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Ecco una
delle lunghe piste carovaniere che si distendono
nel deserto. All'improvviso il viandante inciampa
in una piccola cosa che subito si rivela vivente
e urlante.
È una neonata abbandonata, col cordone
ombelicale ancora avvoltolato, tutta sporca di
sangue e di sabbia: non è stata neppure lavata e
frizionata col sale, com'è d'uso in Oriente per
ragioni igieniche e d'auspicio (il sale indica
pace e benessere).
È una figlia illegittima, nata
dall'accoppiamento di un amorreo con una donna
ittita: le sue sono, quindi, origini bastarde e
impure secondo le antiche consuetudini d'Israele.
Ed è per questo che è stata esposta come un
oggetto ripugnante" su una pista della
steppa.
Comincia così, con questa scena terribile -
purtroppo non rara anche ai nostri giorni e nelle
nostre città Occidente -, uno dei capitoli più
emozionanti del profeta Ezechiele, vissuto nel VI
sec. a.C., esule a Babilonia con i suoi
connazionali, ancor piuma del crollo di
Gerusalemme sotto le armate del re babilonese
Nabucodonosor (586).
Su quella strada ecco avanzare un cocchio con un
alto personaggio che racconta la sua esperienza
in prima persona: «Passai vicino a te e vidi che
ti dibattevi nel sangue» (Ezechiele 16,6). Anzi,
il profeta immagina che basti il solo passaggio
di quel salvatore a far crescere e a rendere
fiorente la trovatella: «Passai vicino a te»,
si ripete, «e ti vidi: la tua era già l'età
dell'amore.... il tuo seno era già florido, la
pubertà era stata già raggiunta» (16,7-8).
Col tipico gesto nuziale dell'antico Vicino
Oriente, quel signore stende il lembo del suo
mantello e copre quella splendida fanciulla,
facendola diventare sua moglie. La coccola
profumandola con balsamo, le offre trine e vesti
di seta ricamata, calzature di pelle di tasso,
orecchini, anelli da naso, collane, bracciali e
un diadema, sciarpe di bisso, ossia di lino
finissimo: «Eri diventata sempre più
affascinante ed eri una regina» (1 6,13). Ma
ecco una sorpresa amara e devastante.
«Tu, infatuata della tua bellezza, ti sei
prostituita, concedendo i tuoi favori a ogni
passante» (16,15).
Ormai la parabola svela il suo significato
nascosto. "Prostituzione" è infatti il
termine con cui la Bibbia definisce il peccato
d'idolatria. Subito dopo il profeta evoca il
delitto del vitello d'oro eretto da Israele nel
deserto: «Coi tuoi stupendi gioielli d'oro e
d'argento da me donati, facesti figure umane e le
usasti per peccare» (1 6,17). Ormai la
narrazione del profeta dilaga nella
raffigurazione del fiume fangoso di infamie
perpetrate da questa «spudorata sgualdrina»
(16,30): «superbia, ingordigia, ozio indolente,
rifiutare la mano al povero» (16,49).
La storia diventa, così, una sorta di esame di
coscienza che Ezechiele vorrebbe far compiere
alla sposa Israele perché comprenda di aver
tradito col suo peccato l'amore del suo sposo, il
Signore. Uno sposo che, però, non si arrende:
«Io ti ho perdonato quello che hai fatto» (1
6,63) e con te celebrerò un nuovo ed «etemo
patto» nuziale (16,60).
Una storia, quindi, di amore e di infedeltà che
ha come suggello l'amore che è più forte del
male.
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