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Uno stile
che è sostanza |
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San Girolamo ha definito lo
stile di Paolo con una battuta:
«Egli non si preoccupava più di tanto delle
parole quando aveva messo al sicuro il
significato».
L'Apostolo, allora, non dovrebbe avere spazio
all'interno della nostra rubrica che è dedicata
al "bello della Bibbia".
In realtà c'è una bellezza che non è
necessariamente formale, cioè estrinseca,
espressa nell'aspetto stilistico di un testo, ma
che sboccia nella sostanza del messaggio.
Inoltre oggi si è inclini, più di quanto
suggerisse il celebre traduttore della Bibbia in
latino, cioè Girolamo, ad apprezzare lo stile
originale paolino.
La sua originalità appare soprattutto nel modo
con cui manipola il vocabolario greco attribuendo
a termini collaudati significati del tutto nuovi,
rivelando così una creatività sorprendente.
È il caso di tre parole che appaiono nella
lettera ai Romani che, come ricorderete, vogliamo
proporre durante questa Quaresima.
Esse scandiscono soprattutto la prima parte della
lettera, cioè i capitoli 1-5, aperti da quella
celebre tesi che Paolo modella su una libera
citazione del profeta Abacuc (2,4); «Il giusto
mediante la fede vivrà» (Romani 1,17).
Queste parole sono negative, simili a tre stelle
nere: con la loro tenebra accecante trafiggono
l'orizzonte della storia umana.
La prima è sarx, "carne".
L'evangelista Giovanili usava questo vocabolo nel
suo valore normale, per indicare l'esistenza
fragile dell'uomo ed è per questo che affermava:
«Il Verbo (Cristo) si è fatto carne» (1,14).
Per Paolo, invece, sarx è un principio negativo
deleterio che si annida nel nostro cuore.
Immaginiamo la zizzania che pervade il terreno
seminato a grano, come narrava Gesù nella famosa
parabola (Matteo 13,24-30).
La sarx è, dunque, il terreno della vita e della
coscienza devastato da una forza maligna.
E a questo punto che entra in scena la seconda
parola, hamartìa, cioè il 'peccato".
Il terreno della sarx alimenta e fa crescere la
zizzania, cioè quella forza maligna che si
manifesta nel grappolo delle azioni cattive da
noi compiute.
Eccoci, allora, alla terza parola, nómos,
"legge".
Di per sé la legge è santa ed è stata donata
da Dio ma è l'uso perverso che ne fa l'uomo a
portare alla sua degenerazione.
Ritorniamo ancora all'immagine del terreno: è
come se, capitati su una distesa di sabbie
mobili, tentassimo da soli - alzando le braccia -
di venirne fuori.
Tentativo spontaneo ma vano; quanto più ti agiti
per estrarti, tanto più affondi.
Questo è il destino di chi si illude di vincere
la sarx-carne e l'hamartìa-peccato compiendo le
opere del nómos-legge, cioè cercando di
salvarsi con le sue forze e le sue azioni.
Per estrarlo da quel gorgo di melma è necessario
che una mano sicura lo afferri e lo liberi.
Ed è proprio qui che dovremmo passare ad altre
parole paoline, questa volta positive.
È ciò che faremo la settimana prossima. |
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Tratto da Famiglia Cristiana |
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