
Genesi si trasforma la ricchezza della
varietà delle culture, delle razze, delle
nazioni, descritta nel precedente capitolo 10, in
un groviglio di esclusivismi, tensioni razziali,
prevaricazioni e nazionalismi imperialistici.
Lautore biblico fonde nel suo racconto
elementi differenti.
Cè lavversario tradizionale di
Israele, Babilonia, il cui nome (Babel), che
significa porta di Dio (cioè città
perfetta), viene
liberamente interpretato sulla base del verbo
ebraico balal, vuol dire confondere.
Cè, poi, la torre che rimanda
alla ziqqurat, cioè al tipico tempio
mesopotamico a gradoni che aveva al vertice il
santuarietto del dio.
A Babilonia questo tempio era grandioso e portava
il nome di Entemenanki , cioè casa delle
fondamenta dei cielo e della terra, ed è
per la Bibbia il simbolo dellidolatria.
Cè, infine, la diaspora dei popoli in
forme opposte e divise di cultura, segno del
peccato di orgoglio delle grandi potenze
castigato dal Signore che «disperse gli uomini
su tutta la terra» (11,8). Babilonia diventa,
così, lemblema delloppressione
blasfema, del potere che sfida Dio e
sillude di dominare il mondo, creando
divisioni, odio, miseria.
La pluralità di culture e civiltà è, invece,
un segno positivo quando si sviluppa
nellarmonia, nella libertà, nella
creatività.
Diventa allora simile a una musica o a un coro
dai mille suoni e dalle tante voci che si muovono
in concerto, proprio come accade nella Pentecoste
cristiana.
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Tratto da Famiglia Cristiana |
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